She briefly rippled across
the darkened windows …
She briefly rippled across
the darkened windows …
Le tre poesie di Peter Hughes proposte fanno parte della raccolta The Metro Poems (1992). Dice l’autore dell’occasione che ha portato alla stesura dei testi:
Back in the 1980s, when I was living in Rome, I wrote a sequence called The Metro Poems. This had one poem for every station of the Metro (back then there were only 32 stops – of course, there are more now)(1)
Un recente volume di saggi sulla poesia di Peter Hughes(2) contiene, fra gli altri, un intervento di Peter Riley che si sofferma proprio sui Metro Poems
The Metro Poems is a set of short poems whose titles are those of stations on the Rome Metro as it was … when [Peter] lived there (near the Anagnina Metro terminus) and […] travelled on the Metro most days to work. These names occur in the actual sequence of the stations from north to south […]. But the connection between the titles and the poems is unstable, sometimes not apparent at all, and never much more than casual. […]. Many … poems have settings which clearly have nothing to do with the place named in the title, often a domestic interior. Nor is there any sequentiality to the poems … beyond that of their titles, any sense of development to a conclusion […], though the poems clearly belong together. Half of them have fourteen lines, … there is a sonnet-like movement to many of them […]. But … the impression [is] that the purpose of the Metro structure was quantitative: a demand which the poet set himself to write a substantial number of poems of more or less the same kind; […] compared with earlier work, these poems show a venture to a new threshold, the realisation of a fecundity and tension which made this the first of his writings to command attention.
Siamo di fronte a trentadue testi legati da un elemento: i titoli, tutti desunti dai nomi delle (allora) 32 stazioni metropolitane romane. Tuttavia, la connessione fra titoli e testi è – dice Riley – labile, per nulla chiara, anzi casuale. In altri termini, fortuita: dovuta al semplice fatto che l’autore viveva in quegli anni a Roma, viaggiava in metropolitana, che la raccolta doveva contenere un numero di testi dello stesso tipo formale (alcuni sono sonetti) e tematico (metro-poesie). Pure, immagini e situazioni non hanno legame con le stazioni che danno i titoli alle poesie. Il caso governerebbe la scelta.
Il caso è solo la faccia a noi visibile degli infiniti fili o sentieri incrociati che tramano la filigrana del destino, e a volte un bizzarro fatum in fabula gioca provvidi colpi esistenziali che, sul piano creativo, si rivelano felici scherzi simbolici. Un esempio? Nella cultura ebraica 32 è numero significativo. Trentadue, infatti, sono i sentieri della Sapienza secondo la Kabbalà. Ma è (ovviamente) un caso che, quando Peter Hughes ha scritto i Metro Poems, le fermate della metropolitana a Roma fossero proprio 32.
Sia come sia, le trentadue fermate di un iter giornaliero, hanno portato alla scrittura di 32 testi che si pongono quali stazioni (posadas: luoghi/momenti di sosta) e insieme tappe di un percorso metropolitano che è in prima istanza viaggio ideativo. I trentadue Metro poems scandiscono infatti un iter interiore che, snodandosi in una teoria di impressioni, approda alla cognizione della realtà, di sé e del proprio esistere nell’orbita di una parola che si manifesta in folgoranti intervalli intuitivi, nei riflessi deformati che lo specchio della vita riverbera.
Si pensi alle figure che danno visibilità all’intuizione nel suo farsi parola. Emblematici sono nei testi proposti il fiume Sangro (Repubblica), il lago invernale non ancora raggelato in lastra di ghiaccio/ specchio (Ponte Lungo), le vetrine oscurate su cui il riflesso di Lei (musa, parola, poesia, bellezza, vita?) inopinatamente si increspa (Furio Camillo).
Sempre a proposito di caso, c’è un altro elemento casuale, stavolta di natura linguistica. Infatti, in italiano metropolitana sovente abbreviato in metro è il termine per subway (US), underground (UK), tube (Londra), metro (Francia). Metro è, però, anche la parola italiana per riferirsi a versi e a misure ritmiche. Non si sta suggerendo che ci sia un gioco interlinguistico intenzionale; nondimeno, un lettore di media cultura vede nell’espressione Metro poesie delle ‘poesie metropolitane’, ma pensa, per analogia, a metro poetico, metrica, versi. Così le Metro-poesie diventano poesie in metro, con un preciso profilo formale.
È del resto di nuovo un (comodo) caso che Peter Hughes, in un’intervista rilasciata ad Aaron Game(3) in cui parla dei suoi studi nel Regno Unito, dell’ incontro con Nigel Wheale, Andrew Crozier, la poesia, menzioni fra l’altro il suo viaggio in Italia e – guarda caso – la prima riflessione a sorgere spontanea a questo riguardo è di natura linguistica:
[…] Then I went to Italy. Becoming immersed in a different culture and language gives you some valuable perspectives on your own language, I found. It reminds you how arbitrary and provisional language is, and identity too.
Il contatto con una cultura diversa dalla propria è, soprattutto, incontro con una lingua diversa, incontro che ha il potere di aprire nuove prospettive di pensiero e di rivelare come il linguaggio sia un sistema arbitrario e precario. Questo vuol dire che i Metro Poems avrebbero potuto chiamarsi subwa, underground o tube-poems (anche queste scelte avrebbero avuto un senso), ma dal momento che il titolo è Metro-Poems (perché ogni poesia ha il nome di una stazione della Metropolitana) la scelta terminologica colloca la sequenza in una precisa temperie culturale e linguistica (quella italiana) e i sensi della parola Metro danno luogo, nel sistema italiano, a doppi-sensi. Mettendo da parte congetture linguistiche e scherzi del caso, vediamo cosa scrive Nigel Wheale dei Metro Poems
[an] intensely pleasurable, integral writing snatched from life in the city, foiling the world above ground with the ever-present metaphorical clatter of tunnels beneath the ruins.(4)
Poesia in cui uno sferragliante (clatter è anche vociante) e metaforico mondo di gallerie sotterranee fa pensare all’universo che brulica sopra quei tunnel tintinnanti, dove treni vengono e vanno, portando anime da un punto all’altro della città, fino agli snodi di emersione che immettono al livello superiore: il mondo dell’esistenza, ma anche delle rovine, dove il passato convive col presente, la morte con la vita. Poesia di alto potenziale simbolico, la cui cifra essenziale è l’intuizione che viaggia per canali sommersi.
Poesia intuitiva, ma tangibile nella vivida concretezza di immagini e suoni. Del resto, Peter Hughes è pittore astratto: la sua scrittura non può non riflettere esperienze e cognizioni artistico-musicali. Questo è evidente in una plaquette poetica del 1995: Paul Klee’s Diary.
Nei testi poetici di Peter Hughes si avverte l’interconnessione di poesia, musica, pittura, arti sorelle che cooperano a esprimere temi esistenziali sempre filtrati dall’acuta sensibilità di un soggetto lirico in empatia profonda con la vena ipogea – la fonte nascosta – dell’esistenza.
Al di là di un ricco universo culturale, ciò che si avverte nei versi è una spiccata capacità di empatia. Quando Hughes parla di sé(5) (intervista di Aaron Game) si vede che la poesia è per lui sempre un mezzo per comprendere la vita ed esprimerla:
I. As a poet, do you always enjoy what you are doing?
Writing is a tiny part of being alive. If I don’t feel like writing I don’t write. I chop up some kindling, prick out some leeks, listen to the cricket or take the dog for a walk. Or read, or plan a trip, or look at some Oystercatcher manuscripts, or update the website. Or make a pasta sauce.
Sì: scrivere è solo una piccola parte della vita e, per sentirsi vivi e scrivere parole vive, si deve essere in comunione profonda con la sorgente segreta della vita.
[1] Citazione da un’email personale.
[2] I. Brinton (curatore), An intuition of the particular’: some essays on the poetry of Peter Hughes, Shearsman Books 2013; p.24
[3] A.Game, I don’t call myself a poet, 2012-08-08 https://idontcallmyselfapoet.wordpress.com/category/poets-f-k/hughes-peter/
[4] Citato da <https://books.google.it/books/about/Blueroads.html?id=MbN-BWtDvXEC&hl=it >
[5] A.Game, cit.