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Intervista. ICON

INTEVISTA PUBBLICATA ONLINE SU «ICON» NEL 2009, a cura della Redazione

Un’intervista a Julio Monteiro Martins. Brasiliano e scrittore in lingua italiana, il professor Monteiro Martins si impegna anche per far conoscere la nuova letteratura di lingua italiana, in particolare con la rivista on line Sagarana. La “letteratura migrante” dei nuovi italiani rappresenta una corrente letteraria sempre più ampia, ma spesso ignorata o poco conosciuta.

In tutta Europa si parla sempre più spesso di letteratura migrante, talvolta in maniera generica. Qual è la situazione italiana?

In Italia si vive un’esperienza che potremmo definire “singolare”: grande ricchezza e poca coscienza. Lo scorso anno al Romanfabrik di  Francoforte si è tenuto il primo seminario europeo sulla letteratura delle migrazioni: si sono incontrati scrittori di tutto il continente, che usano la lingua del paese di adozione per le proprie opere letterarie. Il gruppo degli “italiani” è spiccato per numero di partecipanti e per qualità. Da altri paesi il contributo è stato di livello inferiore, caratterizzato da lavori più semplici. Un aspetto paradossale è però rappresentato dal fatto che la letteratura migrante, nel paese in cui riesce a raggiungere un livello espressivo e di contenuti più alto, conquista meno spazio. La lingua italiana ha un nuovo tesoro, ma lo ignora. Non c’è un’effettiva coscienza di questa realtà letteraria.

Questa nuova letteratura in lingua italiana rappresenta un mondo unico e compatto?

Certamente no. Una prima distinzione deve essere tracciata tra i “migranti scrittori” e gli “scrittori migranti”. Nella prima categoria ricadono alcuni nuovi residenti, caratterizzati da un elemento primario: l’essere migranti, che raccontano la propria esperienza diretta, dal viaggio, all’inserimento nella società. Storie quasi sempre costruite su una base autobiografica. Ci si riferisce a testi pubblicati soprattutto una ventina di anni fa, testimonianze sul trauma migratorio. In questa produzione risalta il romanzo Io, venditore di elefanti, di Pap Khouma, o il più recente Imbarazzismi del medico togolese Kossi Komla-Ebri. Da metà anni ’90 hanno invece iniziato a crescere gli scrittori migranti, persone che erano già scrittori nel proprio paese, emigrati in Italia per ragioni letterarie e culturali. Innamorati della lingua italiana o incompatibili con la situazione culturale del proprio paese di provenienza.

Quindi per gli scrittori migranti si può parlare di una fuga.

Anche qualcosa di più. La mancanza di sintonia tra il paese di origine e lo scrittore ha portato, a volte, al suicidio. L’emigrazione rappresenta invece una sorta di “suicidio amministrato e autogestito”, dato che l’emigrazione è un taglio con tutto ciò che si è. Persino il nome cambia: nel nuovo paese sarà adattato, nella forma o nella pronuncia. Si creano due identità distinte e una di esse scompare. Se come ha scritto Pessoa “morire è non essere più visto”, c’è un vero e proprio processo di morte e rinascita. Un trauma comune a tutti i migranti.

L’abbandono della lingua madre rappresenta un elemento traumatico terribile. È l’abbandono del proprio mondo, delle parole che hanno accompagnato la crescita e le esperienze. Perdere la lingua madre è un naufragio assoluto, accompagnato dalle difficoltà di acquisizione, di conoscenza e di sensibilità nella nuova lingua. Malgrado la difficoltà di questa “nuova nascita”, la miglior poesia italiana dell’ultimo decennio è la poesia migrante italiana. L’imparare una nuova lingua letteraria assume le caratteristiche di un amore maturo: non si vive il processo di apprendimento con l’ingenuità di un nuovo sentimento, si tratta di un innamoramento guidato dalla ragione e dalle conoscenze passate. Esiste un distacco critico, dettato dalla maturità, dall’esperienza di vivere una seconda volta. E questo è vero per molti paesi, non solo per l’Italia. La faccia più imprevedibile e bella della globalizzazione. Uno sviluppo che avvicina la letteratura alle altre arti, globalizzate da decenni. Basti pensare al cinema, alla musica, al ballo.

Una novità assoluta.

Sì, in passato i precedenti erano stati molto limitati. Casi isolati, come Beckett, Conrad o Nabokov, a confronto della migrazione biblica a cui assistiamo oggi. Un flusso che non è possibile fermare e che ha dato all’Italia nuovi narratori, dal Sud America, dall’Africa, dai Balcani e anche dal Nord Europa. Una situazione creatasi anche per l’affermazione dei mezzi di comunicazione di massa e l’emergere di un “ceto medio” mondiale, legato ai valori e alla realtà occidentale. La letteratura diventa una rappresentazione emblematica di questo fenomeno.

Una realtà letteraria che, comunque, resta in un ambito ristretto.

Si tratta di una letteratura poco nota, in effetti, anche per ragioni editoriali. Non c’è una collana dedicata agli scrittori migranti. I libri di maggior valore vengono spesso pubblicati da tante piccole case editrici, mentre le grandi case puntano ancora su aspetti di esotismo per la scelta delle storie e degli autori. Non c’è un impegno serio su questa nuova letteratura, che non è più “migrante”, ma è semplicemente letteratura di lingua italiana. Un italiano che risente comunque dell’influenza di suoni e strutture della lingua di origine. Un altro problema è la separazione di questa produzione da quella dei nuovi autori italiani: quasi impossibile arrivare a un confronto e metterle insieme, come si trattasse di olio e acqua. Anche dal punto di vista della critica letteraria. È come se in Italia ci fossero due letterature contemporanee.

Quali sono gli aspetti più peculiari di questa nuova produzione letteraria?

Innanzitutto dobbiamo chiarire che non siamo di fronte a una letteratura ex-coloniale. Non si sviluppa sull’impulso della colonizzazione, ma come conseguenza della globalizzazione e in Italia rappresenta il movimento letterario più importante da un secolo a questa parte. Il più grande movimento letterario dal Futurismo, in grado di rinnovare la lingua letteraria. Ormai sono attivi oltre 300 scrittori migranti, anche di seconda generazione. Una situazione che prefigura una possibile espansione futura. Tutti veri autori di una nuova letteratura. Al momento purtroppo questo movimento trova poco spazio: malgrado la grande dignità e il grande valore, la letteratura migrante viene tenuta lontano dallo sguardo della gente. Sembra ci sia l’illusione di ritornare indietro, a una realtà sociale e politica passata. Serve tempo, le dighe non bastano davanti a una marea che continua a salire.

Esistono tratti comuni agli scrittori migranti?

Sono autori che portano “letteratura”, ma anche un’esperienza politica. Ricadono in quella categoria di scrittori che promuovono la crescita culturale di un paese. Hanno pulsioni diverse da gran parte degli scrittori italiani di oggi e sono più vicini all’impegno di Pavese, Pasolini e Calvino. Nel sud del mondo la letteratura è ancora impegnata per il cambiamento della società, non è entrata a far parte dell’industria dell’intrattenimento. Il successo non sono i dati di vendita, ma il romanzo viene usato come “riserva etica”. Forse un elemento comune è rappresentato dall’indignazione, che è presente anche nella produzione degli italiani, come Fo, De Luca, Camilleri e Tabucchi. Quando la letteratura migrante mette insieme impegno e qualità letteraria si compie la “missione” letteraria di portare la civiltà contro la barbarie.

Quali sono gli autori più significativi nel panorama italiano, oltre a lei? Gli scrittori che si sentirebbe di consigliare per avvicinarsi alla nostra nuova letteratura?

Innanzitutto devo ricordare che nessun libro di questi autori è facile da essere trovato nelle librerie, sono quasi tutti pubblicati in modo frammentario da piccole e medie case editrici, quindi la cosa migliore da fare è portare una lista già compilata al libraio e chiedergli di ordinarli. Cominciamo dalle antologie Le parole nel vento, a cura di Raffaele Taddeo, Carta editrice, Nuovo Planetario italiano, a cura di Armando Gnisci, Città Aperta editrice e Ai confini del verso, a cura di Mia Lecomte, Le Lettere editrice. Poi i libri di Božidar Stanišić, Gëzim Hajdari, Christiana de Caldas Brito, Jarmila Očkayová, Kossi Komla-Ebri, Mihai Mircea Butcovan, Candelaria Romero, Amara Lakhous, Tahar Lamri, Pap Khouma, Arnold de Vos, Gabriela Ghermandi, Ubax Cristina Ali Farah, Barbara Serdakowski, Egidio Molinas Leiva e Heleno Oliveira (gli ultimi due già morti).

L'autore

El Ghibli

El Ghibli è un vento che soffia dal deserto, caldo e secco. E' il vento dei nomadi, del viaggio e della migranza, il vento che accompagna e asciuga la parola errante. La parola impalpabile e vorticante, che è ovunque e da nessuna parte, parola di tutti e di nessuno, parola contaminata e condivisa.