Briru

“Sembra ieri!” dice Wafi fra sé piegando la lettera. Gli viene in mente la rispo­sta del contadino alla cicogna.

Quale vita t’aggradi io non conosco,

t’ho catturato insieme con costoro

che ai miei lavori recano gran danno.

Ritorna a pensare a quando accompagnò Briru, amico d’infanzia e di cuore, che doveva an­dare a Parigi, alla Stazione Centrale di Milano. — Ti ricordi il tuo nome? Me lo ripeti? — Micro Bbandi — No! Mirko Bondi!

Era da giorni che Briru riprovava ma non riu­sciva a ripetere il suo nuovo nome. — E come si risponde, da vero italiano? — Briru — Noo! Prego. Pre-go. Ripeti. Briru non ci riusciva, ma lo aveva ringraziato.

L’amico alzò le spalle.

— Ce la farò, vedrai. — Insciallah! Era Wafi che aveva fatto venire Briru dal paese dove aveva vissuto senza istruzione – non ce l’a­veva fatta – né mestiere, ma in tanta miseria, no­nostante la sua voglia di lavorare. Lo stesso falli­mento però lo accolse qui in Italia. — La Francia sì che è un paese sviluppato.

L’amico lo rivede, malaticcio e mingherli­no, sulla gru di un cantiere a Pavia: minacciava di buttarsi nel vuoto, dopo un periodo di prova inconcludente.

Il capo-cantiere gli aveva dato del denaro con cui si comprò una falso documento Schengen. — A Parigi non avrai rogne con la polizia e trove­rai sicuramente un lavoretto da qualche algerino.

Alla Gare de Lyon, Briru venne ammanettato e rispedito come una lettera al mittente.

Stanco di aver camminato e pianto, si asper­se di benzina, scricchiò un fiammifero e sorrise al­la vita.

Abdelmalek Smari

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