I confini della laguna

 

Lo chiamano “il Mago” e lo conoscevano tutti nel paese e in tutti i paesi dell’isola. E tutti sapevano che era un mago cattivo, uno che praticava la magia nera.
Il Mago aveva  una bella moglie, un figlio sano, una bella casa con giardino e le terre più ricche del paese. Ma era un povero Mago cattivo. La sua fama aveva superato i confini dell’isola e spesso a casa sua arrivava gente da ogni dove. La storia dei cugini Fenacchi aveva scosso tutti.
Mino Fenacchi, chiamiamolo MinoI, odiava a morte il cugino, che si chiamava anche lui Mino Fenacchi, chiamiamolo MinoII. Odiava il cugino da molto tempo MinoI, prima che MinoII  spostasse i confini comuni a suo favore all’alba del primo dell’anno, quando tutti dormivano, dopo la festa di Capodanno. Gli aveva fagocitato praticamente mezzo metro per tutta la lunghezza di trenta metri del terreno e fu allora che esplose l’odio di MinoI nei confronti di MinoII.
MinoI se ne accorse dell’imbroglio verso il mezzogiorno del primo dell’anno, quando vi si recò con la famiglia per sgozzare il galletto più giovane e versare il suo sangue sul terreno per renderlo più fertile, una tradizione antica.
Era difficile accorgersi dello spostamento ma lui lo capì subito appena arrivato perché ad un certo punto, verso la fine della linea di confine, c’era un sasso grande e piatto come una poltrona e su quella poltrona, all’aria aperta e lontano da occhi indiscreti, aveva fatto delle memorabili pomiciate con Soula, la più bella ragazza del paese, che poi, però, sposò suo cugino.
Così MinoI si sentì derubato due volte da MinoII. La prima volta gli aveva rubato la bella morosa perché, quando l’incaricata di matrimoni fece sbadatamente la proposta prima a suo zio, padre di MinoII, lui rispose che accettava “ciò che gli volevano dare” come dote in denaro e immobili.
Il padre invece di MinoI, sicuro di sé, perché aveva capito che la morosa rispondeva fin troppo bene alle carezze del figlio, chiese per dote tutto, anche la casa paterna della bella Soula.
“Sto bastardo prima pomicia e poi vuole anche essere pagato bene.” Pensò stizzita Soula, la bella morosa, e, lì per lì, non fece nessuna obiezione alla proposta di MinoII sperando che intanto avrebbe dato una buona lezione a MinoI.
“In fin dei conti”, pensò il padre di Soula, sempre lì per lì, “questi due cugini si assomigliano parecchio”. In breve, per una serie di qui pro quo e dispetti, la bella Soula la sposò MinoII.
Una sera, appena dopo il dolce tramonto, tempo di incontri magici, Mino I ebbe un appuntamento particolare sulla riva della laguna dei Cabiri.
Era insidiosa quella laguna. Al primo sguardo sembrava un laghetto dall’acqua salmastra, anzi una larga pozzanghera. Ma in realtà, la stretta uscita al mare c’era e si trovava alla fine dell’orizzonte. Entravi nella laguna e camminavi per un centinaio di metri e oltre e l’acqua ti arrivava appena a metà gamba. Anche per un chilometro ancora l’acqua rimaneva bassa, un gioco da bambini. All’improvviso però, nel bel mezzo di quel gioco che diventava piuttosto noioso, ti trovavi al centro della conca e lontano dalla riva e lì, la laguna diventava profonda, senza preavviso. Chi conosceva quella laguna vi si avvicinava con prudenza.
–          Vuoi  punire quel ladrone di tuo cugino, vero?
MinoI fece “sì” con la testa. Un po’ si vergognava ma l’astio in quel momento prevaleva su tutto.
– Punizione parziale o completa? Chiese il Mago che già conosceva tutta la storia e voleva solo orientare MinoI sul tariffario.
MinoI alzò solo lo sguardo.
–          Ho capito, punizione completa per il doppio male che ti ha fatto. Pagherai tutto solo quando comincerai a scorgere la Giustizia. Sono trenta e la Vittoria con noi!
MinoI capì che doveva pagare al Mago trenta sterline d’oro con la faccia della Regina Vittoria su un lato e San Giorgio splendido che uccide il Drago tiranno sull’altro. Chinò il capo in segno di piena sottomissione, salutò e si diresse verso il paese. Era buio, ormai. Il Mago invece, rimase tutta la notte solo nella laguna dei Cabiri prendendo contatti con Chididovere.
Due giorni dopo, trenta delle cinquanta pecore paffute di MinoII morirono tragicamente in un incidente automobilistico. Erano state affidate al camionista Lambris che le avrebbe consegnato all’acquirente. Ma il camion si schiantò contro un palo della luce perché Lambris, che non beveva mai, aveva trangugiato un litro di racchì a stomaco vuoto.
La stessa sera MinoI pagò le trenta sterline al Mago ma mentre stava rientrando al paese, si rese conto, dopo un calcolo attento, che le pecore morte del cugino gli erano costate care. In altre parole, con quelle trenta sterline avrebbe potuto acquistare una cinquantina di pecore e forse anche di più e avrebbe fatto schiantare il cugino dall’invidia, una bella soddisfazione in sé. La macchina della vendetta, però, era già avviata.
La cattiveria del Mago non aveva limiti. La sua anima si nutriva di cattiveria come il corpo di cibo. E poiché la cattiveria è un buongustaio, il Mago praticava la malvagità in modo raffinato. Una malvagità variegata, mai dello stesso tipo, che si manifestava come crudeltà, malignità, sadismo, spietatezza, perfidia, durezza, brutalità, sopruso, coercizione e violenza. E ci metteva molto impegno ed esperienza. Il talento, poi, era scontato.
Le mogli non gli sopravvivevano più di tanto. Gliene mancavano due per pareggiare con il Re dalle sei mogli. L’ultima, la quarta, però, era così perfetta e soprattutto evanescente, che con tutta la sua astuzia, il Mago non riusciva ad incastrarla.
La moglie del Mago viveva innocente e ignara e non se ne accorgeva di nulla. Sempre gentile e sorridente non si stancava dei compiti casalinghi e delle visite noiose e formali di gente musona e importante che arrivava da lontano per fare affari misteriosi con marito. Gli aveva dato anche un figlio, un bambino sano e allegro che gli assomigliava molto. Anzi, il figlio era così assomigliante a lui che mentre gli altri lodavano questa somiglianza, il mago si indispettiva.
Quattro giorni dopo l’incidente automobilistico di povero Lambris, che era ancora in ospedale con prognosi riservata, un fulmine uccise le rimanenti pecore di MinoII, che, per riparasi dal temporale si erano rifugiate sotto un albero. In paese, il nome del Mago non si pronunciava più. MinoI aveva già pagato le trenta sterline d’oro. E non era finita qui. Il Mago onorava i contratti.
Improvvisamente, a metà mattinata di qualche mese dopo, in un attimo, la notizia del brutto male che aveva colpito Soula, la bella moglie di MinoII, fece il giro del paese. Un brivido freddo attraversò tutti.
Pochi giorni prima, il medico che l’aveva visitata aveva consigliato il ricovero urgente della giovane presso un ospedale della capitale attrezzato per cure speciali. MinoI volle incontrare di sera il Mago nella laguna dei Cabiri. Ancora una volta.
–          Ti ringrazio, ma adesso basta.
–          Che c’è? Il piacere della Vittoria ti fa paura?
–          Basta. E’ stato punito. Tu sei stato pagato. Mia cognata, però, deve guarire. Lei è innocente!
–          Troppo tardi! Ma che fai? L’ami ancora? Ha preferito tuo cugino!
–          Ti prego!
–          Vai a casa, Mino! Ammonì il Mago rivolgendo lo sguardo al centro della laguna.
Il ventesimo giorno da quell’incontro, MinoII tornò al paese con il bel corpo morto della moglie. La  sera dopo il funerale, MinoI salì solo sulla collina dei Cabiri. Da quella strana cima vide il fondale della laguna rispecchiata nel cielo o il cielo nella laguna, perché tutto attorno a sé ruotava in velocità. In quella chiesa naturale, con un buco nero nello stomaco e un abisso nell’anima, MinoI comprese i confini della laguna.