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Intervista. Luca Fezzi

JULIO MONTEIRO MARTINS E LA «MANDALA» DI PIETRA

di LUCA FEZZI

A Lucca e alle sue mura, la «mandala (ovvero, in sanscrito, il cerchio) di pietra», Julio Monteiro Martins ha dedicato le seguenti parole: «Alla parola «mura» è stata regalata una nuova, insospettata, accezione: non più quello che divide, che separa l’io dall’altro, ma quello che li avvicina. Non più dentro o fuori, ma sopra. Mura adesso è via, cammino, sentiero. Un sentiero lungo, che attraversa un prato e una prigione, un giardino con statue e una fortezza, una chiesa d’oro e un vivaio di cipressi, per portare il viandante giusto al punto di partenza iniziale. Questa mandala di pietra, non sarà un’imitazione scettica, saggia, della vita stessa? Non ci insegnerà per caso che il senso del camminare è scritto e poi cancellato mentre si cammina? E che «mentre» è l’unica parola che, alla fine, resiste intatta?». Da questo scritto emerge profondo il senso della vita di Monteiro Martins, di una vita poliedrica, trascorsa tra impegno sociale, scrittura e viaggio, in un continuo cammino verso gli altri. La vita di uno scrittore brasiliano che ha trovato, proprio in Lucca, una nuova patria. Ma quando è avvenuta questa scoperta? A rispondere a questa domanda è lo stesso Monteiro Martins. «A fine luglio saranno dieci anni dal mio viaggio a Lisbona, dove ero andato per portare all’Istituto Camões il primo workshop di scrittura creativa. Avevo appena compiuto quarant’anni. Il destino ha voluto che laggiù conoscessi Cristiana, una ragazza di Lucca. Quando poi io sono tornato in Brasile e lei in Italia, ci siamo scritti continuamente per sei mesi, mentre io chiudevo tutte le mie attività di avvocato per i diritti umani e di professore universitario per iniziare una nuova vita in un nuovo continente. A un anno dal viaggio a Lisbona sono partito per la seconda volta, per non tornare più in Brasile.» Come è stato l’impatto con il nuovo continente, con l’Italia, e in particolar modo con Lucca? «Conoscevo già molte lingue, tra cui anche il giapponese, ma purtroppo non l’italiano. Ho dovuto impararlo in fretta, prendendo lezioni private, parlando con la gente, guardando la televisione e leggendo continuamente. Parlare con la gente è stato importante, perché sono gli altri, come le ostetriche, a farti partorire la nuova lingua. Io avevo deciso che Lucca sarebbe stata la mia seconda città. Il mio rapporto con Lucca si è poi rinforzato con la nascita di nostro figlio, Lorenzo, che ora ha otto anni. Lorenzo è lucchese, e quando tu sei uno straniero è un po’ come se fossi il figlio di tuo figlio, che ti conduce per mano in una terra nuova. Quando ho iniziato a dominare la lingua ho iniziato a scrivere in italiano e a farmi apprezzare anche nell’ambiente lucchese.» Lei infatti è riuscito a dare vita, in brevissimo tempo, ad importanti iniziative culturali… «Sì, tra il 1997 e il 1999, grazie al sostegno dell’amministrazione comunale, ho curato l’iniziativa «Scrivere oltre le mura», che purtroppo, con la nuova amministrazione, non è stata ripetuta. Per una settimana Lucca diventava la città della scrittura, con laboratori sparsi ovunque e ospiti importanti come Luis Sepulveda e Carlo Lucarelli. Dopo quella esperienza, ho iniziato a insegnare all’Università di Pisa.» E il rapporto con Lucca come è continuato? «Sono molto radicato in questa città. Qualcuno può dire che non sono un lucchese doc, ma io mi sento ancora più lucchese perché i lucchesi sono nati qui per caso, mentre la mia è stata una scelta. Lucca ora è la mia patria e la mia opera letteraria ha per scenario Lucca. Dopo l’esperienza di «Scrivere oltre le mura» mi sono convinto che avrei dovuto andare avanti, anche da solo, e l’ho fatto creando il centro culturale Sagarana.» Cosa vuol dire? «È il titolo del primo libro di João Guimarães Rosa, pioniere del realismo fantastico in America Latina. Sagarana è una parola inventata dall’autore, grande creatore di neologismi, ed è composta da due particelle di origine diversa: «saga», che in portoghese ha lo stesso significato dell’italiano, sta per una storia che attraversa epoche e generazioni, e «rana», suffisso collettivo tratto dall’idioma nativo brasiliano tupí. Sagarana, quindi, sarebbe la «storia plurima», la «saga infinita». Forse è la riunione ideale di tutte le storie mai create dall’uomo nel suo lungo esilio su questo pianeta.» Di cosa si occupa il centro? «Quel progetto dello «Scrivere oltre le mura» ora continua tutto l’anno: c’è il nostro Master Annuale di Scrittura Creativa, a numero chiuso, che è diventato uno dei due più importanti in Italia. Il corso comprende lezioni sull’etica della letteratura, sulla storia della letteratura del XX° secolo, della letteratura Italiana del XX° secolo, sulla genesi del romanzo moderno, sulla psicologia della creatività e laboratori di sceneggiatura, di poesia, di drammaturgia e di narrativa. La scuola è improntata su uno stretto rapporto allievo-insegnante, che continua dopo i corsi e apre in questo modo ai giovani molte strade. Sempre per lo stesso motivo ogni anno organizziamo poi, nell’ambito del master, sei incontri con scrittori ed intellettuali molto importanti. Sono già venuti da noi Antonio Tabucchi, Edoardo Albinati, Rosetta Loy, Egidio Molinas Leiva, Remo Bodei, Pia Pera, Raul Montanari, Fredéric Pagès e Patricia Foster. Quest’estate, il 13 luglio ci sarà poi, in via S. Andrea 33, un seminario sugli scrittori migranti.» Un seminario sugli scrittori migranti? «Sì, si tratta di quegli scrittori non italiani che vivono in Italia e che, come me, hanno scelto l’italiano come lingua per le loro opere. Quella italiana è la letteratura migrante più importante d’Europa, e molto particolare perché non legata, come avviene invece in Inghilterra e in Francia, al passato coloniale.» A quanto mi risulta, avete anche una rivista… «Sì, è la rivista on-line «Sagarana», nel suo genere la più letta in Italia, con 1200 visite diverse ogni giorno. Se fosse cartacea, ogni mese verrebbe fuori un volume di 400 pagine. La rivista presenta motivo di interesse per molti ricercatori: ad esempio, il 15 luglio verranno pubblicati testi inediti di Pablo Neruda.» E la Sua carriera di scrittore in italiano? «Ho già pubblicato tre libri, ora sto lavorando al quarto. Molti pensano che sia strano che uno scrittore possa scrivere in una lingua diversa dalla sua lingua madre. Conrad, Nabokov e Beckett sono infatti considerati come delle eccezioni. Ora invece la globalizzazione ci offre questo aspetto positivo, segno di una mondializzazione critica e reattiva. Negli ultimi trent’anni si è parlato di letterature post-coloniali, ma questa è un’altra cosa: è letteratura mondiale.» Cosa pensa della globalizzazione? «È un fenomeno che presenta moltissimi rischi, tra i peggiori l’indebolimento delle legislazioni internazionali sui diritti umani e lo sfruttamento generalizzato dei lavoratori. Ma ci sono anche molte cose positive: internet permette una grande facilità di comunicazione e incoraggia la nascita di una nuova coscienza mondiale che rifiuta le politiche istituzionali. Negli anni Ottanta il mondo, da questo punto di vista, è andato indietro, ma ora c’è un vero e proprio riflusso di idee egalitarie. Sono molto ottimista.» Tornando alla letteratura, il ruolo dell’Italia è quindi importante? «Sì, come ho già detto, l’avanguardia di questa letteratura, da almeno cinque o sei anni, sta in Italia ed è fatta di autori che hanno deciso di adottare un pubblico e una patria nuove: non a caso il Premio Montale è stato vinto di recente da un albanese. Questa letteratura è considerata dagli studiosi il fenomeno più importante dai tempi del Futurismo.» È con questo spirito che ha scritto un libro intitolato «Racconti italiani»? «Sì, si tratta di un titolo decisamente ironico, perché al di fuori degli Stati Uniti questo fenomeno, pur essendo molto importante, non viene ancora ben percepito. Ma il mondo ha bisogno di nuove storie. Mai ne ha avuto bisogno come oggi, soprattutto perché in un’era di grandi cambiamenti, in parte realizzati e in parte subìti dalle nostre generazioni, le nostre storie dovranno saper raccontare le cose che non vogliamo più, e se possibile definire quelle che vogliamo per i nostri figli in una ipotesi accettabile di futuro.» E cosa c’è invece nel Suo futuro? «Prima di tutto devo dire che sono molto felice di essere qui, perché mi sento la persona giusta nel posto giusto. Gli antichi cinesi, ai loro peggiori nemici, auguravano di reincarnarsi in un’epoca «interessante». Ma «interessante» per i cinesi voleva dire burrascosa, piena di cambiamenti. Sono nato in un’epoca e in un luogo da questo punto di vista molto «interessante», in dittatura militare dove ho subìto persecuzioni politiche, ora spero invece di vivere un periodo «interessante» nell’accezione positiva: un lungo periodo di lavoro e di serenità. Spero, in particolar modo, che in un futuro vicino le amministrazioni di Lucca possano trasformare la nostra scuola in uno spazio per la città: abbiamo una biblioteca letteraria importante, una raccolta su cd delle voci degli artisti e una videoteca. Mi auguro che verremo «adottati» dalla città.»

L'autore

Luca Fezzi