La felicità dell’attesa

Carmine Abate
La felicità dell’attesa
Mondadori   2015   € 19,00

raffaele taddeo

Nei romanzi di Carmine Abate alcuni elementi si ripresentano anche quando l’autore cerca di svincolarsi perché possono apparire rincorrenti. E’ così per la mitopoises, cioè la creazione di miti o la riproposizione di miti in altra versione; è così pure del tema del ritorno che in questo romanzo è molto presente ed assume facce e caratteristiche diverse; ma lo è anche per il sistema linguistico che in quest’ultimo testo propone la presenza di termini, espressioni dell’arberesh o del dialetto calabrese molto più conglobati che non nei precedenti romanzi.
Tutti i personaggi, ad eccezione di Monica moglie di Carmine protagonista, voce narrante, che possiamo chiamare jumior, e di Norma Jean, appartengono ad una stessa comunità linguistica; anche la moglie di Carmine Leto senior (il nonno), americana di nascita è totalmente inserita nella comunità di Hora e ne ha assunto in gran parte valori i valori. Il percorso di riappropriazione della storia di vita del padre del protagonista rischiava di banalizzarsi in una ricerca maniacale dei presunti responsabili dalla sua morte se non si fosse assunta una qualche forma mitica che ne esaltasse la sua esistenza che di per se rischiava di non avere nulla di significativo da meritare una scrittura narrativa. L’espediente trovato da Carmine Abate è da una parte singolare, dall’altra audace perché poteva far perdere credibilità al personaggio Jon Leto e far scivolare l’intera narrazione verso un fantasioso poco accattivante se non addirittura ridicolo. Il narratore infatti, per molta parte del romanzo si sofferma su una storia d’amore fra Jon Leto e Norma Jean, conosciuta come Marilyn Monroe. Il mito della diva del cinema, la sua vita misteriosa perchè legata ai più illustri personaggi politici americani dei primi anni ’60, ma anche tragica solleva la storia di Jon da una banalità ad una sorta di vicenda mitica sub specie aeternitatis che val la pena di riscoprire e raccontare.
Un secondo mito viene proposto ed è quello di Andy Varipapa il giocatore di bowling che divenne famoso negli Stati Uniti verso gli anni 50-60, ritenuto forse il più grande giocatore di quella specialità sportiva. Due miti si rincorrono e diventano il substrato di un tessuto narrativo avvincente e intrigante. Per Carmine Abate il presente può essere sostenuto solo se corroborato da un passato miticizzato e quindi sotto molti aspetti esemplare.,
Il tema del ritorno è presente quasi in ogni pagina di questo romanzo. Il solo Varipapa non si sposta dagli Stati Uniti e non ritorna mai in Italia e/o al suo paese di nascita. Non aveva più familiari e quindi il ritorno sarebbe stato non solo inutile ma anche mortificante sul piano della memoria. Non aveva da riscattarsi per nessuno e neppure per una comunità che l’aveva visto andar via quand’era ancora ragazzo e non aveva lasciato alcuna sua impronta al paese d’origine. Tutti gli altri personaggi non riescono a non rimettere piede nel paese natio dopo l’avventura della migrazione. E’ così per Carmine Leto, che convinto della bontà della vita nel suo paese riesce a portarvi anche la sua sposa americana. Ma è così anche per Jon Leto e la moglie che dopo aver lavorato per anni nell’America decidono di passare la loro vecchiaia nel paese d’origine. Il ritorno sembra interrompersi e diventare quasi impossibile per i protagonisti più giovani, come Carmine junior, il narratore e sua sorella Lina. Entrambi e specialmente quest’ultima non vedono la possibilità di poter rimanere o ritornare ad Hora. E tutta via Lucy, la figlia naturale di Lina riassume il territorio dove è nata la madre come sua seconda patria così che radicherà la sua permanenza organizzandovi un’attività lavorativa che diventa quindi la sua residenza stabile. Il territorio di nascita fa da richiamo non solo a coloro che vi sono nati ma anche ai loro discendenti, è un ritorno di lunga durata perchè legare l’io al territorio di nascita comporta una assunzione identitaria molto forte, che può essere addizione di moltissime esperienze ma ritrova il suo ancoraggio nel paese d’origine. In Carmine Abate identità e territorio formano una unità inscindibile che può essere arricchita per addizione ad altre esperienze capaci di accrescere la corposità identitaria, ma non può mutarsi, alterarsi perchè allora non sarebbe un’addizione ma una sostituzione.
Sul sistema linguistico si è già detto, forse può essere utile aggiungere che la conglobazione dei vari idioletti al sistema linguistico base che è l’italiano risulta molto più fluido da una parte e più naturale e spontaneo dall’altra. In questo campo l’autore calabrese ha raggiunto una maestria quasi gaddiana.

17-11-2015