Il riso

Rido di cuore
perchè ho di che ridere,
nell’infimo ventre di aprile:
non c’è niente come la pioggia
eminente che benedice.
Dal tribunale della notte
giungono voci, pare,
di tumultuose lotte
ai confini dell’io – con che audacia
i pensieri svaniscono
in quella traccia – senza
contare la futilità
con cui l’istanza
della rivelazione c’è, e vive,
e assale. E’ per questo che rido.
Si può ridere fino alle lacrime,
infatti, degli astrusi inganni
dell’essere (chi è?
domanda a un io sognato
il sogno di non so che me
che sogna sempre sé
in questo ventre) ma si può credere
che al di là degli inganni (e delle voci
e della traccia e della lotta)
il riso attesti con ingenuità
l’impermanenza del suo stesso essere.