Stanza degli ospiti

Filare ma non tessere

Scritto da Monica Dini

Questa mattina mia moglie si è svegliata con un labbro un po’ sgonfio. Ha rimediato con un rossetto viola intonato al fiocco sul tacco dodici. Mia moglie mette i soldi da parte per abbellirsi il culo. Dice che andrà rifatto il naso a nostra figlia quando sarà più grande. Dice che è perché ha preso il mio. 

Io amo mia figlia col suo naso.

Amo anche la proprietaria di questo bar, Cecilia. Ha la bocca storta per una vecchia paresi, sembra che sorrida sempre. Io lo vedo dagli occhi che non è così, intendo che non sempre sorride sul serio. So che è contenta quando ha il neo sullo zigomo sinistro. Me lo ha confessato lei che se lo pittura.

Vengo qui dopo il lavoro. Mentre bevo qualcosa guardo i pini del parco, le cornacchie si tuffano dalla cima.

Solo gli uccelli possono lasciarsi andare.

Mi piace stare qui con Cecilia che si muove tra i tavoli. Mi ascolta quando le parlo. Non sbaglia mai l’ordinazione.

Sento la gente che spiega come si allena una squadra, come si spara a una pernice e anche chi bisogna contattare per il fumo migliore. Io ho ereditato un capanno da cacciatore qualche anno fa, me lo ha lasciato lo zio Alfredo. Era un fratello di mia madre. Io non caccio, uccidere mi fa schifo. Questo Cecilia lo sa.

Oggi non ho lavorato. Ogni tanto me lo posso permettere. È pomeriggio e qui al bar c’è solo Ilio. Abbiamo la stessa età, da piccoli non avresti visto differenze tra noi, ma poi è partito militare. La gente dice che durante il terremoto dell’Irpinia siano morti tutti i suoi compagni di camerata sotto le macerie. È rimasto solo lui. Comunque sia da allora non frequenta più la realtà, almeno quella che di solito s’intende. Nel suo mondo privato ha fatto grandi cose, ha un lavoro: sindaco, magistrato, insegnante, falegname. È amato da molti figli partoriti in genere dalla parrucchiera. Cambia macchina spesso e te la indica con un dito se glielo chiedi. Se ti capiterà di incontrarlo vecchio in un modo insolito al di là della conosciuta vecchiezza, lo riconoscerai. Cammina appoggiato alla bici, attaccata al manubrio tiene una sporta piena di qualcosa. In genere sorride e dice che lui ce l’ha fatta. Ha dovuto studiare molto ma poi c’è riuscito.

Cecilia non c’è entra alle quattro. Pago un caffè a Ilio e vado a comprare le sigarette. La via centrale è lastricata da rettangoli di pietra. Immagino operai curvi su commenti millimetrici. Tutti uguali. Nell’incastro di un tombino c’è un Gratta e Vinci infilato come un lapis all’orecchio. Lo raccolgo, è grattato, me lo metto in tasca lo stesso. Il tabaccaio abbracciato alla slot-machine si distoglie malvolentieri per allungarmi le cicche. È una giornata fredda. Giusta per un punch bollente. Aspetterò Cecilia. Sarà quello il momento.

Il cartellone all’angolo della farmacia mostra l’efficacia di una crema antirughe. Le rughe il tempo le fa dentro e questo non si cambia. Tra me e Cecilia c’è questa faccenda: sembra che io per lei sia come gli altri clienti ma no … lei è venuta con me al capanno. Mi seguiva zitta nel bosco, è agile, e ci siamo baciati in un modo che io non avevo mai sentito. Mi è venuta in mente una partenza. Ma non siamo andati da nessuna parte. Lei è tanto sottile che scricchiola quando la stringo. Al capanno siamo stati seduti a guardarci intorno. C’erano anche gli scoiattoli in alto sui rami. Io l’avrei pure scopata, più adatto nel suo caso è dire: con lei avrei fatto l’amore ma poi abbiamo parlato. È una maniaca della raccolta differenziata e mi ha detto del neo. Quando siamo tornati in paese ognuno ha ripreso il suo posto di sempre. Se non fosse che a volte incrocio i suoi occhi e rimango lì dentro senza che mi cacci, non ci crederei che è venuta al capanno.

Ilio riparte appoggiato alla bici. Gli offro una sigaretta e lui la ciuccia per accenderla. È sdentato. Bocca “bùgia” si dice da queste parti.

Mi siedo qui sotto la veranda a fumare. Guardo i tuffi delle cornacchie, la questua dei passeri sotto ai tavoli. Mi domando quanti gradi succhiano alle chiappe le sedie di metallo. La campana dice che sono le tre. Tiro fuori il Gratta e Vinci. Chissà di cosa aveva bisogno chi l’ha comprato. Ha un numero non grattato. Chissà di cosa può aver bisogno uno che trascura di grattare un numero. Lo rimetto in tasca e rimango fermo. Io non credo alla fortuna. Credo ad altro. Potrei aver vinto. Me ne vado da qui con Cecilia, in un posto dove venga la neve d’inverno. Portiamo anche sua madre. È molto vecchia ma la faremo stare al caldo, troveremo un posto per lo stormo di cigni bianchi col becco giallo che da anni il suo uncinetto partorisce. Avremo una casa tutta su un piano, con il tetto di lastre di lavagna perché scivoli meglio la neve. Avremo una legnaia piena di ciocchi e ceste con dentro le pigne per avviare il fuoco. Spalerò la neve davanti alla porta e andrò a comprare il pane caldo. Ci sarà un forno lì vicino. Non ne posso più di grissini.

«Che c’hai in tasca una biscia che la tieni così stretta?»

È stato Mirio a parlare apre con uno strattone la serranda arrugginita della cartoleria.

Guardo l’orologio tre e quaranta.

«Sei in ritardo Mirio o mi sbaglio?»

«Ti sbagli … io non ho padroni»

Questo è un bel posto. La mano mi formicola l’ho tenuta così stretta sopra la tasca che si è fermata la circolazione. Apro e chiudo le dita. Tra poco arriverà Cecilia e il mio punch caldo. Tiro fuori il Gratta e Vinci lo raschio con l’unghia del mignolo. 41. Ho vinto. Gratto il premio. Duemila euro. Ti capita mai di far finta di niente davanti a una sorpresa? Sto immobile. Ci sarà un errore. Sì, penso che debba esserci un errore. No, è proprio vero. Ho vinto duemila euro. Chissà cosa doveva farci quello che lo ha comprato.  Mentre ragiono che sono pochi per andarmene con Cecilia telefona mia moglie per dirmi che farà tardi, il chirurgo estetico è così carino da riceverla subito. E così ho ricordato le foto nel suo studio. Culi come O di Giotto, nasi che sentono sempre qualche puzzo. Croci fluorescenti su quarti di lardo sacrificabili. Mi tornano in mente anche i commenti millimetrici del lastricato. Ma ecco Cecilia. È in bici.

«Buonasera!» mi dice ed io so che lo è. Ha il neo pitturato.

«A te – rispondo – ti aspettavo in gloria, nessuno fa un punch come lo fai tu.»

«Grazie … te lo porto tra un minuto. Mi sistemo e arrivo.»

«Ti aspetto, intanto vado un attimo in cartoleria. Torno subito.»

Le dico così perché mi è venuta un’idea. Mirio mi vende un biglietto d’auguri di quelli porta soldi. È per il diciottesimo compleanno ma chi se ne frega. Senza che lui mi veda ci scrivo: compra a tua madre tanti gomitoli di cotone. Uno anche nero. Esistono i cigni neri.

Metto nella busta il biglietto con il Gratta e Vinci e torno al tavolo.

Cecilia ha messo la cuffietta e mi porta il punch bollente. Ha le mani arrossate e crude. Ha un cerotto sul pollice. Di certo uno di quei piccoli tagli che vengono quando la pelle è troppo consumata.

«Devo darti una cosa.» Questo le dico mentre soggiorno un po’ nei suoi occhi senza che mi cacci. Le metto in mano la busta del diciottesimo.

«Mah?» mi fissa.

«Va bene così. Non fa torto a nessuno.» Le rispondo convinto.

Lei rientra nel bar e io la guardo mentre respiro un po’ il punch perché quello va respirato prima.

Non fa poi tanto freddo anche se ormai è notte. Si è ricomposto il popolo di tutte le sere. Gente che ragiona di caccia, di donne, di calcio e di fumo. Di vino e corretti.

Cecilia sorride mentre lavora. Io sono l’unico che lo vede bene.

Un giorno di tutto questo credo che ne riparleremo.

L'autore

Monica Dini

Monica Dini vive e lavora a Camaiore paese della campagna toscana. Ha pubblicato le raccolte di racconti: Sulle Corde a cura della Società Speleologica Italiana (2006), Leggerezze – Besa Editrice (2009), Lezzo – Tralerighe Libri (2015), Angoli Acuti – Tralerighe Libri (2017). Uno dei suoi lavori è presente nella raccolta di racconti HOTell Storie da un tanto all’ora edita da WhiteFly Press. Ha collaborato fino alla fine con la rivista on-line Sagarana diretta dal Prof. Julio Monteiro Martins, è stata più volte ospite della rivista on-line El-Ghibli diretta dal Prof. Pap Khouma, ha collaborato la rivista Prospektiva di Andrea Giannasi. Alcuni suoi racconti sono apparsi su La Macchina Sognante la cui macchinista è la scrittrice Pina Piccolo. Un suo scritto è presente nel primo numero della rivista DieciCento fondata da Carlos Bolaños e Nicola Feo (2017).

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