Dante

Introduzione alla traduzione in wolof del canto I dell’Inferno di Dante

Scritto da Pap Khouma

Comitato di consulenza dell’introduzione :  dott.ssa Cristiana Brunetti
prof. Raffaele Taddeo

Hic sunt senegalenses

All’inizio del 2021, la dott.ressa Cristina Di Giorgio, direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Dakar, in occasione della commemorazione dei 700 anni dalla scomparsa di Dante Alighieri, mi chiese di tradurre il Canto I dell’Inferno in wolof* , la lingua più diffusa in Senegal, paese in cui, naturalmente, si parlano varie lingue.

In quel momento il mondo intero era, ed è tutt’ora, sconvolto dalla pandemia causata dal virus del Covid 19.

A Dakar, la mia città natale, a Milano, dove risiedo stabilmente dal 1984, e nelle città del resto del mondo si viveva tra coprifuochi e lockdown. Per rimanere nello spirito dantesco, invece del termine “lockdown”, userei la voce “confinamento,” quasi “purgatorio”.

Ho accolto quella che ho intimamente definito una sfida letteraria singolare propostami dall’Istituto Italiano di Cultura di Dakar. Elogio, en passant, questo Istituto per il ruolo di ponte culturale che svolge, costruendo un collegamento tra la terra di Dante Alighieri e quella dell’eclettico Léopold Sédar Senghor (1906-2001). 

Ci sono stati momenti di solitudine durante la composizione di questa traduzione e successivamente di lavoro di squadra. Confesso umilmente che finora quanto avevo letto dell’opera del Sommo Poeta, consisteva in citazioni virgolettate sparse fra le pagine di scrittori contemporanei o inserite in articoli di studiosi o di giornalisti italiani. Inoltre, quanti non si sono imbattuti, almeno una volta, durante una trasmissione radiofonica, televisiva, una cena o un pranzo tra amici, in questo verso:

“Nel mezzo del cammin della nostra vita …” 

Il verso viene buttato lì e si passa ad altro.

Prima di avventurarmi oltre al successivo: “mi ritrovai per una selva oscura… che la dritta via era smarrita”, ho deciso di consultare alcune edizioni annotate, anche quelle destinate alle scuole superiori, fra cui: Canti scelti dalla Divina Commedia a cura di Tommaso di Salvo. Ed. Zanichelli.

La dott.ssa Chiara Clementi, appassionata di Dante, mi ha procurato le edizioni necessarie, inoltre mi indicava regolarmente i vari convegni organizzati in rete in tutto il paese.  Grazie a lei,ho potuto ascoltare e riascoltare le registrazioni della Lectura Dantis del professore Vittorio Sermonti (1929 – 2016) nei contesti del Mercato di Traiano e del Pantheon e messe in onda dalla Rai a partire del 2000. Mi sono poi interessato ad altre Lecture che si sono svolte quest’inverno nel Duomo di Milano. Ho letto e messo a confronto varie monografie e interpretazioni, anche discordanti fra loro, scritte da vari studiosi del poeta per poi operare delle scelte interpretative personali.

Predominanza delle parole francesi

Ho deciso fin da subito di non  utilizzare –  come tramite le traduzioni in francese, lingua  in cui mi esprimo correntemente, sia  nello scrivere sia  nel parlare,  fin dalla scuola elementare. La lingua di partenza  è stata  il fiorentino di Dante, in questo caso quella di arrivo doveva essere il wolof,  senza interferenze di qualsiasi altra lingua. 

Si trattava di una sfida complessa, perché il wolof parlato a Dakar e anche in tante altre aree del Senegal è ricco di termini francesi e, naturalmente, di parole provenienti da altre importanti lingue del paese, come il pular, il serere, ecc.  

Spesso succede che vi siano dei prestiti e delle mescolanze di cui è difficile spiegare l’origine. Per esempio, io ho imparato a contare in francese, anche se i numeri esistono   in wolof. I senegalesi, inoltre, indicano spesso i colori in francese, mentre stanno parlando in wolof. Non ho mai sentito pronunciare i colori della bandiera nazionale in wolof, ma sempre in francese, vert, jaune, rouge.

Senza entrare nello specifico, anche in Senegal, ci sono tanti prestiti dall’inglese, ma anche dal portoghese.  Il cognome dell’illustre presidente poeta Senghor è semplicemente una derivazione dal portoghese Senhor. I portoghesi furono tra i primi esploratori europei a sbarcare sulle coste dell’Africa sahariana. Il Senegal è il paese dell’Africa sub sahariana più vicino all’Europa. Gli esploratori portoghesi hanno poi mano a mano cominciato a mescolarsi con le popolazioni locali. 

Voci portoghesi e arabe

Ancora oggi ci sono nomi e cognomi senegalesi che discendono dal portoghese. Si pensi al Generale Louis Tavarès De Souza; era il capo dello Stato Maggiore dell’esercito senegalese negli anni ’80. Altri esempi sono i cognomi seguenti che sono originari del Portogallo e probabilmente della Spagna, ma appartengono a senegalesi a tutti gli effetti: Delgado, Carvalho, Almeida, Da Souza, Gomes, Dias, Rigal, Correa, Viera, ecc.

Attualmente in Senegal, ci sono delle comunità libano siriane presenti dalla fine del XIX° secolo; sono musulmani e cristiani, parlano wolof  e arabo. C’è sempre stata, anche, una forte presenza di mauritani e di marocchini.

Ci sono delle popolazioni senegalesi che si definiscono con orgoglio “naar* con la pelle nera”, cioè arabi neri. Sono storici discendenti di arabi o berberi, sono di madrelingua  wolof, portano i cognomi: Amar, Benamar, Kounta, Sigui, ecc…

Gli “arabismi” diventano inevitabili nelle lingue del Senegal, favoriti da questi legami storici e poiché la popolazione del paese è a maggioranza musulmana. Quando si tratta di tradurre o di scrivere un poema religioso in wolof, i termini in arabo sorgono spontanei. In fondo rendono più credibile il poema alle orecchie dei devoti.

La parola “àjjana”, “paradiso” in wolof,  deriva dall’arabo “al jana”, mentre il termine “suba”, significa  sia “mattina”, sia “indomani” in wolof. In arabo “sabah” è mattino e ciò apre all’ipotesi che “suba” in wolof potrebbe essere una variazione di pronuncia di “sabah”. Come molti senegalesi, anche il mio nome è di derivazione araba ed è frutto di un’articolazione diversa  in wolof (Abdoulaye invece di Abdulah) e della sua translitterazione in lingua francese.

Sebbene non abbia individuato nel wolof  una precisa equivalenza per la voce “inferno”, così come inteso da Dante, esso esiste anche in quel contesto culturale fin da quando il popolo wolof  ha abbracciato l’islam o il cristianesimo. La parola “inferno” viene tradotta in wolof  con il termine “safara”, che in italiano significa “fuoco”.

 I concetti di paradiso e inferno non sono universali. Molti popoli credono nella reincarnazione dei defunti.

In Africa Sub sahariana alcuni di questi praticavano e praticano ancora l’animismo. Il premio Nobel per la Letteratura Wole Soyinka ha illustrato  perfettamente  le credenze dei popoli della Nigeria attraverso l’essenza di Orunmila.  Nella liturgia animista esiste un Dio creatore unico, ma mancano i concetti di paradiso e di inferno e ciò si riassume nella convinzione che gli spiriti degli antenati morti torneranno fra i vivi come si evidenzia nei versi seguenti:

Sospiri

Ascolta più sovente le cose,
che gli esseri.
La voce del Fuoco s’intende,
Ascolta la voce dell’Acqua,
Ascolta nel vento
il cespuglio in singhiozzi
É il sospiro degli Antenati morti
Che non sono partiti
Che non sono sottoterra
Che non sono morti.
Quelli che sono morti non sono mai partiti:
Sono nell’ombra che si dirada
E nell’ombra che si inspessisce.
I morti non sono sotto la terra.
Sono nell’albero che freme,
sono nel bosco che geme,
sono nell’acqua che scorre,
sono nell’acqua che dorme,
sono nella capanna, sono in mezzo alla folla:
i morti non sono morti…

Birago Diop (1906-1989), [devi dire da dove è tratta questa poesia] poeta senegalese, compagno di Senghor.

Torno a sottolineare di aver espressamente evitato, per la  traduzione  l’uso del francese come lingua di transizione dal fiorentino; ciò ha escluso il passaggio dal fiorentino al francese, ad eccezione della parola “printemps”, cioè primavera che ho conservato in quest’ultima accezione nel mio testo fino alla fine. Solo successivamente ho trovato un termine corrispondente in wolof: cooror, si pronuncia “cioror”. Il senegalese che vive in città solitamente divide le stagioni in due gruppi: quella secca ovvero “noor” e quella delle piogge  o “nawet”. Le differenze di temperature non sono così evidenti come in Europa. Nelle campagne i contadini del Senegal conoscono per necessità i nomi delle quattro stagioni in wolof: nor, nawet, looli (autunno), cooror.

Oltre al problema dell’identificazione dei termini, fra questi ne ricordo due particolarmente ricorrenti; “àjjana”, paradiso e “suba”, mattina, è sorto il problema di reperire del materiale, ovvero delle edizioni annotate che mi aiutassero a trovare delle corrispondenze semantiche, non tanto fra il fiorentino e il wolof, ma fra l’italiano contemporaneo e quest’ultimo. Avevo necessariamente bisogno di dizionari, manuali dal wolof all’italiano e viceversa. Ho avuto la fortuna di conservare nella mia libreria personale due dizionari dal wolof all’italiano realizzati da amici. Il primo è di Baye Ndiaye (Dottorato di ricerca in Studi Afro-Asiatici), di origine senegalese , vive a Milano , il secondo è di Stefano Anselmo, italiano, parla e scrive in wolof.

Il professore Umberto Eco* sosteneva: “… che la traduzione  è innanzitutto un processo di negoziazione, preceduto da un processo di interpretazione”. 

A questo proposito dopo essermi assunto la responsabilità di interpretare e successivamente tradurre in wolof il Canto I dell’Inferno mi sono consultato con la professoressa Cristiana Brunetti, una studiosa in scienze della traduzione, che al momento si sta occupando di un progetto di interpretazione e resa del testo poetico presso l’Università la Sapienza di Roma. Ho ritenuto opportuno, per la sua esperienza, confrontarmi con lei riguardo le strategie e gli approcci metodologici più adatti. Le ho illustrato la mia scelta della varietà parlata della lingua wolof più diffusa e comprensibile, che allo stesso tempo mi permettesse anche di rendere il registro letterario del testo dantesco.

In ogni caso la versione scritta con i caratteri latini del wolof è considerata elitaria. Ad oggi, è poco diffusa, soppiantata dal francese che rimane la lingua ufficiale del Senegal.

Ho dovuto scegliere il wolof con i caratteri latini come lingua di destinazione. Ho cercato, comunque, di avvicinarmi il più possibile al parlato del wolof perché  ampiamente compreso da quasi tutta la popolazione senegalese, gambiana e da una minoranza di quella Mauritana. L’ho fatto al fine di facilitare la diffusione e la lettura del testo.  

Esistono dei romanzi e dei saggi pubblicati in lingua wolof, ma sono pochi rispetto al francese mentre, sono sempre più numerosi quegli studiosi senegalesi rimasti in Senegal o titolari di cattedra in letteratura, storia o altra disciplina, in Francia, in Canada o negli Stati Uniti, che si impegnano nella promozione della scrittura e dell’insegnamento della lingua wolof a livello nazionale e internazionale. A Dakar il CLAD, Centre de Linguistique Appliquée de Dakar, è attivamente coinvolto nella promozione della standardizzazione della lingua wolof.

Colgo l’occasione per segnalare il romanzo in lingua wolof Doomi Golo in lingua wolof (I figli della scimmia) dell’illustre filosofo scrittore e professore senegalese Boris Boubacar Diop, che tra l’altro ha tenuto la più prestigiosa cattedra di lingua wolof presso l’università Gaston Berger di Saint Louis, nel nord del Senegal. Doomi Golo è stato tradotto dal wolof al francese e successivamente in inglese.

Esistono, inoltre, varie versioni in wolof di opere per lo più religiose, scritte con caratteri arabi da secoli, da quando i popoli del sud del Sahara sono stati islamizzati dagli arabo-berberi, ma questa è un’altra lunga storia.

La versione in lingua wolof del Canto I della Divina Commedia di Dante Alighieri è stata concepita per una lettura diretta al pubblico ed è rivolta a un lettore colto. Il testo è accompagnato da un’introduzione in cui sono esplicitati gli intenti del traduttore e le caratteristiche di entrambi i testi: quello in lingua italiana e quello il lingua wolof.

Il testo dantesco, già da una prima lettura, presenta molteplici elementi che presentano  una  ricca polisemia e connotazione culturale. Come facilmente intuibile, spesso non ho potuto rendere tali connotazioni direttamente all’interno del testo e mi sono avvalso di vari apparati paratestuali al fine di segnalarne la presenza, e fra questi  dell’aggiunta di note esplicative. Tornando nuovamente al celebre verso già citato precedentemente: “Nel mezzo del cammin della nostra vita… si noti quanto poche parole rimandino a numerose connotazioni, che hanno richiesto un notevole sforzo interpretativo, tanto da riempiere diverse pagine. Il primo inciampo nella resa testuale, se così vogliamo definirlo, lo ritroviamo proprio nella locuzione “Nel mezzo del cammin di nostra vita” che è stato indicato unanimemente con un’età che si aggira intorno ai trentacinque anni.

Non ho mai trovato alcuna fonte, neppure orale, che si riferisca all’aspettativa di vita delle nostre genti all’epoca in cui visse il Sommo Poeta.

Documenti recenti riportano che nel 1960 l’aspettativa di vita della popolazione senegalese fosse  stimata intorno ai 38,223 anni (Perspective Monde); nel 2007 questa corrispondeva ai 62,01 anni; nel 2017 si era prolungata fino ai 67,4 anni.

In fin dei conti, si è deciso, in questa e in altre istanze, di riportare le indicazioni relative al testo dantesco, così nelle note figura l’étà attribuita al testo dantesto, ovvero trentacinque anni.

Considerando la connotazione strettamente allegorica dell’intero poema e quella specifica del Canto I dell’Inferno, in questa traduzione si è dovuto necessariamente tenere conto di vari aspetti linguistici e soprattutto culturali e soffermarsi sulla resa delle forme, soprattutto in considerazione del fatto che si tratta di una traduzione poetica.  

Il misticismo della solitudine

A tale proposito ci sono stati molti elementi specifici dal punto di vista culturale, che hanno creato non poca difficoltà.

I primi esempi che mi vengono in mente riguardano la lupa. Dante fa riferimento alla lupa e parla della montagna. In Senegal, ho voluto effettuare un’accurata verifica. i I lupi non esistono e nelle aree geografiche dove è nata la lingua wolof non ci sono montagne, ma qualche collina, soprattutto savane piatte e estese.

In questi casi la valenza culturale ha evidenziato una discrepanza linguistica fra le due culture. La parola italiana “montagna”, in wolof indica una discreta altezza. L’equivalente di questa parola è “tund” in wolof e viene utilizzata anche per indicare le “colline” o i “promontori”.

La montagna più alta del Senegal raggiunge i 531 metri e guai a non chiamarla montagna, è contrassegnata così anche nei nostri libri di geografia. Si trova a circa 700 km da Dakar, a sud est del Senegal, in una regione abitata dal popolo bassari che di sicuro avrà coniato un termine di riferimento nella propria lingua diversa dal wolof.

Se  proponessimo una resa letterale del termine lupa in wolof, noi indicheremmo un animale del tutto simile allo sciacallo (animale opportunista e cacciatore di piccole prede), che è diffuso in Senegal. 

Ci sono stati casi di corrispondenze tra l’italiano e il wolof. Per esempio il leone. Questo animale, tuttavia, apre a ulteriori connotazioni, poiché il leone è il simbolo del Senegal, la sua immagine è stampata sui passaporti e, inoltre, ricorda anche la squadra di calcio nazionale “Les Lions de la Teranga”. Qui si evidenzia la commistione tra francese e wolof: “Lions” e “de la”  sono termini  francesi  mentre “Teranga” è il corrispondente in wolof e significa ospitalità. Il leone, misto di superbia e di orgoglio, è il re degli animali della savana e della foresta delle regioni dell’Africa subsahariana.

Tuttavia, ci sono stati anche casi in cui si è riscontrata qualche interessante equivalenza lessicale come nel caso della resa del termine “fiera”, che in wolof può essere reso perfettamente con “mala”. 

Sebbene tradurre poesia implichi riprodurne anche le istanze formali si è dovuto rinunciare alla resa della struttura metrica del canto. Ho cercato tuttavia di compensare a questa rinuncia cercando di creare lo stesso effetto ritmico del poema dantesco in lingua. Ho deciso di concentrarmi proprio sulla resa del ritmo, utilizzando uno stile a tratti declamatorio e talvolta celebrativo.

Ho utilizzato uno stile declamatorio per riprodurre la dizione poetica di Dante avvicinandomi alla tradizione letteraria orale e scritta wolof, la stessa che a volte è adottata dal poeta Léopold Sédar Senghor, (il serere, il wolof, il latinista, il grecista, il francofono, il poeta, il politico universale). Si pensi a quando l’autore incontra Virgilio:

Quando vidi costui nel gran diserto,
“Miserere di me”, gridai a lui,
“qual che tu sii, od ombra od omo certo!”

“Or se’ quel Virgilio e quella fonte
Che spandi di parlar sì largo fiume?”
rispuos’io lui con vergognosa fronte.
“O de li altri poeti onore e lume,
vegliami’l lungo studio e ‘l mio grande  amore
che m’ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ha fatto onore.

Quando appaiono le fiere, ho introdotto un ritmo veloce che accompagna spesso le manifestazioni di autoesaltazione degli antichi guerrieri africani di fronte all’ignoto e alla paura o riferendomi al “bàkku” degli odierni lottatori dell’arena senegalese, quando intendono intimorire l’avversario. Si tratta di una sorta di panegirico proprio dei  griot, “tagge” (si legge tagh)  in wolof.

L’allegoria del Canto I dell’Inferno

Si è inoltre reso necessario consultare alcuni poemi religiosi scritti in wolof sulla vita dei mistici sufi senegalesi e composti fra l’800 e il 900. È alla loro struttura ritmica che mi sono ispirato per la resa del ritmo dantesco.

Ho ripreso i componimenti poetici di Léopold Sédar Senghor. La sua lingua madre era il serere e parlava wolof alla perfezione, il suo francese scritto era raffinato ma ricolmo di toni e timbri, voci e versi   forgiati sulle armonie e sulle vibrazioni dei tamburi africani.

Confronto con cultori della lingua wolof a Milano

Dopo avere concluso la prima versione della traduzione, i passi successivi sono stati quelli di confrontarmi sulle mie scelte ritmiche e stilistiche legate alla lingua wolof  con il dottore Cheikh Tidiane Gaye ( poeta e filosofo). Vive in Brianza, parla wolof, scrive in italiano oltre che in  francese. Collaboro con Cheikh su molteplici fronti culturali e sociali, tra cui nell’organizzazione del Premio Internazionale di Poesie Léopold Sédar Senghor e insieme abbiamo fondato la casa editrice Kanaga Edizioni.

Avevo, inoltre, lasciato in sospeso la traduzione di molti vocaboli poiché dovevo verificare i significati precisi di quei termini che sembravano delle ottime soluzioni per la resa in wolof e per questo motivo, e per una revisione globale ho consultato successivamente il dottore Baye Ndiaye e Stefano Anselmo. Quando la stretta del confinamento, dovuto al Covid, si è allentata ho avuto modo di incontrarli, in diverse occasioni, per analizzare il mio testo tradotto. Insieme abbiamo pesato il senso e l’impatto di ogni parola in wolof  e quando si è reso necessario abbiamo apportate quelle che ci sono sembrate le opportune modifiche.

Infine, con un prodotto ormai completato, si è deciso di inviare in Senegal questa resa del Canto I dell’Inferno in wolof in Senegal a Diafara Sadikhou Fofana*, presidente di SNAN (Sinergie Nazionale per l’Alfabetizzazione Nazionale), non tanto per vagliarne il contenuto ma per un controllo ortografico e sintattico definitivo. 

Tradurre questi passi tratti dalla gigantesca opera dantesca è stata un’esperienza al confine del misticismo, è come aver avvertito il Somma Poeta e il suo fiato sul collo, con i suoi occhi che mi scrutavano paterni e benevoli.

Notes

*Il wolof è una lingua che appartiene al gruppo atlantico  della famiglia Niger-Congo. Quasi tutte le lingue dell’Africa sub sahariana sono tonali.

*Umberto Eco (1932-2016) Dire Quasi La Stessa Cosa. Bompiani.

* I senegalesi chiamano l’attuale Mauritania “Ganaar” e i suoi abitanti arabi, berberi, con il diminutivo “naar”. Probabilmente perché questo paese ingloba dei territori dell’antico Impero del Ghana (VIII° al XII° secolo). Per steso, “naar” è diventato semplicemente sinonimo di arabo. 

*Dizionario Wolof-Italiano
El. Alioune Ndiaye detto Baye Ndiaye. Università degli Studi di Trieste1995
*Maa ngiy jàang Italien: imparo l’italiano
Milano 1995 Stefano Anselmo e Mamadou Ndiaye
*Italiano – Wolof
Meriwast Edizioni – Milano
Stefano Anselmo e Mamadou Ndiaye
*Diafara Sadikhou Fofana
Yombalkat /Gëstukat ci Làkk i réew mi
Njiitu Kuréelu SNAN  Synergie Njabootu Alphabétisation National
Pap Khouma
Milano
Coautore insieme ad Oreste Pivetta di
Io venditore di elefanti
Autore di:
Nonno Dio e gli spiriti danzanti
Noi Italiani neri

Comitato di consulenza dell’introduzione :                            dott.ssa Cristiana Brunetti;

prof. Raffaele Taddeo

L'autore

Pap Khouma

Pap Khouma, di origine senegalese, vive a Milano, dove si è sempre occupato di cultura e di letteratura, attraverso numerose e svariate esperienze. Per dodici anni ha girato l’Italia, invitato da scuole di diverso ordine e grado a svolgere “lezioni” sulla storia e la cultura africana, e sui temi della multiculturalità. Per conto dei Provveditorati ha tenuto corsi di aggiornamento per insegnanti sull’integrazione, e per tre anni (1991 – 1994) ha insegnato italiano agli stranieri nei corsi di alfabetizzazione del Comune di Milano. Ha partecipato come relatore a numerosi convegni nazionali e internazionali, presso le maggiori università italiane (Milano, Roma, Bologna), sui grandi temi dell’immigrazione, della cultura e della letteratura , e nel 1998 è stato invitato a svolgere un ciclo di conferenze negli Stati Uniti (Africa/Italy: an interdisciplinary international symposium, Miami University, Oxford, Ohio; Immigration et intégration, Sénégal/ Italy/ France, Northwestern University of Chicago; Società multiculturale, Queen’s College of New York; Letteratura degli immigrati in Italia, Casa italiana of New York University). Dal 1990, quasi annualmente, si é occupato, per conto di centri studi, organizzazioni non governative ed amministrazioni comunali e provinciali, di ricerche ed approfondimenti, con relative pubblicazioni, sui temi già citati. Ha lavorato come responsabile della “libreria del viaggiatore” all’interno del Megastore B612 di via Muratori a Milano, e ha partecipato alla progettazione e all’ideazione della stessa, prendendo personalmente i contatti e i successivi accordi con le maggiori case editrici nazionali. Ha lavorato presso la libreria FNAC di Milano, dove si occupava in particolare del reparto libri in lingua originale. Iscritto all’Albo dei giornalisti stranieri dal 1994, per quattro anni (1991-1995) ha firmato una rubrica su “Linus”, e ha collaborato con “l’Unità”, “Il Diario”, “Epoca”, “Sette”, “Metro”. Ha pubblicato Io, venditore di elefanti (insieme al giornalista e scrittore Oreste Pivetta, Garzanti ed. 1990), giunto oggi all’ottava edizione, adottato da molte scuole come libro di testo, e i cui brani sono inseriti in numerose antologie scolastiche, ed è stato curatore e coautore del libro Nato in Senegal immigrato in Italia (Ambiente ed. 1994).
Nel 2005 pubblica Nonno Dio e gli spiriti danzanti e nel 2010 Noi neri italiani. E’ presidente della giuria del premio Sengor.

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