Gabriella Kuruvilla
Maneggiare con cura
Morellini, Milano 2020
Gabriella Kuruvilla, quando si impegna a scrivere, non ha solo l’urgenza di mettere sulla carta quanto “il suo cuor ditta”, ma di trovare strutture innovative del suo modo di narrare.
In questo testo possiamo dire, inventa una sorta di staffetta non lineare ma circolare. Si inizia con un personaggio, che presenta sé stesso con le sue proprie vicende e poi passa il testimone ad un secondo, che a sua volta lo trasferisce ad un terzo, da questi ad un quarto per poi ritornare sul primo e poi ancora sul secondo, quasi a dire che il percorso può ripetersi. Sono personaggi la cui vita interagisce fra di loro perché tutti stanno correndo su una stessa pista, stanno facendo la stessa gara.
C’è un altro elemento che emerge in maniera preponderante in questa narrazione. Aspetto già presente nelle composizioni precedenti ma che appare molto più pregnante in questa. I personaggi del romanzo vivono in toto una situazione estrema di postmodernismo, concezione filosofica del presente che afferma che ogni riferimento ideologico è tramontato, per cui ciascuno è depositario di una propria verità. E tuttavia, nel romanzo della Kuruvilla si va oltre perché nei personaggi è assente qualsiasi verità, qualsiasi responsabilità. Si vive non tanto nel quotidiano, ma nel momento. La loro esistenza è fatta della momentaneità e con questo voglio dire che la minima, la più piccola circostanza, può far cambiare la direzione del loro agire, neppure del loro sentire, perché ciascun personaggio non “sente”. Il sentire presuppone un percepire qualche dettame che parte dall’io. Nei personaggi della Kuruvila non si risponde ad alcun sentire, si risponde solo all’hic et nunc e all’impulso.
Solo nell’ultimo episodio sembra che Carla accenni ad una propria progettazione di vita a cui corrisponde, forse, anche Diana.
Un terzo elemento va preso in considerazione. Kuruvilla riesce a riprodurre un gergo giovanile ma relativo essenzialmente a chi è emarginato o si emargina e non partecipa a nessuna dimensione del vivere sociale. Ecco un esempio fra i tanti: “Ci si avvicina un ragazzo, magro e pallido che quasi crollandoci addosso ci chiede: «Tipomelofaifareunsorsotipomelofaifareuntiro».”
Il legame fra postmodernismo e giovanilismo è una descrizione o una condanna dell’esistente?
Non traspare nei personaggi nessun rapporto positivo con la vita che si trascina, che la si porta avanti senza alcuna ricerca non dico di felicità, ma di un minimo di obiettivo.
Uno sguardo attento va dato alla copertina che è opera della stessa autrice Gabriella Kuruvilla. Si porta a spasso un cuore chiuso in un barattolo , cuore, completamente staccato da ogni relazione con la figura umana. È la sintesi più precisa del testo. Noi siamo abituati a investire la realtà, il rapporto con gli altri con il cuore e quando questo non avviene si è accusati di essere “senza cuore”. Nei personaggi di Gabriella, non solo il cuore batte solo è solamente come pura funzione meccanica, senza coinvolgimento, ma è addirittura separato dall’uomo. Sembra non ci sia scampo.
Sono così le figure maschili come Pietro e Manuel, sono così le figure femminili, tutte, ed è del tutto indipendente dalla loro storia familiare, quasi a togliere ogni scusante o ogni riferimento ad una possibile educazione errata, perché l’essere ormai senza cuore accomuna tutti indipendentemente dall’ascendenza. I mass media che portano in casa quotidianamente morti, per ogni causa, morti sul lavoro, femminicidi, morti in guerra, genocidi, creano un’assuefazione tale al male che imperversa da sterilizzare ogni sentimento, da espellerlo da sé stessi con tutti i rischi che questo comporta e che si stanno riversando sulla testa dei giovani d’oggi. Sintomatico di questo essere è la reazione che si ha nel vedere qualcun altro che invece mostra felicità. “Due ragazzi camminavano di fianco a noi, mano nella mano, parlandosi e sorridendosi, in continuazione. Roba da diventare diabetici solo a guardarli”(1). Non è solo questione di invidia o incapacità di poterli vedere come in un rispecchiamento di qualcosa che ti può accadere. I due ragazzi rimandano qualcosa che è fuori dalla realtà, come se fossero ormai in un altro pianeta e non in questa vita reale.
- Il corsivo è mio.
raffaele taddeo novembre 2022