introduzione

 

“Voi avete il tempo, noi le storie” Remo Cacciatori

 

Perché scrivere questi testi

Ci sono vari tipi di scrittura creativa. C’è quella terapeutica, che scava nelle nostre contraddizioni, c’è quella autobiografica, che fa appello alla memoria, c’è quella ludica, che si diverte a provocare la ricchezza delle parole e c’è la scrittura creativa competitiva, che insegna i trucchi per essere i più bravi a scrivere storie di successo. Gli incontri di noi diciassette, nelle aule dell’Istituto “Marelli” nell’ambito dei corsi di lingua italiana per stranieri tenuto da “La Tenda”, a quale tipo di scrittura creativa facevano riferimento? A seguirli c’era un gruppo felicemente scompagnato: otto frequentanti stranieri, di cui quattro donne (una filippina, una cinese-filippina, una peruviana, una cilena) e quattro uomini (un filippino, un colombiano, un peruviano e un gambiano), sei frequentanti italiane, e poi una corsista italiana per ius sanguinis ma brasiliana e una frequentante-scrittrice italianissima ma anch’essa di origine brasiliana, che partecipava tramite e-mail. Tale mescolanza era stata intenzionale, suggerita dal proposito di non organizzare un corso di scrittura creativa “per” stranieri, ma “con” stranieri, in cui nessuno insegnasse niente a nessuno, ma tutti fossero “sulla stessa barca”. A remare con le parole. Naturalmente si doveva tener conto non solo delle differenti abilità letterarie di ciascuno, come in qualsiasi corso di scrittura creativa, ma, prima di tutto, della disparità di conoscenze e competenze che gli stranieri avevano nel manovrare la lingua italiana. Perchè andare proprio a cercare questo ostacolo e, soprattutto, come fare a superarlo? Trasformandolo in una risorsa. E per fare questo, prima di imparare a scrivere è stato necessario imparare ad ascoltare. Infatti spesso si dimentica che le parole, quelle custodite nei vocabolari, sono sempre usate dalle persone. Non sono attaccapanni per appendere i significati, ma modi di agire, espressione di bisogni, intenzioni, emozioni, gesti di individui radicati in contesti storici, geografici, culturali spesso diversi. Per questo le parole non basta leggerle, vanno ascoltate, anche quelle scritte nelle pagine e sugli schermi dei computer. Solo così si può cogliere la loro energia e la loro stanchezza, che si nascondono in un termine inaspettato, in una pausa data da una virgola, in una frase sbilenca. L’attenzione ad ascoltare ha portato nel gruppo il piacere di essere ascoltati, di diventare, stranieri e italiani, oggetto di reciproco interesse e riconoscimento. Molti dei quarantasette incontri del nostro corso sono stati dedicati alla lettura che ciascuno faceva dei propri testi. E sono stati gli incontri più belli, divertenti, a volte più commoventi. Forse è proprio questo interesse reciproco che si è cercato di realizzare, realizzando i racconti, l’aspetto che meglio qualifica il nostro stare insieme, che potremmo chiamare Corso di scrittura “affettiva”. Con questo termine non si vuole sottolineare tanto una affettuosità di comportamenti, quanto una attenzione rivolta da tutti alla costruzione di relazioni tra noi attraverso la produzione letteraria dei nostri testi. Ciò ha comportato un capovolgimento di prospettiva nei confronti di un corso di scrittura tradizionale: al centro del nostro lavoro non ci sono state indicazioni di scrittura da dare a delle persone, ma delle persone a cui dare indicazioni di scrittura.

Quello che c’è in queste pagine

Il nostro gruppo si è mosso in tre direzioni, sondando, per tentativi, tre territori: quello del passato e della memoria individuale, quello del possibile e della immaginazione e, infine, quello dell’attualità, focalizzato sul tema della cittadinanza. Ricordi, invenzioni, opinioni di italiani e stranieri sulla stessa barca. In realtà questa distinzione non è stata rigidamente applicata nel corso degli incontri, dove i tre piani di lavoro hanno spesso viaggiato insieme.
La prima parte. Chi siamo. All’inizio questa sezione non era prevista. L’intenzione era di centrare da subito i problemi della cittadinanza. Ma nascevano blocchi, inibizioni. C’erano la voglia e il bisogno di sapere qualcosa delle nostre storie, prima di conoscere le nostre idee. Per fare questo abbiamo seguito due strade, una un po’ scenografica e autoironica, l’altra più seriosa e introspettiva. Per “metterci in scena” in modo giocoso, su suggerimento di Nadia, ci siamo ispirati soprattutto alla poesia di Wislawa Szymborska, Possibilità(1) , poi abbiamo letto brani di Perec da Mi ricordo(2) e da Specie di spazi(3) Invece, per rievocare persone, luoghi, emozioni, parole della nostra memoria ci siamo serviti soprattutto di un libro di Duccio Demetrio(4). Ciascuno dei partecipanti al corso ha risposto liberamente a questi stimoli e agli esercizi che era invitato a svolgere dopo la loro lettura. C’è chi ha scelto di dialogare con molti di questi testi, e chi si è mosso in modo più autonomo. Qualcuno ha scritto molto e altri hanno preferito o potuto fare poco. In ogni caso, in questa prima parte dell’antologia è possibile leggere sedici ritratti autobiografici quantitativamente e qualitativamente molto differenti, come era previsto che fosse.
La seconda parte. Prove di scrittura. Le autopresentazioni che aprono il libro nella loro diversità sono caratterizzate da una comune volontà di socializzazione. Ciò che le caratterizza non è l’urgenza di uno scavo interiore, ma piuttosto il desiderio di comunicare, di conoscere e farsi conoscere. Ma anche qui ci siamo accorti che passare dai problemi sociali a quelli personali non bastava a risolvere il problema di come raccontarli. Rappresentare il passato di ciascuno era un processo altrettanto faticoso che rendere conto del presente di tutti. In entrambi i casi la realtà ci si parava davanti come un inattaccabile groviglio di nodi troppo complicati (e a volte troppo dolorosi) per le nostre forze. Ed è qui che si è reso necessario imparare un po’ di tecniche narrative, di espedienti per potere aggirare, distanziare il compatto muro della materia da comunicare. Perché la realtà, come è stato detto, non si può catturare: l’unico modo per rappresentarla è ricrearla. Con le parole, con le immagini, con i suoni, con le simulazioni scientifiche. E così siamo entrati nel territorio della letteratura, abbiamo provato a diventare “scrittori”, che, come primo gesto richiede la capacità di vedere il reale come possibile, un “far finta che” sia vero, rinunciando alla pretesa di impossessarsene così com’è. Raccontare è come attivare quella funzione che nel computer si chiama “salva con nome”, quando, di fronte a una frase ingarbugliata da cui non sappiamo venir fuori, la “salviamo”, la mettiamo al sicuro in uno spazio accanto, dove possiamo provare a modificarla senza fare danni. E così è usare la finzione letteraria, che consiste nel prendere i dati della realtà e collocarli in un mondo possibile, parallelo, dove possiamo provare a riordinarli, a renderli comprensibili, immaginando soluzioni o catastrofi, dando vita a speranze o esorcizzando paure. Da qui gli esercizi della seconda parte dell’antologia: una specie di palestra del non prendersi troppo sul serio.
La terza parte. Raccontare la cittadinanza. Dopo essersi messi in gioco con la scrittura autobiografica e avere giocato con quella letteraria, potevamo tornare al nostro obiettivo: realizzare una scrittura “civica”, relazionale, fatta da cittadini che si confrontano. E abbiamo scoperto che se noi, italiani e stranieri, parlavamo e ci ascoltavamo, non discutevamo solo di cittadinanza, ma la praticavamo. Sarebbe dispersivo spiegare qui come ciò sia stato realizzato. Di questo parliamo nella “Breve nota introduttiva”, che precede gli ultimi capitoli del fascicolo.

Quello che c’è, ma non si vede

Il materiale che appare in questa antologia non riproduce tutto quello che è stato fatto negli incontri, ma accennare a ciò che qui non si vede può essere interessante per meglio capire ciò che si è deciso di fare vedere.
In queste pagine, ad esempio, mancano i testi che sono stati utilizzati per introdurre le varie fasi del nostro lavoro, come gli articoli della Costituzione Italiana, che parlano dei diritti e dei doveri dei cittadini. Sono assenti, poi, i numerosi testi letterari, a partire da La poubelle agréé di Italo Calvino(5) , con un brano del quale abbiamo aperto il nostro corso. In quella riflessione autobiografica lo scrittore ci racconta come lui, straniero a Parigi alla metà degli anni ’70, si sia sentito parte di quella città collocando fuori dalla porta di casa la sua pattumiera, come ogni altro parigino. Oltre alle citazioni letterarie abbiamo omesso le varie tracce che suggerivano possibili percorsi alla nostra ricerca e gli esercizi ad esse legate. Infatti i racconti scritti lungo i sei mesi del corso e qui pubblicati mostrano solo la parte che è stata sviluppata di quelle proposte. Tutto questo materiale, ora invisibile, è stato indispensabile alla visibilità di quanto è stato prodotto, come fosse una impalcatura usata per la costruzione di un edificio e poi rimossa al suo completamento.
Infine, tra i file restati nei computer, vanno annotati gli errori (di italiani e stranieri) corretti e cancellati. Da un punto di vista linguistico ed etnografico tutte quelle sgrammaticature, quei giri di frase impropri, quelle infinite doppie sbagliate non sono scorie da eliminare, anzi: avrebbero potuto rappresentare una ricchezza da studiare, segnali di una distanza culturale e di un difficile cammino di avvicinamento e apprendimento. Tuttavia non era questa la finalità del nostro lavoro. Il corso, infatti, si è svolto all’interno dell’attività di una scuola che da più di vent’anni è impegnata nell’insegnamento della lingua italiana agli stranieri. Questi ultimi, corsisti di scrittura creativa compresi, chiedono che si insegni loro l’italiano, non che si faccia vedere quanto non lo sanno. Le correzioni, tuttavia, sui racconti degli stranieri come degli italiani, sono sempre state rispettose dei testi di partenza. In questa raccolta non è stato omesso nulla di quanto è stato scritto né è stato modificato in nome di scelte stilistiche ritenute migliori.

Perché leggere questi testi

Si può anche capire perché la gente scriva racconti, e un po’ abbiamo cercato di spiegarlo fin qui, ma perché gli altri dovrebbero leggerli? Perché, con tutti i libri che ci sono in giro, di autori famosi e importanti, uno dovrebbe dedicare il suo tempo a un fascicolo di fogli fotocopiati in proprio?
Per almeno quattro motivi.
Primo: perché sono racconti corti. Immaginate di essere in metropolitana: tanta gente, tanti stranieri, tanti telefonini accesi. A un certo punto vi si affianca un vecchietto in crisi di solitudine e incomincia a raccontarvi una sua interminabile storia. Voi, per liberarvene, scendete cinque fermate prima della vostra. Immaginate, invece, di potere entrare e uscire per pochi minuti dalla testa delle persone che vi stanno intorno, venendo a contatto con le fantasticherie e le preoccupazioni che provano in quel momento individui tra loro diversissimi. Ora siete voi i registi di quelle storie, che potete proseguire con la vostra fantasia, abbandonare o confrontare a vostro piacimento. Ed è quello che potete fare con questi testi, aprendo questo volumetto a caso, se credete, o seguendo i lavori di una “scrittrice”, o procedendo nella lettura senza dovere memorizzare i personaggi delle pagine precedenti. E qui veniamo a un altro aspetto che potrebbe rendere interessante la lettura di questa breve antologia.
Secondo motivo: perché questi racconti sono spaiati. Proprio così: in queste pagine non ci troviamo davanti a sfilate di testi addestrati per essere originali e per questo destinati a sembrare un po’ tutti uguali. Qui le diversità di scrittura si vedono: da una parte ci sono testi, di italiani e stranieri, scritti con mano esperta e felice, che si leggono per la loro piacevolezza; dall’altra ci sono racconti, di italiani e stranieri, più ingenui, un po’ zoppicanti, ma dove la costruzione sofferta della frase, la stonatura grammaticale lasciano intuire la fatica di chi li ha scritti e la ricchezza di quello che si voleva dire. Terzo motivo: tra i rematori presenti su questa stessa barca c’è una scrittrice vera, Christiana de Caldas Brito, che con l’ironia e la grande disponibilità che la caratterizza, ha partecipato via mail, alla realizzazione di questo “libro”, non solo attraverso suggerimenti, ma anche fornendo suoi contributi letterari che, da soli, ne giustificherebbero la pubblicazione sotto più autorevoli forme editoriali(6).
Quarto motivo, come una conclusione. Ogni antologia, se vuole essere tale e non un insieme disordinato di scritti, non ospita solo testi, ma è un testo a sua volta, in quanto propone al lettore un percorso di senso, un progetto. La sfida presente in Sulla stessa barca era di fare scrivere insieme italiani e stranieri, per farli vivere insieme un’esperienza di cittadinanza. Siamo soddisfatti del risultato, anche se siamo consapevoli che è stato raggiunto solo in parte. Se parecchie delle sue potenzialità sono rimaste inespresse, ciò non è dovuto alle asimmetrie (linguistiche, culturali, anche generazionali) dei partecipanti al corso. Al contrario, tali diversità hanno contribuito a suscitare interesse, collaborazione e simpatia tra di noi. Le differenze che hanno pesato negativamente sono state altre, imposte da fatti concreti e contingenti: i ritardi, le assenze dovute agli impegni di lavoro e familiari, ai cambi di residenza forzati, ai licenziamenti inattesi che hanno interessato quasi esclusivamente i nostri ospiti stranieri. Insomma, da parte loro non sono state le storie a mancare, ma il tempo di raccontarle. È stata la disuguaglianza di opportunità il maggiore ostacolo al nostro lavoro. Lo aveva ben sintetizzato Theresa in uno degli incontri, rivolgendosi alle italiane presenti. “Voi avete il tempo, noi le storie”, aveva detto. Poi se ne era dovuta andare, perché la sua “signora” la stava aspettando.

 

(1) Preferisco il cinema./Preferisco i gatti./Preferisco le querce sul fiume Warta./Preferisco Dickens a Dostoevskij./Preferisco me che vuol bene alla gente /a me che ama l’umanità./Preferisco avere sottomano ago e filo./Preferisco il colore verde./Preferisco non affermare/che l’intelletto ha la colpa di tutto./Preferisco le eccezioni./Preferisco uscire prima./Preferisco parlare con i medici d’altro/Preferisco le vecchie illustrazioni a tratteggio./Preferisco il ridicolo di scrivere poesie/al ridicolo di non scriverne./Preferisco in amore gli anniversari non tondi,/da festeggiare ogni giorno./Preferisco i moralisti/che non mi promettono nulla./Preferisco una bontà avveduta a una credulona./Preferisco la terra in borghese./
Preferisco i paesi conquistati a quelli conquistatori./Preferisco avere delle riserve./Preferisco l’inferno del caos all’inferno dell’ordine./Preferisco le favole dei Grimm alle prime pagine./Preferisco foglie senza fiori a fiori senza foglie./Preferisco i cani con la coda non tagliata./Preferisco gli occhi chiari, perché li ho scuri./Preferisco i cassetti./Preferisco molte cose che qui non ho menzionato/a molte pure qui non menzionate./Preferisco gli zeri alla rinfusa/che non allineati in una cifra./Preferisco il tempo degli insetti a quello siderale./Preferisco toccare ferro./ Preferisco non chiedere
per quanto ancora e quando./Preferisco prendere in considerazione perfino la possibilità/che l’essere abbia una sua ragione.
in La gioia di scrivere : tutte le poesie (1945-2009), Milano, Adelphi, 2009, p. 479

(2)Mi ricordo, Torino, Bollati Boringhieri, 2013

(3)Specie di spazi, Torino, Bollati Boringhieri, 2002

(4)Il gioco della vita, kit autobiografico, Milano, Guerini e Associati, 1999

(5)in La strada di San Giovanni, Milano, Mondadori, 2002, pp. 69-93

(6)Tra la sua produzione ricordiamo le raccolte di racconti Amanda Olinda Azzurra e le altre, Roma, Oèdipus, 2004 e Qui e là, Isernia, Cosmo Iannone editore, 2004; i  romanzi 500 temporali, Isernia, Cosmo Iannone editore, 2006; colpo di mare, Roma, Effigi, 2018; il manualetto di scrittura creativa Viviscrivi, Bologna, Eks&Tra, 2008