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Intervista. Federico Guerrini

INTERVISTA DI FEDERICO GUERRINI:

Nella prefazione a “Se fosse vera la notte”, di Heleno Oliveira, tu scrivi “…nel 1995 sono arrivato in questo continente, migrante solo con una valigia da poco, con dentro una conchiglia di Niteroi, baracca e burattini”. A distanza di nove anni, com’è il tuo rapporto con l’Italia?

È un rapporto molto positivo. Ho iniziato qui una vita nuova, desideroso di eventi costruttivi e di circondarmi di persone veramente valide. Solo alla mia età, e avendo vissuto tante cose tremende, terribili, uno sa di essere diventato immune a qualsiasi autolesionismo e a quella sorta di masochismo esistenziale caratteristico degli artisti e degli intellettuali. Volevo essere felice, finalmente, e rendere felici le persone attorno a me; non una felicità stupida, stucchevole o bovina, ma una felicità consapevole, condita dal senso del tragico e dell’autoironia. E questo credo di averlo saputo offrire anche ai miei lettori italiani. L’Italia mi ha dato una voce, e mi ha donato anche un’attenzione di grande qualità, ed io credo di aver risposto a tutto questo con il meglio di me.

Com’è nata l’esperienza di Sagarana?

La Sagarana è nata dal bisogno di creare un’istituzione in Italia in grado di provare a smontare i grossi equivoci che esistono oggi nel mondo letterario, quello del “successo” per esempio, e a ripristinare certi valori essenziali, l’etica della letteratura, che in passato erano molto presenti in tutto quello che era letterario in questo paese, soprattutto negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Ho pensato che come scrittore Sudamericano, che ha vissuto la letteratura come un’attività sovversiva, detestata dallo Stato, rivoluzionaria, avrei avuto qualcosa di importante da trasmettere agli italiani sul ruolo dello scrittore e delle sue opere, così ho dato vita ad una nuova realtà letteraria: la Sagarana.

Cosa impara chi si iscrive ai tuoi corsi?

Non sono esattamente “corsi” ma laboratori, nei quali si produce letteratura e poi si condivide il risultato con gli altri. Gli allievi imparano da me, ma soprattutto da loro stessi, il “come fare”, ma anche il “cosa fare”, e soprattutto – saranno risposte sempre molto individuali – il “perché fare” letteratura oggi.

Com’è il tuo rapporto con gli studenti?

Diventano rapidamente amici di lunga data. Ogni allievo è un laboratorio in sé, perché richiede un’attenzione, una logica e una valutazione individuale oltre a suggerimenti ed esercizi personali; una “sintonia” unica.

C’è ancora spazio per la poesia e la letteratura nel nostro mondo burocraticizzato e sorvegliato da videocamere?

Più che spazio, se ne avverte proprio il bisogno, l’urgenza. La letteratura è probabilmente l’unico antidoto possibile al discorso egemonico del sistema, della pubblicità, del cliché. È tutto “lo stesso”, solo la letteratura oggi è “l’altro”.

Secondo te, possono essere gli scrittori migranti a dare nuova linfa e vitalità alla letteratura italiana?

Sì, almeno in questo momento specifico in cui i nuovi scrittori italiani non hanno ancora trovato una motivazione di fondo e un’etica, una “missione”, per la loro scrittura. Questo senso di “missione” nel raccontarsi, invece, è marcatamente presente nei cosiddetti “migranti”. Ma sono sicuro che anche gli italiani, fra non molto, usciranno dallo squallore che è la smania di successo mediatico e produrranno una letteratura di alta qualità, profonda, sofferta e goduta, ma soprattutto rappresentativa del loro tempo e dell’originalità della loro società.

La letteratura sudamericana del secolo scorso, almeno quella che è passata in Italia, era portatrice di una forte istanza etica e sociale, anche per la difficile situazione politica di quegli anni in quei Paesi.
Credi che i nuovi autori manterranno questa caratteristica o ripiegheranno su un certo disincanto, com’è accaduto in gran parte in Italia?

Anche nel Sudamerica l’ondata neo-liberale ha colpito negativamente la letteratura, creando una schiera di scrittori commerciali che si spacciano per artisti seri, che si professano seguaci della tradizione quando invece fanno una cosa radicalmente opposta a quello che facevamo noi, Questi scrittori sudamericani “di plastica” sono proprio quelli di maggiore successo oggi in Italia. Sono collaborazionisti dei media, e i media li ringraziano aprendo i propri spazi promozionali ai loro libri. Ebbene, pensando a queste menzogne letterarie, ricordo un’espressione piuttosto scandalizzata di Pablo Neruda: “Dios me libre de mentir quando estoy cantando!”.

L'autore

Federico Guerrini