Il brano fa parte dell’inedito Romanzo indigenista.
Ambretta è furibonda. Ha letto un articolo che parla dell’antropologo americano Napoleon Chagnon. Si è chiusa nella stanza accanto; i suoi passi scattosi mi fanno pensare a una pantera, che deve essere nera tanto sono ferali le imprecazioni che le escono di bocca. Se non si calma, finirà col farsi male. Quando è infuriata, può succederle di sbattere il pugno destro contro il mobile più vicino. Una volta colpì con forza, ripetutamente, il ripiano di marmo di un tavolino, e a lungo la tormentò il dolore alla mano. In fondo le voglio bene; provo a farla parlare in modo da offrirle l’opportunità di analizzare e rielaborare le sue emozioni attraverso la terapia dell’esternazione.
Quanto leggerete da qui in avanti è ciò che Ambretta mi ha chiesto di scrivere. Sostiene che bisogna capire perché vengono fabbricate le menzogne sugli indios, e che ci si riesce documentandosi, leggendo, studiando, analizzando casi specifici. Afferma che bisogna fare qualsiasi cosa in nostro possesso per diffondere informazioni corrette, in modo da contestare le menzogne ufficiali, le notizie folclorico-sensazionalistiche, le banalità dei luoghi comuni, le redazioni farcite di preconcetti.
Prendiamo il caso degli indios tra cui Ambretta ha vissuto, e in mezzo ai quali ha lasciato la parte più coraggiosa, determinata, passionale di sé stessa. Gli yanomami occupano un’area di foresta tropicale nella regione di frontiera tra Brasile e Venezuela. Nei due paesi, totalizzano una popolazione di circa 32.000 individui. In Brasile, la maggior parte dei villaggi è localizzata a nord del tracciato della strada Perimetral Norte, detta anche BR-210. Costituiscono il maggior gruppo ancora in gran parte isolato dal contatto con la società nazionale. Nel 1974, la strada tagliò a sud il territorio yanomami. Le squadre di disboscamento, contrattate senza nessun controllo sanitario, penetrarono massicciamente nella regione portando le prime epidemie d’influenza e morbillo, mortali per gli yanomami. Nella regione del corso d’acqua chiamato Repartimento e dei fiumi Ajarani e Pacu, il contatto con gli operai della strada causò la morte di numerosi indigeni, riducendo tredici villaggi a otto piccoli gruppi di famiglie. Nel marzo del 1977, la seconda epidemia di morbillo dall’arrivo della strada ammazzò sessantotto persone, cioè la metà della popolazione dei villaggi Manihipi, Uxiu, Iropi. Nell’agosto del 1987 la Fondazione Nazionale dell’Indio ritirò dall’area medici, infermieri, scienziati, ricercatori e missionari. Il provvedimento governativo incoraggiò cercatori d’oro provenienti da tutto il Brasile a invadere l’area yanomami e isolò completamente gli indios dai loro alleati, impedendo così che si sapesse cosa stava accadendo. Nonostante l’area yanomami sia stata omologata nel 1992, attraverso decreto del presidente della repubblica, sistematici e stressanti continuano a essere i tentativi d’invasione da parte dei fronti di espansione della società nazionale, soprattutto da parte dei cercatori d’oro e di minerali preziosi, di cui il sottosuolo è purtroppo ricco.
Nel caso degli yanomami, a complicare loro la vita non sono solo gli invasori, ma anche un esponente del mondo accademico. Quando i giornali italiani si degnano di pubblicare qualcosa sugli indios brasiliani, nella maggior parte dei casi si tratta di notizie sensazionalistiche, folcloriche, distorte. Quelle cui la stampa dedica più spazio rimandano alle teorie del feroce antropologo americano Napoleon Chagnon, secondo cui gli yanomami sarebbero violenti per natura. Ammantate di scientificità e pubblicate con scalpore, le argomentazioni di Chagnon non fanno che alimentare i preconcetti contro gli indios. Dei preconcetti si ha bisogno per giustificare le guerre sante che portano allo sterminio d’intere popolazioni, etnie, minoranze, categorie di persone. Giornalisti degni di definirsi tali, dovrebbero ricostruire gli antecedenti storici, spiegare i retroscena, mostrare entrambi i lati della stessa medaglia, denunciare le manovre dei rappresentanti di multi-trans-nazionali, perché sono loro i veri burattinai del teatro della vita. Oggi smembrato dagli stati nazionali del Brasile e Venezuela, così strategicamente ben situato a livello di America Latina, il territorio yanomami è sempre stato guardato con cupidigia dagli Stati Uniti. Perché non lo si dice? Quando i “cattivi selvaggi” saranno stati tutti sterminati, non ci saranno più indios che occupano, proteggono e lottano per le proprie terre. Guarda caso, a fomentare l’odio contro gli yanomami, descrivendoli come esseri violenti e crudeli, è un americano; uno che, con i potenti mezzi di cui dispone, influenza scrittori, lettori, stampa internazionale. E ciò è tanto vero che, nonostante studi concomitanti o successivi smentiscano ampiamente le sue teorie, i mezzi di comunicazione di tutto il mondo continuano a dare spazio sempre e soltanto alle sue crudeli parole.
Invitata a partecipare a un incontro organizzato dall’Università di Siena, Ambretta ebbe l’emozione di conoscere il linguista italo-americano che per primo realizzò un importante saggio sulla famiglia linguistica yanomami, talmente importante che continua a essere citato da chiunque si avvicini allo studio di una delle quattro lingue che della famiglia fanno parte. Tra Ambretta e il linguista fu empatia a prima vista. Simpatizzarono, confabularono, si scambiarono informazioni e aneddoti sulle rispettive esperienze vissute a diretto contatto con gli yanomami, con i loro alleati e con tutta una serie di loschi figuri che gli indios debbono sciropparsi. Il linguista raccontò ad Ambretta che conosceva personalmente Chagnon: più volte si erano incrociati al bar, l’antropologo era sempre solo, sempre accigliato, sempre pronto ad azzuffarsi se qualcuno lo guardava un attimo più del dovuto. Durante la loro breve, intensa convivenza, l’indigenista italo-brasiliana e il linguista italo-americano formularono delle teorie: a suggerire a Chagnon che gli yanomami sarebbero violenti per natura, non può essere stata che la sua stessa indole di uomo truce e feroce; per fomentare quella cultura della sopraffazione che garantisce loro di mantenersi ingordi in modo osceno, i detentori del potere economico sopranazionale si servono di animali eretti, specie cui appartiene l’antropologo feroce.
Al termine dello sfogo, ho chiesto ad Ambretta: “Insomma, nonostante eravate già entrati nella terza età, tu e il linguista vi siete corteggiati? Si è girata in fretta e non ha risposto, ma nel suo sguardo una luce birichina ho colto.