Questa silloge comprende sei composizioni scritte fra il ’93 è il ’95. Alcune di esse saranno poi riproposte nella raccolta pubblicata successivamente dal titolo La chiave nella mano. Una importanza significativa va data alla prima poesia intitolata Vista. Ora mattutina, che non è la prima scritta in ordine di tempo perché è dell’inizio del ’94, ma essa contiene la giustificazione poetica delle composizioni, la loro genesi, l’urgenza che spingeva il poeta a dar ascolto alle sue non-poesie. “Sempre più frequenti sono le mattine in cui mi vengono a trovare le mie non-poesie,…E un suono, spesso, le accompagna”. Personificazione delle non-poesie, persone a cui bisogna dar retta, un po’ come in Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, ove i personaggi accennati dall’autore si presentano sulla scena immancabilmente, insistentemente, ossessivamente, altrimenti non trovano pace. Le non-poesie di Božidar Stanišić hanno un suono, vogliono avere una musicalità perché diversamente non sarebbero non-poesie, ma neppure non-prosa. Le non-poesie devono avere una intrinseca musicalità che le renda canto. Ma c’è di più le non-poesie “sono come anime e…echi delle mie autoconversazioni?”. Emerge ancora una volta la poetica fondamentale dello scrittore di origine bosniaca e cioè la riflessione. Ogni suo scritto propone a chi legge riflessioni e non solo sensualità della parola che non deve accarezzare l’orecchio ma deve penetrare nel cervello e lavorarvi. Ancora un’altra caratteristica della poetica di Božidar Stanišić è data dalla consapevolezza dell’inutilità della poesia e comunque della sua importanza. “Ma, a dispetto del ragionevole consiglio non desisto dall’atto inutile, e continuo a scrivere”. Sembra di leggere Montale quando affermava che la poesia non ha utilità pratica ma è importante e chi la incontra non ha possibilità di disfarsene. La composizione poi va avanti con ricordi e rammarichi dei fatti della Bosnia, col rifiuto e rigetto dell’accondiscendenza degli intellettuali che inneggiano al patriottismo e col tentativo di ricercare un perché è successo “ciò che non doveva succederci” e quali sentimenti, quali interrogativi, ma anche quali nuove speranze possono nascere da un fatto storico che ha non solo del tragico, ma dell’incredibile.
La silloge è intensa di rimandi e significati, sembra sotto molto aspetti un breve trattato di filosofia ove ci si interroga sulla morte, sulla brevità della vita e sulla sua precarietà come quella di una rosa in autunno che fiorisce e poi appassisce e tuttavia e possibile avvertire l’arrivo della primavera. Simile a rosa incantevole in alcuni tratti sembra una preghiera, una sorta di salmo.
Un’analisi critica e scettica di ciò che oggi accade nel mondo viene descritta in Vedronza. Ovvero non-poesia sulla serenità nel mondo in cui si contrappone la superficialità del procedere del clima comunicativo che tenderebbe a non far pensare o ad affermare che ogni cosa va per il suo verso giusto con “serenità” mentre aerei sganciano bombe a poca distanza, migranti vicini e lontani trovano morte in mare, persone muoiono di colera in Ruanda. Si pensa al Gratta e vinci metafora dell’annebbiamento che avviene e della rimozione per quanto di ingiusto e di doloroso esiste sulla terra. Božidar Stanišić usa lo stratagemma di un interlocutore che può solo abbaiare, perché la protesta è solo un abbaiare incompresa in questa cacofonia di voci e di somministrazione di droghe serenanti.
Anche in Aquileia , fantasticherie meridiane il poeta si interroga sul senso della vita un tempo, sulla non conoscenza di allora e di adesso. E’ possibile riassumere il senso della intera poesia con questi versi: “Che dirò in risposta, quando stasera qualcuno mi chiederà: Che cosa/ hai visto ad Aquileia? Sorriderò, in silenzio, o dirò:/ Ho visto la tristezza della polvere e il cielo sopra la terra, sereno./Ma di questo hanno già cantato, tanto tempo fa, prima di me,/ e i tempi moderni, si sa anche questo, cantano le loro poesia/ che bisogna accettare, a costo di morire.” Sia la non poesia precedente che questa hanno un sapore leopardiano quando diceva che rimaneva stupito quando gli altri si meravigliavano che lui affermasse che l’uomo è infelice. Da sempre i poeti, i filosofi hanno affermato questa verità, diceva Leopardi, mentre oggi si dice che l’uomo è felice e si inventa una grandezza che non ha mai avuto. La contrapposizione fra serenità e sofferenza dell’uomo, la contrapposizione fra la polvere che si è l’azzurro del cielo che si vorrebbe ora fanno sì che la non-poesia di Božidar Stanišić sia molto simile a quella di Leopardi. Sentire la sofferenza dell’uomo, soffrire con lui non è prerogativa di un solo poeta o del poeta di una sola nazione, ma è un fatto che appartiene all’essere uomo e che emerge là dove il sentire è più intenso, più lacerante e si ha il dono e la capacità di saperlo comunicare, saperlo esprimere.
Un’ultima considerazione per l’ultima non-poesia di questa raccolta intitolata Toledo. La chiave nella mano. Viene cantata dolorosamente l’angoscia di qualcosa che si è dovuto abbandonare, si è dovuto lasciare e non si dimentica, anzi il rimpianto, il legame continua a rimanere inalterato nel tempo e si tramanda di padre in figlio come quella chiave di una casa di Toledo che potè essere aperta da un turista ebreo che ne l’aveva ricevuta dai suoi avi ed era stata consegnata di generazione in generazione per tanti secoli. Questa non-poesia vuol essere forse ancora un inno al migrante di ogni tempo costretto a lasciare il territorio che l’ha visto nascere e per un qualsiasi motivo ( che sia la guerra, che sia la mancanza di prospettive, che sia la mancanza di lavoro, che sia la ricerca di una libertà che il territorio d’appartenenza non garantisce più) ne è stato cacciato. Toledo, la chiave nella mano è la metafora della condizione stessa dell’autore.