vuol si parva licet componere magnis et parva sed apta mihi
D’interno poesia, parlatorio virtutis e campo elisio.
Tre canti in quarantotto sestine in rima incatenata.
In prime
S’in agil terzina ed umili rime
potessi dissetare quella sete,
che mane e sera ed ora pur m’opprime
per lungo gir d’astri luna e comete
vieppiù m’abbeverei a quella fonte
e di quel sasso assaporar la quiete.
Ma in breve giro, inver, dell’orizzonte
vano orgoglio fu l’infierire e azzardo
su spersa fiera al fiume senza ponte.
Traghettaron faree, lòsco beffardo
lemure e senza sensi, pur sciacalli
riuniti s’unte cattedre di lardo.
Tarde consonanze di brevi balli
galà di cuochi pur senza livrea
fur l’assenso d’indebiti vassalli,
ma iniquo, su’ passi, il tornar parea
su mobil paludi d’esausta orma
pur invisibile a vista lincea.
Quella lonza accerchiata dalla torma
pur sapea, ingabbiata nella rabbia
ch’avea d’un labirinto stessa forma,
n’altro ‘pportun scender, fu nella sabbia
che l’acqua e il vento, ascondere aìta
fresca traccia, ch’alcun a veder s’abbia.
Sùbito stame, trasal dalle dita
e ‘l polline, se in puerile sfiatare
o zefiro gentil, sospir la vita;
si come aura all’oliva dispare
nuovo fiore tra l’erbe si disperde
ma in vita effluvio e fato poi riappare.
Nobile speranza vanta quel verde
e men vana libertà nè s’acquieta
che in quel sangue di fiera si perde.
Volle ‘l creato e natura ben lieta
latte disporre a quell’ardente bocca
qual senza mèta provvise al poeta.
Parola mite ed arcuata si fiocca
s’in chiaro pensier dispone ‘l suo corso,
e di lineo fil dipana la rocca
se debito afflato fila in concorso,
di morso e numero è fatto lo scoglio
pur se metafora vienle in soccorso.
Suon di presagi e memorie sul foglio
giocan di sogno e d’amore quel volo
nel saturnal giardino giammai spoglio
sia d’Apollo o Callìope quel figliolo
o d’Euterpe incipit et mater
qui a Dante l’omaggio è di Paòlo,
che indarno in Arno nettò la bocca in ver
In bina
Quella carità che sola, sovrana
permeerà l’Empireo d’umile gioia
e soave, d’avidità mezzana
non sarà premio, e lupa ed atra accidia
latrando, nell’animo ingordo avvinta
saran silenzio se tosto l’incendia.
Altro è il governar furia mai estinta
senza coscienza e intelletto del poi
se del narrar dell’umano presenta
miseria e scarno differir quel noi
scarso inutil drappello del morire
tacendo, sin che la cotenna scuoi.
Or, che al materno vòl volge in disire
screziat’ aura di quel solenne amore
conforta dolce china risalire
se invero d’anni, di cauto splendore
ed eufemio trillar d’aure sirene
or savio è il dirimer senza fragore.
Quale a tenero frate si conviene
cui dì in silente e mesto ruminare
portò ‘l consiglio e certo minor pene:
non si dia più ragione al discettare
del più modesto e leale rispetto
s’inutil pensar è van l’orchestrare.
Il futile sognar sia benedetto
e l’opra d’arco e dardo men cercare,
se poi con arte trafigge il petto,
se non in cor divino, quell’amare
d’eterna speme, luce e fede, attiene
consenso, nel giusto tempo del beare.
In qual dolo e pene s’ello s’avviene
è assai più dura cosa dirlo al core,
in disdegnate ombre di quel bene
or sofferto in quell’eterno dolore
dell’uman fato e del tutto il perire
nell’immancabil scorrere dell’ore.
Mite brezza vicenda lo stormire
di frasche d’augel senza nido poi
ch’altri verdetti e oscure reti in spire
per mano di schiere e d’èbeti eroi
crudele fato lo stender ritenta
cui nell’oro parmi intinger de’ suoi.
In corda di quel vol, sacra mi tenta
superba forza e sangue d’allegria
se per poesia e d’armonia omai estinta
ogni terrore è il mutare in gioia
ogni affanno s’estingue in pausa vana
se d’amata voce m’è cosa pia
in caritate di somma sovrana.
In terzina
Schiuse le labbra, in sè Colei ch’in trina
l’umano confin e ‘l sacro varcando
fausta salmòdia in giusta dottrina,
d’arcano eterno ardor, mite fiatando
spina e remota colpa del prim’Adamo
in sofia d’universale plasmando.
Or si placa nume e nembo in talamo
di certo amor e di nova alleanza,
or si tace frustro vento nel ramo
ch’in più s’anela in flebil speranza
sul vascello in procella flagellato
se invero, onore fu, quella sembianza.
D’inutil verbo ‘l ramo fu spezzato
in diamantina luce di fulgor strale
d’armonia riluce solar creato,
di verità le sacre schiere assale
lungi dal male del dimòn ragione
lauro e gioia di quell’acqua e del sale.
Ai nostri dì, poca virtù s’oppone
recalcitranti destrieri dimenansi
col piè calcando liberan il groppone
senza più oltre che l’andare innanzi
d’illusione in fervido sè tradire
finchè lo spirto vilmente s’ammansi.
In quel Sol, cui fiamma affina l’ardire
segreto segno e concetto compone
alto intelletto e d’amor cui salire,
diletto sogno di minor stagione
è ‘l sonno cui di quell’acque fur grazia
ch’ai pochi, sol, fu segno d’elezione.
Fatuo vaticin o specchio in ciel si spazia
del claustral ego e terreno timore
se di letame o paglia il bue si sazia.
Quando mirabile in equo lucore
in omo, uno eran l’astri e natura
e d’altro pasto ci governò l’ amore.
Non schiude forse il cerchio tal pastura
d’orizzonte, ch’oltre svelante sguardo
dell’incerto cammin lo rassicura?
Se pur in sorte di maggior corno m’ardo
dolce pensier a te giammai precluse
soave prece che prìa fu di Bernardo.
Nel grato congedarmi dalle Muse
cui concilio in umiltà mi fen parte,
e se di cuor le porte fur dischiuse
or secco inchiostro e lacrime di carte
s’in novo celeste esilio andarmene
fuor sè dell’erte vie, fuor sè dell’arte
in patris benedictio si conviene.
Ai Palmini Lucca Inverno 2021