Caffè con voci e sapori diversi: riflessioni dall’Irlanda

Insomnia mi dà un attimo di respiro su una poltrona avvolgente. Davanti a un caffè americano (un espresso non dura abbastanza per darmi il conforto che cerco ora) tiro fuori matita e quaderno arancione, e scrivo.

 

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Insomina è il nome di una catena di caffè in Irlanda, dove mi trovo in vacanza-studio con un gruppo di studenti italiani. Che in questo momento si stanno dedicando allo shopping in giro per i negozi di Kilkenny. Io avrei voluto fare lo stesso, ma lo prospettiva di un caffè vicino ai miei standard italiani – rispetto a quello della mensa mattutina – ha preso il sopravvento.

Il logo di Insomnia è simpatico, mostra una tazzina di caffè stilizzata in volo con un paio di ali su sfondo rosso bordeaux: come non avere voglia di entrare? Trovo che anche il nome sia azzeccato, e segua lo stesso stile ironico: attenzione a non esagerare con il caffè, o si rimane insonni, rinchiusi nel regno di Insomnia! E cosa c’è di meglio di un regno sempre “sveglio” in cui passare il tempo a bere caffè?  

Scovando online, scopro che questa catena è giovane, nata nel 1997 da un’unica caffetteria a Galway, nella costa ovest rispetto a Dublino, ed estesasi in addirittura 150 caffetterie in Irlanda. Per non contare le oltre 400 postazioni self-service disponibili in Irlanda e tutto il Regno Unito.

Attorno a me, molti giovani. Fuori, ai tavolini dalla caffetteria, molti adulti. Il caffè da Insomnia è pop. E non solo: il caffè da Insomnia è multigusto. Assume sapori diversi e insoliti: un occhio al menu e appare una selezione originale che include orange espresso tonic o amaretto affogato. E non solo: il caffè è plurilingue. Parla voci diverse: la mia, che è italiana. L’inglese della ragazza che lo sta gustando poco lontano da me. E perfino il gaelico irlandese – che qui in Irlanda è prima lingua officiale, oltre che nazionale. E non manca un tocco di inglese americano: l’ho sentito l’altro giorno in cui mi è venuta una irresistibile voglia di provare il famoso Caramel Frappuccino, sponsorizzato su un pannello gigante accanto all’angolo Starbucks dentro la mensa del college.

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Da buona italiana, ci ho fatto aggiungere un ulteriore goccio di caffè. Devo ammettere che la panna montata era piuttosto gustosa, ma se mi chiedessero com’era il caffè, beh, il mio palato (italiano!) non saprebbe rispondere. Perché siamo fatti delle cose che siamo soliti assumere, dunque per me caffè ha un significato e sapore preciso, riconoscibile, non solo quello della cultura generale in cui sono nata e cresciuta (il caffè, nel mio immaginario culturale, è il famoso “espresso”), o quello della mia particolare cultura famigliare (fra tutti, il caffellatte che prendono mamma e papà al mattino), ma anche quello della mia particolare cultura individuale, che va dal caffè che bevo allungato all’americana a colazione, all’intenso caffè arabo che bevevo più volte al giorno a Beirut. Che mi riporta a una voce fra tutte, che parla il caffè: l’arabo. Si dice infatti che caffè derivi dalla parola araba qahwa, letteralmente vino, liquore, che stava a indicare, dapprincipio, una bevanda dagli effetti stimolanti. In seguito la parola fu soggetta a modifiche e a un uso più restrittivo, diventando, in turco, kahve, e in italiano, appunto, caffè.

E la voce del vostro caffè, qual è? Raccontatemelo a veruhena@yahoo.it, e vi ritroverete “raccontati” in uno dei miei prossimi articoli qui su El Ghibli!

Verusca Costenaro

 

 

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