Interviste Supplementi

Intervista. Andrea Bocconi

UN ALLEGRO NAUFRAGIO

INTERVISTA DI ANDREA BOCCONI, in «Soprattutto», ottobre 2001.

A tu per tu con Julio Monteiro Martins, scrittore brasiliano, che ha scelto la Toscana come propria residenza

Qui non si parla di turisti, di appassionati che si limitano a un flirt, a una relazione più o meno approfondita con un luogo. Si tratta di gente, che a volte per scelta, a volte un po’ meno, ha deciso di lasciare un luogo, una lingua, dei legami, con ciò che si chiamava patria per fare della Toscana la propria residenza. Con tutte le conseguenze che un matrimonio comporta. In inglese si chiamano expat, per definire un moto da luogo che diventa un’identità costruita su una assenza, su una lontananza. Vedere la Toscana con il loro sguardo di attenti alieni serve anche a noi indigeni a capire meglio chi siamo e quanto lo dobbiamo a questi luoghi.

Ci racconta la storia del suo “naufragio”?

Se per “naufragio” si riferisce alla mia migrazione in Toscana (citando Leopardi allora direi che “naufragare m’è dolce in questo mare”), le ragioni sono state cinque anni fa, una combinazione di una storia nata a Lisbona con una ragazza toscana (con cui poi mi sono sposato, ho avito un figlio, Lorenzo, e mi sono separato) e una profonda delusione nei confronti del mio Paese d’origine e del mio probabile destino personale se avessi continuato a vivere laggiù.

Ha subìto il mito della Toscana?

La Toscana è mito, è storia, ma è anche realtà. È senz’altro uno dei migliori posti al mondo per vivere: gente civile, clima mite, arte, paesaggi, e tutto a misura d’uomo. Ho avuto ormai la mia “overdose” di imperatività metropolitana, a Rio de Janeiro, a Parigi, a New York. Credo che sia necessario sperimentare almeno una volta nella vita questa intensità moderna, se non altro per assaggiare le onde frenetiche della contemporaneità. Ma poi basta. Non si può vivere per sempre in mezzo all’isteria urbana. La Toscana è un punto d’arrivo ideale per chi ha già fatto la sua parte nelle megalopoli.

E della sindrome di Itaca cosa ci dici?

Si tratta indubbiamente di una tragedia personale sempre più frequente, e accade a quelli che sono partiti da una società troppo dinamiche, come quella brasiliana. Se passi, diciamo, dieci anni lontano dalla tua città, e poi torni, non riconoscerai più niente e nessuno. Però, questo accade anche se uno ci rimane, se non parte mai. La Niterói della mia infanzia aveva 50 mila anime, oggi è al centro di una conurbazione, con 2 milioni di abitanti.

 “La mia patria è la mia lingua”. Si riconosce in questa frase?

L’ha detto bene Fernando Pessoa. Ed è vero. Però, si può cambiare patria e lingua. O aggiungere nuove patrie e nuove lingue. E prenderle come proprie. L’essere umano è sempre “in allestimento”.

L'autore

Andrea Bocconi