Non è esatto dire che mi autocensuro: mi martorio, mi autoflagello. Attento a non offendere nessuno, ossessionato dal non dare l’idea di stare da una parte piuttosto che dall’altra. Equidistanza ed equilibrio sono una legge non scritta, un modello di comportamento che seguo ogni giorno.
Non ho ferito nessuno e nessuno accontentato, non ho seguito nessuno e nessuno si è posto al mio fianco. Non ho dato né ricevuto. Ottima strategia, questo mio baluginare come un fantasma dietro una vetrata opaca, vero? Servita a raccontare a me stesso quanto sono bravo e sensibile, come eccello nel leggere e nel muovermi tra le righe. Eccome no, caro il mio vigliacco, eccome no.
Muoversi tra le righe non vale niente se non si è capaci di stare ben saldi tra le righe, ancorati a dovere. Ho spacciato me stesso come un raffinato intenditore del mondo. E lo sono. Ho sfruttato tale dote per perfezionare quel brillante esperimento di codardia che è stata la mia vita.
Ho interpretato male il concetto e ancora peggio l’ho applicato, dicendo quello che non andava comunicato e tacendo quello che avrei dovuto gridare.
Quante volte l’ho fatto, fraintendendo – anzi no, tradendo – la mia missione. Che era ed è la verità. Quale altra missione dovrebbe avere uno che scrive? Ho obliterato pensieri saggi e dato spago a riflessioni sghembe. Blandito vermi e ignorato anime lustre.
E tutto questo ondeggiare a vanvera, tutto questo rimuginare e mugugnare su cosa è opportuno dire o non dire è stato proprio tempo perso.
Alla fine ho capito che basta semplicemente pensare per sapere con esattezza come va fatto ciò che va fatto, come va scritto ciò che va scritto. Troppo tardi ho compreso e intanto sono arrivato a quello che il mondo chiama successo.
Autocensura era mia: io l’ho presa a pretesto per arrivare in vetta e ora la uso per tenere per me l’immagine esatta della mia sconfitta.