la gattara

– Ma sei sicura che sponsorizzeranno il mio spettacolo?
– Sicurissima. Mio cognato è l’attuale amministratore delegato. Basta che parli con il direttore marketing e la cosa è fatta. Sabato andiamo a cena insieme. Tu prepari il progetto con tutto quello che hai, testi, brani di canzoni, le bozze della scenografia, i costumi, e io ti telefono per dirti per quando è stato fissato l’appuntamento.
– Mah… mi sembra un sogno.
– Niente sogni, solo un po’ di buona volontà. Se non uso i pochi contatti che ho per aiutare quelli che se lo meritano, allora per cosa li dovrei usare?
– Hai ragione. Se tutti la pensassero così… Tu sei una persona molto speciale, Maria Teresa. Non so se te ne rendi conto, ma agli altri non gliene potrebbe fregar di meno.
– Lo faccio volentieri, Roberto. E sarò lì, seduta in un angolino, la sera della prima.
– Invece sarai in prima fila, e i fiori saranno tutti per te.
– Figurati… Il testo è già pronto?
– Più o meno. Forse ci lavorerò ancora un po’.
– Le battute del dialogo dovranno essere perfette. Soprattutto quelle comiche.
– Sì, lo so. Ci tornerò sopra, sicuramente.
– Ora scappo. Ti telefono lunedì.
– Ancora grazie, eh!
– Grazie a te. A presto, allora.

L’imponente Lancia Thesis blu refrigerata e insonorizzata avanza lentamente per la stradina del Ghetto di Roma. Circa venti metri prima del palazzo dove vive Quirino, Maria Teresa prega l’autista di fermarsi.
– Fai attenzione, Arturo. Occhi fissi sulla portineria. Se mi vedi uscire con qualcuno, vorrà dire che prenderò un taxi. Allora tu fai finta di niente e te ne torni a casa. Hai capito bene?
– Perfettamente, signora.
– Bene. Mentre sarò su, terrò il telefonino spento.
– Va benissimo.
– In ogni caso, non ti scordare di andare a prendere Marchino alle cinque e venti, okay?
– Non deve preoccuparsi, signora.
Maria Teresa trova il cancello aperto e sale su senza suonare.
– Ah, Maria Teresa, sei tu? Entra. Non fare caso a ‘sto casino, ma sono tornato a casa poco fa, non ho ancora avuto tempo di ripulire.
– Non pensarci. Ci sono abituata. Sei andato a trovare tua figlia a Caserta?
– No, no. Ci andrò la prossima settimana. Ho accompagnato mia mamma a fare il giro dei supermercati.
– E che fa, una gran festa?
– Magari. Dovresti conoscerla. È un personaggio! Lei… beh, è una gattara. Sai, le famose gattare.
– Quelle che vanno in giro per la città a dar da mangiare ai randagi?
– Sì, proprio quelle. Ma se dici “gatti randagi” si incazzano. Si dice “gatti liberi”.
– Le ho viste parecchie volte ai Fori. Ogni tanto ci vado a portare gli amici stranieri e ci sono queste donne con i sacchetti. Centinaia di gatti vivono tra le rovine. Sembrano i guardiani dei templi. E quelle signore portano loro da mangiare tutti i giorni.
– È impressionante. Cominciano ad arrivare cinque minuti prima, anche se la gattara ancora non c’è. Sembra che sappiano che sta per arrivare. E se lei cambia orario, loro lo capiscono e si presentano all’orario giusto. Sono strani i gatti, hanno una sorta di premonizione.
– Già.
– Forse hai visto anche mamma da quelle parti. Ogni tanto capita ai Fori. Sai, ci sono gerarchie di gattare a Roma, con ambizioni diverse. C’è quella che scende nel cortile di casa per dare da mangiare a qualche gatto, c’è quella che si fa un giro del quartiere e poi c’è quella, come mia madre, che percorre decine di chilometri in macchina, col bagagliaio pieno di roba da mangiare. Appunto per questo ogni tanto mi chiede di aiutarla. Non è mica semplice fare l’approvvigionamento. Si va ai supermercati a chiedere gli scarti, e ai ristoranti… gli scarti della cucina, non dai piatti dei clienti, per intenderci… e poi andiamo dai grossisti a comprare scatolette. Figurati che si è aperta anche la partita IVA.
– Addirittura!
– È un lavoro, sai? Solo che invece di guadagnare, si spende. Qualcuna ci rimette anche i beni di famiglia… diventano fanatiche… anche mia madre è un po’ fanatica, devo ammetterlo. Spende mille euro al mese per i gatti, la pensione che papà le ha lasciato. Ma cosa ci vuoi fare? I gatti sono la sua vita.
– È giusto.
– Oggi siamo andati da un grossista a Frosinone, figurati, a comprare cento chili di spaghetti. E’ il tipo di pasta prediletto dai gatti, nessuno sa perché. Se fai la stessa sbobba con i fusilli o le penne, non la mangiano. La leccano e poi la lasciano lì.
– Ma sei un esperto!
– Eh, dopo tanti anni… Prova ad avere una madre gattara, e vedrai se non diventi un’esperta anche tu… Ti preparo un caffè?
– No, grazie. L’ho preso ora. Senti, ho una bella notizia per te.
– Sì?
– Vuoi scrivere dei dialoghi per uno spettacolo? È una sorta di musical sugli immigrati in Italia. Una sorta di West Side Story nostrano.
– Quanto pagano?
– Pagano bene, vedrai. Ti dirò io quanto devi chiedere. Ti va di farlo?
– Certo che mi va di farlo! Anzi, è arrivato proprio al momento giusto. Ero qua che cercavo di inventarmi un modo per pagare il prossimo affitto.
– Ti telefono io per dirti quando potrai andare a trovare il regista. Forse potreste lavorare insieme.
– Come si chiama?
– Roberto Campofiorito.
– L’ho già sentito.
– È molto bravo. L’anno scorso ha messo in scena Reunion di David Mamet.
– Ho letto qualcosa sui giornali. Ha avuto un sacco di recensioni.
– Infatti. Vedrai che verrà fuori qualcosa di bello… Ora devo andare.
– Ti accompagno giù. Così faccio due passi. Devo ritirare una lampada dall’elettricista qui vicino.
– Non c’è bisogno che mi accompagni.
– Dai, andiamo.
L’autista con grande sollievo la vede uscire. Per mezz’ora ha cercato di difendersi eroicamente dai vigili che lo forzavano a spostare la macchina, e alla fine non ha potuto evitare una multa salata. Mette in marcia la Lancia, passando vicino a Maria Teresa, che insieme a Quirino cerca un taxi, scambia con lei uno sguardo silenzioso, solo per confermare di aver capito tutto, e prosegue diritto come se non la conoscesse.

Il taxi si ferma in una via decadente presso la stazione Tiburtina. Maria Teresa ha sempre un po’ di paura quando deve scendere lì. Una volta una sorta di drogato barbone le è venuto incontro urlando e, se non fosse stato per l’intervento di un passante, chissà cosa avrebbe combinato.
Lascia al tassista una mancia generosa e gli chiede di aspettare cinque minuti. Se non torna subito, può pure andarsene. Si guarda intorno, apre lo sportello e scompare dentro un vicolo a passi svelti. Trova la casa, bussa più volte, sempre guardandosi attorno, ed è già sul punto di andarsene quando Gino le apre.
– Ciao, bella! Vieni dentro, dai. Scusami tanto. Ero in camera oscura a sviluppare qualche foto per un amico. Vieni. Vieni.
– Grazie.
– Siediti. Ti prendo una sedia in cucina. Scusa il casino, eh?
– Non importa. Invece dimmi, che fai di bello?
– Di bello niente. Faccio dei lavoretti per campare e basta. Un matrimonio qua, una festa di laurea là, un battesimo, cose così… Quest’anno mi sono fatto anche la festa della Befana, ci credi?
– Capisco. Ma è un peccato, davvero… Col tuo talento… Quelli del libro su Villa Borghese ti hanno pagato poi?
– Finora niente. Tanto per cambiare. Dicono che è tutto a posto, ma che quest’anno i pagamenti sono in ritardo. Mi hanno detto di chiamarli ogni tanto, ed io gli telefono invece ogni poco, solo per rompergli le scatole.
– Ho qualcosa per te che credo ti piacerà. Certo meglio della Befana… Foto di scena per uno spettacolo teatrale.
– Bene! Grazie. Fai le veci del mio angelo custode, che invece si è dato alla macchia.
– Ci provo.
– Grazie tante.
– Non è niente. Lo spettacolo è allestito da un amico mio, molto bravo. Sarà una bella cosa, vedrai. E poi, con un ufficio stampa competente, le tue foto finiranno su tutti i giornali. E lavoro chiama lavoro, sai?
– Accidenti! E per quando sarebbe?
– Ti faccio sapere io. Ma direi circa tre, quattro mesi prima di poter scattare le prime foto. Sono sicura che la produzione potrà anticiparti qualcosa, un trenta per cento del totale, già nelle prossime settimane.
– Benissimo!
– Sei contento?
– Meglio di così…
– Sai, devi credermi, lo faccio più per loro che per te. Così sono sicura che verrà fuori un lavoro ben fatto. Conosco le tue capacità. E voglio che ogni dettaglio di questo musical sia curato alla perfezione. Non possiamo sbagliare stavolta.
– Ma tu, cosa fai? Sei nella produzione?
– Io? No! Cioè, io do una mano, così… qualche suggerimento. Sono un’amica, e basta. Un’amica che fa il tifo per gli amici, diciamo.
– Ho capito. Cosa posso offrirti? Vediamo cosa c’ho… Un grappino? Vuoi un grappino?
– No, no, grazie. Ora devo andare.
– Ma sei sicura che non posso fare proprio niente per te? Vuoi darmi una mano in camera oscura?
– No, che non vengo con te in camera oscura! E a fare che? Non confondiamo le cose, va bene, Gino?
– Sì, sì. Scusami, allora. Sono un cretino.
– Lasciamo perdere. Ora devo proprio andare. Devo prendere il bimbo a scuola.
– Ma, dai… Sei appena arrivata. Sembra una visita dal medico…
– Sono venuta solo per sapere come stai e per darti la buona novella.
– Ma così non è bello… È da tanto che non ci vediamo…
– E tu devi mangiare, eh, Gino. Sei pallido come un cero.
– È la camera oscura. Troppe ore lì dentro.
– Ma mangi?
– Un panino al bar, ogni tanto.
– Oh Dio, che vita fanno i miei artisti…
– Che vita, cara mia… Che vita… Vuoi che ti accompagni?
– Ora chiamo un taxi al cellulare. Quando arriva, accetto volentieri che mi accompagni fino alla macchina, va bene?
– Va bene.
– Nel frattempo do un’occhiata in cucina, vado a vedere cosa c’hai e ti preparo qualcosina da mangiare. Non puoi vivere solo di panini.
– Ma non c’è niente in casa, Maria Teresa.
– Allora facciamo così, facciamo un salto a quell’alimentari qua all’angolo e prendiamo un po’ di cose che piacciono a te. E poi, al resto ci penso io, va bene?