Giocattoli cinesi 

Ogni anno, da trent’anni, aveva festeggiato il suo compleanno con amici e parenti, le era sempre piaciuto circondarsi di persone. In fondo, le piaceva essere al centro dell’attenzione almeno per un giorno, lei che per carattere e per le sue radici culturali, era una donna piuttosto schiva e riservata. Lisci capelli neri che ormai, per cedere alle mode, portava con vistose mèches chiare che stridevano per il forte contrasto sulla sua testa, Alina si guardava allo specchio osservando quella pelle olivastra, levigata, e i suoi occhi che, seppure tentasse di allargarli in una smorfia di sgomento, restavano sempre due fessure. Si avvicinava il suo compleanno. Ogni anno immancabilmente le tornava alla mente quella volta di vent’anni fa.

Tutti i compagni erano invitati e anche quella bambina cinese figlia dell’amica di mamma. Quel volto schiacciato continuava a tornarle alla mente. Poi guardava il suo allo specchio, gli stessi occhi allungati, gli stessi capelli lisci, corvini e lucidi, adesso anche le stesse piccole rughe, la stessa maniera di invecchiare. Di scatto girava la testa per non vederselo sempre davanti, quel volto di tanti anni fa che la tormentava oggi come allora. In quegli occhi profondi si specchiava la sua anima, un’anima doppia, fatta di due passati, di spaccature e di rammendi, l’anima di sua madre che, ragazza, era venuta da lontano con la propria famiglia per ricominciare qui dove aveva trovato un nuovo popolo, un nuovo amore, una nuova identità. Poi era nata lei, Alina, questo ibrido che tanto si distingueva tra gli altri, non solo tra gli italiani, ma anche tra gli altri stranieri.

“Mamma, non la voglio invitare” Un fiume di parole la invase, ma lei aveva deciso, non voleva quella bambina al suo compleanno. Guardarla le avrebbe ricordato se stessa, le loro origini comuni, quei tratti somatici inconfondibili impossibili da celare al resto del mondo e questo lei voleva dimenticarlo.

Squillo del telefono: era il nonno che adesso come allora puntualmente se ne ricordava, oggi la voce tremula tradiva la sua età avanzata, ma la memoria non lo aveva abbandonato, specie per le ricorrenze familiari. Lui era il patriarca, l’anziano, il saggio che veglia sui suoi, e così aveva continuato a comportarsi, non capendo come suo genero, italiano, non assumesse il ruolo di capofamiglia che gli spettava. Seppure un brav’uomo, non poteva negarlo, amava sua figlia, era un buon padre per la loro bambina, eppure tra loro restava qualcosa di non detto che lo inquietava. Al fianco di Alina il nonno aveva assistito al formarsi un vuoto che solo lui riusciva a vedere, le regole si sfaldavano, i ruoli si confondevano. Aveva visto tante cose cambiare intorno a lui, ma faceva tutto ciò che era in suo potere per mantenere quel sistema di gerarchia familiare che la loro religione imponeva.

“Pronto nonno?” Quel volto dinanzi agli occhi della sua mente, adesso come allora, e il suono della sua lingua, quel suono liquido, lungo, aritmico, fu un colpo allo stomaco. Neanche quella voleva più sentire, lo avrebbe capito subito il nonno, gli avrebbe risposto nella propria lingua, quella di scuola, quella dei negozi, del mercato, dei compagni, della normalità. Perché doveva sentirsi diversa da tutti? Perché la costringevano a parlare quella lingua che odorava di involtini primavera e l’acconciavano a quel modo da farla sembrare un fior di loto? Lei che avrebbe voluto sparire, diventare trasparente, confondersi con le sagome dei bambini del parco e invece c’era sempre qualcuno che le ricordava chi fosse e da dove venisse. ”Mamma, vado a giocare con la cinesina”. Ed ecco che il nonno, che spesso la portava al parco nei giorni in cui anche la mamma lavorava, la chiamava e a lei sembrava che urlasse e neanche il suo nome sembrava lo stesso in cinese. “Nonno grazie degli auguri… sì faremo una festa, inviterò i miei compagni di classe… verrà anche lei? Beh.. forse no”.

Finalmente cominciano ad arrivare gli invitati, una cenetta tra amici, niente di speciale, ma lei sarebbe stata la reginetta questa sera, le avrebbero portato dei regali e lei li aspettava con curiosità, come la vedevano i suoi amici? Era il tipo da profumo raffinato o da acqua profumata alle erbe selvatiche? La conoscevano bene oppure avevano un’immagine distorta di lei? E’ sempre interessante cercare di scoprire attraverso i regali ricevuti il pensiero che aveva mosso le persone a sceglierli per te. Coppie di amici cominciarono a sfilare, due colleghi del marito, la vicina di casa che tanto l’aveva aiutata quando era nata sua figlia, il vecchio compagno di scuola di suo marito e poi la sua amica d’infanzia, la cui presenza in passato l’aveva messa tanto in imbarazzo.

La festa era terminata e la montagna di giocattoli la aspettava minacciosa accanto al suo letto. Lei era venuta, immancabile, le aveva portato non so quale bambola, che Alina aveva subito odiato. Sembrava che le somigliasse ma dove diavolo aveva trovato una bambola cinese in Italia? Aveva cercato di ignorarla tutto il pomeriggio, senza riuscirci, visto che le si parava continuamente davanti, con quel vestito di tulle bordato d’oro, vistoso come quello di una vecchia bambola. Non conosceva gli altri invitati quindi aveva cercato rifugio in lei per tutta la festa, facendola sentire ancora più ridicola. Le due cinesine, sempre insieme, come due gemelline. Di sera, quando tutti la credevano addormentata, Alina si alzò furtivamente dal letto, scivolò lungo il corridoio e, cercando di non fare rumore, fece un’attenta selezione dei giocattoli ricevuti e l’indomani, approfittando di un momento di disattenzione della madre e dell’assenza del padre, infilò quelli che aveva scartato in un sacco che accantonò in mezzo ai rifiuti di casa. La mamma, entrata in cucina ancora in pigiama, lo scorse e dapprima non ci fece caso. Alina pensava di averla scampata ed era ormai sicura che quegli orrori sarebbero finiti triturati nel camion del netturbino, bambola compresa.

Quando la mamma tornò in cucina per accingersi a preparare il pranzo scorse l’orecchio di un orsetto spuntare dai lembi della busta di plastica, li scostò per capire meglio, sconcertata aprì definitivamente la grossa busta e rimase allibita: era colma di giocattoli che Alina aveva appena ricevuti dai suoi compagni, prima fra tutti, sospinta proprio nel fondo della busta e schiacciata dal peso degli altri, la bambola cinese.

Erano arrivati gli ospiti, sempre affettuosi, gli amici avevano portato da bere e tanta allegria. La sua amica di sempre aveva portato anche il suo nuovo fidanzato, un ragazzo dall’aria intelligente che sembrava volerle bene. Era contenta per lei, avevano condiviso tante esperienze e tante difficoltà dalla loro infanzia. Ora lei le porgeva il suo regalo, incartato con una carta strana, sembravano disegni infantili…ma cosa le era saltato in mente?

Quella sera stessa ne parlò al marito al ritorno da lavoro ed insieme decisero di affrontare la piccola Alina. Il padre era furioso, lavorava sodo lui per mantenere la famiglia, temeva che quel benessere tanto faticosamente raggiunto avesse dato alla figlioletta un’immagine distorta della realtà e, sebbene capisse che non era colpa della bambina, la rabbia che il senso di colpa gli provocava lo portava a prendersela con lei. “Cosa ti è saltato in mente? Pensi che i soldi la gente li trovi per strada? Questi sono giocattoli che i tuoi compagni hanno comperato per te e tu li butti via?” Alina indietreggiò impaurita. Ormai aveva quasi dimenticato quella busta, poiché la mamma l’aveva opportunamente riposta in un angolo del ripostiglio aveva pensato che tutto fosse risolto. In un attimo le passarono davanti agli occhi della mente le immagini dei giocattoli triturati dal camion dei rifiuti e si trovò spiazzata confondendo la realtà con l’immaginazione.

Poi vide la mamma, un’aria remissiva, ma uno sguardo diretto e indagatore, che teneva in mano il sacco chiuso nel suo pugno e sollevato da terra a fatica. I loro sguardi si incrociarono, la mamma non disse nulla, ma Alina capì che lei sapeva qualcosa che il papà non conosceva. Si fece coraggio e prese a spiegare: “Lo avete detto voi che i giocattoli cinesi fanno male”, sbottò. Lo aveva sentito in una conversazione avvenuta qualche sera prima in seguito all’ennesima notizia di sequestro da parte delle forze dell’ordine di giocattoli non a norma, tutti “made in China”.

Scartò con curiosità il pacchetto, leggermente in imbarazzo per la carta da regalo, sperando in cuor suo che si trattasse di uno scherzo, e con sua grande sorpresa si trovò la tre mani esili una vecchia bambola dall’aria triste, scolorita dalla polvere e dal tempo; aveva un che di familiare, poi d’improvviso la riconobbe. “Me l’ha data tua mamma, l’ha conservata tutto questo tempo e voleva che fossi io a fartela riavere, in ricordo di quella volta in cui ho rischiato di perdermi la festa del tuo compleanno.” Risero insieme. I loro occhi si strinsero a formare due leggeri archi simmetrici sul viso pallido e quasi si chiusero per la contrazione dei muscoli dovuta all’ilarità provocata dalla situazione. Le due ragazze si guardarono e videro se stesse rispecchiate nell’anima dell’altra, il loro passato, il loro tesoro ingombrante ma prezioso e autentico. Avevano aperto il vaso di Pandora personale che si erano portate dentro da tanti anni e che aveva tanto pesato nella propria coscienza di se stesse. Da quel vaso erano usciti gli spiriti degli antenati, dragoni di stoffe dai colori cangianti, maschere bianche, eleganti sete con ricami pregiati, squisite prelibatezze agrodolci, delicati fiori di pesco rosa immersi in giardini sapientemente ordinati intorno a specchi d’acqua. Tutto questo avevano visto le due ragazze in quegli attimi di gioia in cui i loro occhi si erano chiusi per il riso ed entrambe sapevano bene di aver condiviso questo e tanto altro ancora.

Era passato un mese da quel giorno della festa. Alina aveva ripercorso mentalmente il proprio passato in quei giorni che avevano seguito la festa ed era tornata in quei luoghi della memoria più remoti. Gli album di famiglia le avevano svelato segreti che sinora non aveva saputo cogliere guardando quelle immagini di quando sua madre era venuta in Italia, da ragazza: aveva per la prima volta letto la paura nel suo sguardo, l’incertezza nella sua postura, finché nelle immagini non era comparso il sollievo e poi l’amore di suo padre e la nascita di Alina. Ora si trovava con tutta la sua famiglia di fronte alla Grande Muraglia. Il nonno era felice delle radici ritrovate, ma nulla avrebbe cambiato della propria vita e delle scelte fatte in passato. Oggi come allora, i suoi occhi a mandorla contemplavano la ricchezza dell’antica civiltà cinese, grande come l’anima di qualsiasi civiltà che, in un momento indefinito della storia dell’umanità, aveva brillato come una stella del firmamento. Si sa, le stelle esplodono e se ne formano di nuove, ma tutte contribuiscono a rendere il cielo luminoso.

Questo Alina lo capì e da allora, guardandosi allo specchio, vide i tratti di uomini antichi, rughe di saggezza, tra cui scorgeva inconfondibile il naso piccolo e le fessure degli occhi e il colore ocra come la terra da cui tutto nasce.

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Tratto dalla raccolta di racconti ‘Guanti bianchi- racconti dedicati a tutti i bilingui nell’anima’ Edizioni DrawUp 2015