Emerge come un messaggio in bottiglia
Emerge come un messaggio in bottiglia
dal lontano mare della memoria
il “tema in classe”
svolto nell’anno scolastico 1959 / 60
in quinta ginnasio, a Matera,
città dei Sassi, capitale europea della cultura 2019.
Un messaggio all’Italia di oggi,
a chi detiene il Potere
gretto e arrogante e cinico e stupido,
a chi continua a cacciare i suoi figli migliori,
a chi non sa , non vuole accogliere
i migranti del mondo che soffre.
Era già l’ora che volge il disio
ai navicanti e intenerisce il core
Lo dì ch’an detto ai dolci amici addio
E che lo novo peregrin d’amore
Punge, se ode squilla di lontano,
che paia il giorno pianger che si more.
( Dante Alighieri)
“ Ritornavo al paesino dove soggiornavo, in Svizzera, dopo una giornata di lavoro. In treno. Lo sferragliare era assordante, intollerabile. Eppure lo sentivo ogni mattino, ogni sera; ma in quel momento mi sembrava strano e terribile. Guardai fuori. Gli occhi per un po’ si velarono, rabbrividii: il rosseggiante sole veniva inghiottito dai monti e, lentamente, con rassegnazione sbiadiva…
Mi parve di vedere mia madre vecchia, e lontana lontana , inghiottita, come il sole dai monti, dalle lenzuola in fin di vita. E vicina al letto mia moglie disperata e i miei figlioletti piangenti…
Mi provai a fugare il triste pensiero. Non ci riuscivo. Il treno si fermò. Scesi. Il rosso disco era scomparso e filamenti rosa lambivano il cielo come lacrime. Si faceva scuro. E frettolose le ombre della sera invasero il paesino…
Pensai: sopraggiunge la sera…cucinerò qualcosa…mangerò solo nella mia cameretta disadorna. Solo dormirò nel mio letto freddo. Solo… e m’accalappierà la notte…
Lenta e piana squillava una campana in lontananza.
Non riuscii a trattenere le lacrime che mi bagnarono le guance…
Mi vidi là, a Scaglia di Monte, ritornare dalla campagna sul mio cavallo all’ora dell’Ave Maria.
Una lunga fila di muli e asini e cavalli. Una lunga fila di traini col debole lampare che oscilla di continuo, e il cagnolino che s’affretta coi suoi passettini, il suono dei clacson delle auto e i loro luminosi fari.
Nella strada che mena a casa, dondolato dal mio cavallo, ascoltare lo scampanare dolce dell’ Avemaria…
Finalmente a casa, tanto atteso dalla mia famigliola.
Prendere tra le braccia il mio paffutello Vincenzo che mi traballa incontro raggiante.
Con lui sulle gambe sedermi a tavola davanti al piatto fumante di minestra saporita.
Insieme alla cara moglie tanto gentile, sentire parlare in modo così innocente e giulivo la mia Graziella e giocare con Mario sveglio e spigliato…
Oh, a questi pensieri una terribile malinconia mi soffocava e piangevo, piangevo, là per la strada come un bambino.
Una nostalgia di casa mia, del mio paesello, degli amici miei mi tormentava. E nella cameretta, mentre cucinavo, sentivo le grida gioiose dei miei figlioli e mi sembrava d’avere al fianco la mia premurosa moglie.
Spesso, a sera, nella mia solitudine, questo guazzabuglio di sentimenti m’assaliva e mi trasportava nelle tristi regioni del ricordo e del pianto e del dolore: là, in quel lontano paesino, tutta calma e pace, della Svizzera dove ritornerò, perché le ristrettezze economiche m’impongono di ritornare.”
Mi confidò un mio amico migrante.