Il testo si presenta al lettore nella forma complessiva di una geografia sentimentale,
lungo un tempo storico dilatato, condensando un immaginario che scava a fondo nella
memoria individuale e collettiva, dalla cosmogonia di una terra misteriosa alle profondità
vive, sino all’approdo su sponde più oniriche e rugginose, alla scoperta, tra incontri, viaggi
ed illuminazioni, di veri e propri luoghi dell’anima.
Qui, di seguito, la sezione: “Frammenti di un racconto interrotto”
I
CANTILENA SONAGLIO
A voi nell’onda tumultuosa,
a voi, uomini persi e avvinti alla tempesta,
che alla deriva, oltre la tenebra dischiusa,
il mare impone sempre la sua voga. Mesta
appare l’alba con il suo ghigno duro,
– andiamo! – nel cuore vivo, all’intemperia,
come un pendolo al suo rintocco oscuro,
che mai si arrivi a dire: compagni!, è mia
mia è questa fine. Nostra speranza illusa,
o forse incoscienza, all’opposta riva
l’argano tendiamo, alla proda socchiusa
delle vele, e risalendo l’ondosa groppa, si va
nel lungo abisso, seguendo il nero delle spume.
Ombre di inermi e languore, si vela la cruna
dell’anima e altro non attende che un nuovo lume.
Più intensa, nel buio estremo, riverbera la luna.
II
I CORVI DI LE MARAIS
a Chiara Nigra, a Frida Neri
Quartiere Le Marais, poco dopo mezzogiorno
vicino Rue Saint Paul; due corvi appollaiati
su un mandorlo in fiore, improvvisamente seguono
i miei timidi passi. Vedo un sonaglio che vibra, incassato,
ad una finestra, lungo un vecchio palazzo medievale.
Diventano sei, sei passi nel cuore del giorno infuocato.
Due sono il passato, due gli occhi aperti in un sogno vivo.
Splende, lungo le vie, un sole parigino. È un anello di opale!
Sotto il ponte di Saint Louis, alla stessa ora
due giovani amanti si baciano piangendo
all’ombra della Cattedrale; altri corvi, sempre neri,
gracchiano nella notte, anch’essa nera, invadendola.
In un giardino lontano si appartano i ragazzi. Sotto l’arco
del cielo. Anime nella polvere. Iridi perse nelle strade buie.
La città è tutt’attorno; c’è solo un piccolo varco
dove il sole filtra, dove l’erba danza e il canto è ovunque.
Parigi, 12 aprile 2014
III
PETIT SABLON
[nudità dei tulipani]
Ferma l’anima muore. Spirito dalle grandi chiome,
invoca il moto come suo primo respiro.
Alle porte del sogno è un paese di lacrime
e profonda, follemente turbata nell’odore,
si schiude l’anima come un tulipano!
Nella quiete si culla delle ore notturne.
Nuda, in un letto di foglie, salpa all’abbandono
su un battello di giovani vertebre, nel pieno
languore, sulla fragile rotta. Ed è in questa primavera,
sui canali del nord, che appena sbocciato
un sole gotico brilla. Ora tutto è in fiore!
Tutto, trepidamente perso nell’urgenza della vita.
E in un vortice che strugge il cuore,
sulla soglia della città vecchia,
rivedo i suoi occhi azzurri
nella semplice attesa di un lungo bacio.
IV
SULLE SPONDE DEL DANUBIO
Hakan macina caffè. Un sorriso di rughe
si staglia sugli zigomi rotti. I suoi baffi fanno l’inchino!
Ha un’anima odorosa, l’ombra delle malghe
selvatiche che si stempera lungo il cammino
delle ore. E il sole dardeggia sul tritume amaro.
La riva silenziosa del Danubio sino al cuore
umido del Prater serpeggia. Lì, nella città vecchia, al riparo
dal grigiore dilagante, uno squarcio di cielo turco si apre
come un sipario di volti, tra i grattacieli abblusati.
E l’odore si spande, implacabile, nella sua veste oscura.
Ode al caffè nero!, al cardamomo che allunga i fusti aggrumati
poiché lì affonda il viaggio senza rotta delle palpebre.
Cuore caldo e corposo, arcaica migrazione del pensiero,
alchimia di un rito che svela, tra le pieghe nascoste, il fondo
dell’anima. L’aroma solca le sponde come un veliero!,
è un vento caldo che brucia le gole, che inebria il profondo
incontro delle labbra. Qui prende vita il mercato,
più sacro dei secoli, miasma di spezie e tabacco.
Hakan fuma. Malinconico, inerme, rassegnato.
Ad ogni boccata, un ricordo di Düzce!
V
VIAGGIO INTERIORE
Nelle carte consunte di un libro
sento l’odore delle bettole al molo,
dei vecchi mozzi arresi sui banconi, all’ebbro
risuonare dei bicchieri. Ma non è solo
il pensiero che rivendica il suo tormento! Rivive
l’occhio nel cuore delle palpebre, nei gesti rattrappiti
dei portuali, nelle schiene possenti e ricurve
sul legno dei tavoli. Acchigliati alla terra. Sconfitti
dalla burrasca, che alla darsena li lega
come gabbiani rassegnati e muti. Amo le mareggiate.
I sepolcri di una riva autunnale, l’alga
marina sferzata dalle spume. Ricorda le orme lasciate
in un viaggio di secoli, sull’umida sabbia.
Fratello di sangue è il mare! Nelle vene
lo sento scorrere, respirare quieto e tempestoso, aria
intrisa di salsedine, abisso che attenua le pene.