Interviste Supplementi

Intervista. Luisa Carrada

… AIUTIAMO LE TARTARUGHE RAGGIUNGERE IL MARE …
UN’INTERVISTA A JULIO MONTEIRO MARTINS, FONDATORE DELLA SCUOLA DI SCRITTURA CREATIVA SAGARANA

Di Luisa Carrada

Sagarana, ovvero “saga infinita” in portoghese. E’ il nome che lo scrittore brasiliano Julio Monteiro Martins (link alla pagina del tuo sito con la tua biografia) ha scelto per la sua scuola di “arte e tecniche del narrare”.
Un nome misterioso, un sito internet (link alla tua home page) dai testi intelligenti e dalle immagini bellissime …. c’era solo da scoprire chi vi stava dietro.
E siccome i siti riflettono sempre la personalità del loro autore, la mia curiosità e le mie aspettative non sono andate deluse. Julio Monteiro Martins ci parla di scrittori e letteratura, ma anche di Internet, di e-mail, di fotografia, di una piccola città toscana e di cosa sta succedendo all’interno delle sue mura.

 

Chiedere a te, che hai aperto una scuola di scrittura, se a scrivere si può imparare, mi sembra davvero superfluo. E’ evidente che entrambi ne siamo convinti. Mi domando però sempre  “cosa” e fino a che punto si può realmente imparare. Io penso che si possa imparare a leggere, ad apprezzare la letteratura, a capirne i meccanismi, a scrivere quindi con maggiore consapevolezza …… e questo sarebbe già moltissimo. Ma cosa fa la scuola e cosa fa il talento?

“L’uomo è l’uomo e le sue circostanze”, diceva Ortega y Gasset. Lo scrittore non è il miracoloso risultato di un misterioso”dono degli dei”, o di un capriccio della “musa ispiratrice”. È invece il risultato di un particolare processo di formazione – culturale, psicologica, esistenziale, etica – che agisce su una specifica sensibilità. L’opera che lo scrittore produrrà sarà quindi la materializzazione di questa formazione e di questa sensibilità, attraverso un linguaggio e delle tecniche narrative imparate dalle letture o da un apprendistato guidato.
Questo è vero anche per le altre forme di espressione artistica, che contano però – già da molto tempo e con unanime consenso sociale – su scuole di formazione: la pittura, la scultura, la musica, la danza, il teatro, il cinema. E ora è vero anche per la letteratura, finalmente.
È curioso notare che, al contrario delle sue sorelle, l’arte dello scrivere è circondata – accerchiata, direi – dai più oscuri preconcetti. Fino a poco tempo fa in Italia, e anche nel mio paese d’origine, il Brasile, c’erano delle resistenze subdole – e mai razionalmente giustificate – ai corsi di formazione per giovani scrittori.
Nel mio articolo “Uova di cigno, uova di tartaruga” (link diretto all’articolo) racconto la mia prima esperienza del genere a Rio de Janeiro, e faccio un paragone tra gli scrittori esordienti e le uova di tartaruga, abbandonate sulle spiagge per essere covate dal sole. Quante piccole tartarughe saranno in grado di raggiungere il mare, prima di essere portate via dai predatori (la pubblicità, le tentazioni del consumismo, le illusioni di un prestigio sociale)? E perché allora si vuole applicare agli scrittori in formazione questa sorta di “legge della giungla”, già da tanto tempo addomesticata nelle altre arti?
A mio parere, una società che apprezza i suoi valori e le sue aspettative deve fare un grande sforzo verso la formazione di nuovi bravi scrittori. Nel mio continente, per fare un esempio, gli scrittori hanno creato le condizioni ideologiche per la fine delle dittature militari negli anni ’70 e ’80. Bisogna capirci: la letteratura non è uno svago né un ornamento, bensì una potente forza di trasformazione sociale.

E’ vero, le accademie di belle arti esistono ormai da più di due secoli, mentre le scuole di scrittura stanno nascendo soltanto ora. Lo scrittore è ancora circondato dall’aura del genio solitario, contrariamente ad altri artisti. Non sarà anche per questo che in Italia non abbiamo una letteratura che definirei “media” – in senso buono naturalmente -, e degli scrittori che sappiano intrattenere e raccontare delle belle storie senza per questo essere necessariamente dei grandi innovatori?.

Il problema di quelli che tu chiami “scrittori medi” è che né i lettori, né i critici e tantomeno loro stessi hanno gli strumenti per valutare se sono “medi” o “grandi” nel momento storico in cui scrivono le loro opere. Sono pochi gli scrittori considerati “grandi” in vita che hanno retto questa stessa valutazione dopo cinquanta o cento anni. Anche perché, al di là del merito propriamente letterario, ci sono caratteristiche comportamentali, di carattere e di carisma personale che condizionano fortemente il cosiddetto “successo letterario”; soprattutto oggi, quando siamo di fronte all’aberrazione prodotta dai media, che tendono a celebrare gli “scrittori” per quello che trasmette il loro “personaggio pubblico”, magari durante un’intervista in cui parlano di tutto e del contrario di tutto, senza badare a cosa hanno scritto.
Colette, Rudyard Kipling, Anatole France e Pearl S. Buck sono casi di scrittori la cui rilevanza e prestigio sono stati ridimensionati negli ultimi decenni. Ma succede anche l’inverso. Solo oggi, tanti anni dopo la loro scomparsa, è possibile scorgere la grandezza di alcuni scrittori considerati in vita dei “medi”: Kafka, Leopardi, Melville, Emily Dickinson, Guimarães Rosa e, a partire dall’Ottocento, lo stesso Shakespeare.
Le grandi opere che si confrontano con la condizione umana non sempre hanno un occhio attento alle circostanze momentanee, e così l’attenzione dei lettori e di una certa critica si sposta altrove, ad altri libri che sembrano più originali e innovativi. E spesso queste false “grandi opere” non sono altro che sterili sperimentazioni linguistiche piene di snobismo, di cattivo gusto, di pedanteria di stampo conservatore o di aggressioni sconclusionate. E tutti si vogliono far passare per “moderni”. Mentre il veramente moderno, appunto per questo è difficile da identificare immediatamente. Nelle “Lettere a mio padre” è sconcertante verificare quanto Kafka fosse convinto lui per primo di non essere altro che uno scrittore “medio”.

Noi abbiamo entrambi a che fare con la scrittura, ma i nostri obiettivi sono molto diversi: scrivere per informare e vendere, scrivere per raccontare …… ma in realtà io non credo affatto alla separatezza tra i vari tipi di scrittura. Sono anzi convinta che anche lo scrittore professionale impari soprattutto dalla letteratura …..

Sì, hai ragione, perché è la letteratura che mantiene efficiente il linguaggio, che promuove – attraverso la sperimentazione e lo sforzo di ricerca della “parola giusta” – la sintonia di cui il linguaggio ha bisogno, anche quello usato nei giornali e nella vita quotidiana. I neologismi creati nelle opere di narrativa, i vocaboli gergali da esse regalate all’universo lessicale corrente, sono alcuni esempi dei processi attraverso i quali la creazione letteraria agisce sulla lingua, aggiungendovi un rinnovato impatto e una grande precisione.
La letteratura, così, quando ben sviluppata, è in grado di ripristinare periodicamente l’equilibrio tra il cambiamento dei concetti all’interno di una cultura e il linguaggio a disposizione per esprimerli. Così, tutti, senza eccezioni, imparano in un modo o nell’altro dalla letteratura. E imparano non solo a esprimersi. Imparano soprattutto a pensare. A essere.

Tutti noi che scriviamo ci stiamo avventurando su Internet. Io per incontrare altre persone che fanno la mia strana professione di scrittore di impresa, tu per far conoscere la tua scuola. E stiamo un po’ tutti sperimentando nuovi modi di scrivere e di interagire con gli altri.
Ma pensi che si potrà davvero raccontare delle storie su Internet? E come immagini queste storie?

Una cosa è sicura: l’espressione scritta ha avuto una grande rinascita dopo l’avvento di Internet, non solo nella composizione dei nuovi siti, sempre più ricchi di contenuto – e credo sia questo il loro destino finale, quello di accogliere dei testi profondi e intensi, non superficiali e leggeri come a volte può sembrare –, ma anche nell’abitudine allo scambio di messaggi e-mail. Vedo per il futuro prossimo la crescita esponenziale della lettura e dello scaricamento a basso costo di opere letterarie disponibili online. Le limitazioni tecnologiche della lettura sullo schermo del computer, o su fogli A4 – non altrettanto piacevole di quella sui tradizionali supporti cartacei – saranno superate in breve tempo.
Siamo molto vicini ad un cambiamento epocale nell’industria editoriale e in tutto il sistema di trasmissione dell’informazione e dell’apprendimento. Credo che ci sarà una grande democratizzazione della letteratura; si potranno acquistare libri pagando praticamente il copyright e poco più, racconti e poesie potranno essere scaricati gratis dalle molte riviste online. Insomma, sarà l’emergere di una società di cittadini-lettori che diventeranno anch’essi emittenti di messaggi, tanto artistici quanto critici, e non più soltanto spettatori passivi, come ancor oggi in generale si verifica. Il nuovo uomo è un uomo che sente, parla e scrive, consapevole della sua irrinunciabile unicità.
Credo che un adattamento nella struttura dei generi letterari sarà inevitabile. Magari il racconto breve, o quello di medio respiro, tornerà finalmente ai vertici dei tempi di Edgar Allan Poe, di O’Henry, di Maupassant.
È possibile anche che la poesia e il “pétit poème en prose” trovino nuovi adepti e si ritaglino degli spazi privilegiati. Il mini-racconto, ad esempio, potrà godere di un’inedita popolarità dopo le sorprendenti creazioni di Borges e di Cortázar. L’aforisma alla Canetti o la massima alla Epitteto sono opzioni interessanti… Infine, ci sarà senz’altro un rimescolamento dei generi, i cui confini si faranno forse meno netti, meno rigidi.
La scrittura dovrà diventare ancora più flessibile, più in grado di essere modellata da ciò che si vuol dire attraverso di essa, più vicina all’essenza del pensiero. Credo che questi cambiamenti siano già in corso. Alla fine, secondo me, avremo una crescita generalizzata della qualità letteraria e dell’importanza della parola al servizio dell’immaginazione.
È come se l’Occidente si fosse reso conto finalmente che non ci sono altri modi migliori per affrontare la complessità del presente. È solo attraverso la narrativa e la poesia che l’intuizione acquista un valore simile a quello della ragione, e l’intuizione è uno strumento di conoscenza prezioso in periodi d’instabilità e disorientamento.

Alla scuola Sagarana c’è molta attenzione anche per la fotografia, un’attenzione che emerge fortemente dalla grafica dal tuo sito. E’ una passione personale o c’è qualcosa di più?

Scrivere è soprattutto fare delle scelte difficili. E fotografare è l’arte della scelta, è selezionare dall’universo delle immagini quelle che potrebbero rappresentare più fedelmente un sentimento collettivo diffuso, magari inconscio.
Vedo quindi grandi identità tra l’arte letteraria attuale – principalmente quella del racconto breve – e la fotografia moderna, mentre il cinema sembra trovare più identità con il romanzo. La fotografa statunitense Diane Arbus, per esempio, era una grande creatrice di personaggi bizzarri. Il brasiliano Sebastião Salgado narra le vicende drammatiche della maggioranza ammutolita dell’umanità.
In verità, il fotografo ci offre la perplessità dello sguardo. Nel conficcare lo sguardo nell’attimo fuggente, il fotografo ci permette di esaminarlo con calma, di conoscerlo interamente, di scoprire il labile confine tra sguardo e mondo.

Che succede ultimamente a Lucca? Sta diventando una piccola capitale italiana della scrittura. Prima “Scrivere oltre le mura”, ora la tua scuola ……

Sì, è proprio così. Quest’anno, a fine agosto, abbiamo realizzato la 3° edizione di “Scrivere Oltre Le Mura” (link al sito), che a Lucca riunisce ogni anno circa 150 giovani scrittori di tutte le parti della penisola insieme a scrittori sperimentati, dell’Italia e dall’estero, per un’intera settimana di convivenza e di creazione letteraria.
Quest’anno abbiamo creato anche un “caffè letterario” serale nei giardini di Villa Bottini, un’esperienza molto riuscita e molto divertente di scambio fra la produzione creativa degli allievi e i professori.
Durante questa settimana di fine estate Lucca diventa “la città della scrittura”. E devo dire che sembra sia stata fatta per questo. Si tratta di una città perfettamente conservata, con un scenario medioevale e rinascimentale di grande dimensione e di grande bellezza. Le sue mura sono una sorta di “mandala”, di circolo perfetto, di serpente che si morde la coda, come gli antichi rappresentavano miticamente l’universo. L’ambiente, l’atmosfera di Lucca offrono un senso di protezione e di integrità spaziale che la fa somigliare ad un’isola in terra ferma. Per quello che è, e per la sua posizione privilegiata nel cuore della Toscana, l’ho scelta come città per vivere e anche per accogliere, in una delle sue splendide ville del ‘600, la Scuola Sagarana, un nucleo di studi di Scrittura Creativa di alto livello, che inizierà le sue attività a partire del primo mese del prossimo millennio.

L'autore

Luisa Carrada