Serve un gran coraggio per scrivere d’amore. A quanto pare, Julio Monteiro Martins questo coraggio ce l’ha. L’amore è il sentimento per antonomasia e sappiamo tutti che di sentimenti scrisse Parise nei suoi “Sillabari”, adottando quella brevità di narrazione alla quale in qualche modo Martins sembra strizzare l’occhio. Ma sotto questo profilo ogni discorso è impossibile, le differenze sono troppe e poi non ci sarebbe confronto, l’esito sarebbe scontato. Comunque nessuna paura, “L’amore scritto” è una riposante raccolta di frammenti e brevi racconti. Di cose difficili qui non ce ne sono: piccoli fazzoletti di parole per avvolgere storie (et similia) da potersi leggere senza sforzi di concentrazione, magari in treno oppure al tavolino d’un caffè. Del resto, i cassetti di uno scrittore di tanto in tanto vanno vuotati, possono regalare qualche gradevole (gradita?) sorpresa, talvolta anche qualche chicca. Ne “L’amore scritto” Martins ha potuto riversare una serie di materiali che altrimenti (forse) non avrebbero conosciuto sorte editoriale. Tutto sommato l’esperimento sembra riuscito, il libro offre alcune ore di accettabile svago. Non cambia la vita, ma non fa nemmeno rimpiangere i soldi spesi per comperarlo. Più che tratto conoscitivo (quella valenza ulteriore propria di un’ipotesi di catalogazione qual è questa), la scrittura di Martins è un estratto, il frutto disimpegnato d’una sorta di enciclopedismo sentimentale incapace di prendersi troppo sul serio perché (come insegna Savinio) non esistono più possibilità d’enciclopedismo, se non arbitrario. Della raccolta vanno segnalati “Antenne”, “Marasma a Milano”, “La sacra unzione degli infermi”, “La gattara”, “La tigre dai denti a sciabola”, “Il mattatoio” e “La casa”, che ne costituiscono le prove migliori. Col suo quarto libro in italiano, Julio Monteiro Martins torna a farsi notare soprattutto come esponente della letteratura d’ibridazione.