julio monteiro martins
Gli agenti dellordine salgono sullautobus, imponenti nei loro alti e sfavillanti stivali neri, e guardano in modo inquisitorio i passeggeri, uno ad uno. Tutti devono esibire, senza indugi, i documenti didentità. In fondo allautobus cè un ragazzo chiaramente straniero, stretto al suo zaino. I poliziotti, tronfi, gli si avvicinano. Il veicolo è ancora bloccato alla fermata. Il ragazzo mostra tremante un foglio di carta spiegazzato, che gli agenti esaminano con diffidenza. Una delle porte si apre e il ragazzo viene trascinato fuori a spintoni e rinchiuso in un cellulare dello stato, affollato di uomini e donne. Gli altri passeggeri tengono lo sguardo basso, complici. Ora lautobus può ripartire.
In quale film o libro è presente questa scena? In 1984 di Orwell? Nel Mondo nuovo di Huxley? In Blade runner? Oppure in qualche vecchio thriller sulla Gestapo? O in Roma città aperta? O forse si tratta solo di un incubo dello scrittore?
Purtroppo non è così. Questo orrore accade proprio oggi, in qualsiasi grande o media città italiana, con il festoso e agghiacciante consenso della maggioranza dei cittadini, vittima di una propaganda paranoica. Chi lavrebbe mai creduto possibile solo dieci anni fa?
Quale grave delitto ha commesso quel ragazzo scaraventato giù dallautobus? Aveva con sé un permesso di soggiorno scaduto. Ecco tutto. Ma lasciatemi dire due parole sul rifiuto di soggiorno. In un mondo globalizzato come il nostro, questo rifiuto è la materializzazione di uningiustizia assoluta, della disumanità istituzionalizzata, dellesistenza di una casta inferiore, gli intoccabili del terzo millennio. Questo rigetto proviene da uno Stato ottuso, brutalmente indifferente al dramma degli individui e delle società. Un rifiuto senza legittimità, e quindi senza i presupposti etici della legalità.
Agli stranieri presenti sul suo territorio, lItalia è disposta a offrire un assaggio di sé, ma non il pasto completo. Così il paese sottrae a migliaia di persone oneste, uomini e donne, la legittima possibilità di ricostruirsi una vita e unidentità altrove, di non rassegnarsi alla rovina della propria esistenza. Simone Weil, nella Prima radice, ci ricorda che sono gli Stati, con le loro guerre, deportazioni, carestie e stermini di massa, i principali responsabili dello sradicamento che ora si accingono a criminalizzare. Ma riflettiamo: chi è il vero criminale in questa storia? Il fragile individuo che vuole restare sulla terra che ha imparato ad amare o lo Stato che lo respinge e gli si accanisce contro con il suo bestiale apparato repressore? E che, così facendo, lo sradica una seconda volta? Uno Stato latitante di fronte alle proprie responsabilità universali e indifferente alla sorte dellaltro, anzi pronto a gettarlo oltre il muro. Cè tanto da vergognarsi, ma soprattutto cè tanto da fare, tante lotte da intraprendere, perché un orrore come questo non abbia la benedizione dei cittadini e non acquisti mai, da nessuna parte, lo status di normalità.