Ti ricordi la grande eclissi amico mio?
Fu una sera strana quella della luna rossa. Ne parlavano da giorni, tutti stavamo aspettando. Per questo decidemmo di cenare insieme, comunque lo avremmo fatto ma fu un’occasione. Era un’estate convinta quella e in campagna dove abitavo alla sera c’era più fresco. Veniste tutti da me. Tu dicevi che ci sapeva di mele, che era una casa al gusto di mela. Ma ci sapeva di carne alla brace. Avevo attaccato ai rami i vasetti di vetro con dentro le candele. Alberi di Natale forzati tra il frinire dei grilli. Avevo apparecchiato sotto la veranda.
È di quel periodo il mio identificare le persone con gli strumenti musicali. Ricordi?
I meli sono ancora qui. Più grossi e crostosi. Li ascolto, strofinano i rami insieme. Tra i filari, dove filtra la luna, una normale, vedo noi. Melania scomoderebbe la teoria degli universi paralleli. Anche noi due forse, ma con più discrezione.
Ti ricordi che Mauro arrivò in ritardo come al solito e in più trasgredendo alla nostra regola di non portare sconosciuti senza averne parlato prima? Lo vedo anche ora venire avanti tra le lucciole, mentre trascina Mina tra i meli. Ti ricordi che eravamo tutti ammutoliti? Una sconosciuta alla nostra tavola. Un evento straordinario quanto la luna rossa. Archi senza nemmeno salutare andò a controllare la brace sparendo dietro al forno. Non so se anche adesso è così integralista. Comunque eravamo tutti un po’ perplessi, il nostro era un patto non scritto: a queste cene nessun estraneo, nessuna improvvisata, all’epoca ci pareva una buona regola. Mauro aveva portato una ragazza, molto giovane, aveva la pelle scura e le scarpe bianche con un tacco altissimo. Tutti noi avremmo voluto prendere da parte Mauro e farci una ragionata, ma alla fine eravamo lì per la luna rossa, ne avremmo riparlato. Mina aveva un bel sorriso, per un po’ tutti parlammo sotto voce poi il vino ci dette il via. Melania, lei era la nostra mistica, ricordo che si rivolse per prima all’intrusa, le domandò se avesse problemi con la carne di maiale. Eh già … bella domanda. In tavola il maiale abbondava. Per fortuna mangiava di tutto. Però io ero la padrona di casa e non ci avevo pensato.
Forse era anche per questo che non volevamo ospiti improvvisi. Avevamo già Alberto celiaco, Melania vegetariana.
Chissà perché avevamo messo quella regola. Quella di non volere sorprese intendo.
Mara scoccodellò qualcosa sui saldi estivi. Lei era la nostra influencer si direbbe oggi. Mara se fosse stata uno strumento sarebbe stata una chitarra elettrica. Luca domandò all’intrusa da dove venisse. Luca sarebbe stato un contrabbasso. Era italiana da genitori etiopi. Era una studentessa. Era di Torino e studiava a Pisa.
Sarebbe stata un clarino.
Forse non ti ricordi ma rimanemmo tutti un po’ strani. Ci aspettavamo qualcosa di diverso. Ma noi, se ci pensi, siamo la razza che ha inventato l’uomo nero per spaventare i bambini. Comunque stavamo bene e la luna rossa ci sorprese, lenta andò in ombra riparata dalla terra. La nostra terra taxi per vivi e morti. Per alberi, animali, pietre. Tutti minerali. Tutti lì in groppa a fare ombra. Fu allora che scherzammo sull’ ipotesi di fare ombre cinesi sulla faccia della luna. Lo sai che riuscivamo a dire anche solo stronzate. Io ricordo che Melania domandò a Mina se conoscesse qualche usanza dei suoi posti in onore della luna, ma lei non poteva che parlarci di Torino, delle sue strade. Dei ritrovi dei ragazzi in piazza Castello.
Melania invece sapeva altro su Torino. La città magica. Mentre la luna tornava a scoprirsi lei ci raccontò, come non aveva mai fatto. Ci parlò di magia bianca, del fiume Po e della Dora dei punti di confluenza, della Gran Madre. Ci parlò di piazza Statuto e della magia nera. Dell’antica necropoli nel sottosuolo.
Melania di certo sarebbe stata un sitar.
Archi passò quasi tutto il tempo che lei raccontava, dietro al forno, a far finta di lavorare per noi per mantenere la brace. Temeva tutto ciò che non conosceva o che non era spiegabile. Lui sarebbe stato uno zufolo di canna.
Ascolto lo sfregare delle foglie, è stato quello che mi ha portato il ricordo e vedo noi.
Melania aveva bevuto più del solito e non avevamo più torta salata da farle mangiare per tamponare il vino. Lei ci raccontò anche quella storia che le era capitata a casa di suo nonno Antonio, qui sulle nostre colline. Raccontò che una notte, mentre stava rincasando dopo una festa, fu attirata da un tiglio. Un tiglio largo cresciuto in mezzo all’aia. Non c’era vento ma l’albero muoveva un rametto basso facendo vorticare le foglie illuminate dalla luce di servizio della porta. Ti ricordi? Disse che era rimasta ferma ad osservare le altre foglie, I cespugli vicini, le erbe e i fiori. Tutto era immobile, tranne quel rametto che vorticava. Le piacque immaginare che fosse un invito, che fosse l’urgenza di un contatto, si avvicinò e appoggiò il palmo della mano sulla corteccia liscia dell’albero. Era molto fredda e la mano calda. Le temperature si accomodarono. Ci disse che il rametto smise di vorticare.
Molti di noi si presero gioco di lei per questa storia. Lei non l’aveva mai raccontata a nessuno.
Il tiglio e la ragazza. La luna rossa. Caro Giordano tu non ridesti di questo, perché tu sei nato organo.
Archi si addormentò sulla sedia dietro al forno, Mina lo svegliò col caffè.
Eravamo così.
Eravamo strumenti, gli alberi ci stringevano la mano, la Terra era una groppa.
In tanti eravamo coraggiosi nel dubbio.
Questa sera i meli si sfregano se tu fossi qui non ci faremmo caso o diremmo che è il vento.
Credo che sarebbe così. A questo punto diremmo che è così.
C’è bisogno che sia più facile.