La poetica di Duška Kovačević

L’analisi delle opere di Duška Kovačević  fa emergere un progressivo cambiamento  di temi e forme sia sul piano della poesia che su quello della prosa. Nella poesia di fronte ad una iniziale quasi deferenza  per   strutture metriche e temi nei confronti della poesia tradizionale – versi rimati, endecasillabi –, così come è possibile vedere in Un seme di luce, si ha successivamente   una evoluzione dettata da un senso di libertà che lascia da parte le rime e sottolinea invece il versicolo ove l’anafora spesso diventa  struttura dominante. Tu chiamaci perfetti sconosciuti se hai coraggio è la raccolta che di questa evoluzione significativa ne è la testimonianza più netta.
Anche la prosa mostra un significativo mutamento formale dall’iniziale Lorecchino di Zora al testo   pubblicato per ultimo Questo è quanto. Il primo infatti è a struttura narrativa tradizionale, il secondo proprio nella struttura formale è del tutto diverso dal primo perché è più che altro una sorta di Zibaldone ove però le considerazioni esposte partono dall’io e dal rapporto con la realtà, la comunità circostante, le persone incontrate  e terminano in una riflessione sulla posizione dell’io in questo contesto e del ritorno che tali rapporti hanno generato.
Siamo quindi in presenza di una ricerca che non si è ancora risolta sia di forme che di contenuti. Nella forma, dalla dominanza di una organizzazione extradiegetica si passa a quella intradiegetica. Sembrerebbe che l’autrice, man mano abbia voluto dire “ci sono”, dapprima appena balbettando, ma poi  in maniera sempre più sicura.
Anche i contenuti ne risentono perché se inizialmente abbiamo il desiderio di porsi in rapporto alla realtà, di osservarla ed evidenziarne le caratteristiche più significative e valoriali, successivamente la realtà viene vista e letta in rapporto alla soddisfazione che adduce all’io.
Se in un primo tempo l’io è quasi timoroso davanti alla grandezza e forza della realtà, successivamente quest’ultima assume importanza solo in quanto porta all’io benessere e felicità, cosa per altro difficilmente raggiungibile, per cui a volte emerge quasi una sorta di risentimento per quanto la realtà fisica e umana non riesce a restituire.
Seppure ritenga che Duška Kovačević  sia ancora alla ricerca di una sua dimensione poetica e narrativa  che la soddisfi e attorno a cui poter ridisegnare le propria creazione, tuttavia le opere fin qui prodotte  evidenziano e descrivono poeticamente  la situazione dell’uomo attuale che è in continuo conflitto con la realtà perché essa non restituisce sicurezza né di ordine economico, né di ordine affettivo, così che è sempre più spinto ad usare il selfie come dimensione di auto riconoscimento nell’illusione che esso sia anche un riconoscimento esterno. Chi  entra in possesso di una  foto selfie difficilmente può capire se essa sia frutto di una mano esterna (extradiegetica) o di una autorappresentazione. Quella foto rappresenta la interpretazione di una persona esterna del proprio io oppure è la rappresentazione e interpretazione di se stesso in un determinato momento? E’ su questa duplicità per cui quell’uno e nessuno o centomila pirandelliani sono tumultuosamente in noi che l’uomo contemporaneo vive. Il selfie è sia una rappresentazione oggettiva che soggettiva. E’ un racconto extradiegetico, ma anche un racconto intradiegetico.
L’autrice di origine croato-bosniaca esprime in maniera lucida la tragedia dell’uomo contemporaneo collocato in una dialettica esistenziale fra l’io e la realtà senza che questo rapporto riesca a produrre una sintesi  operativa.
In Duška Kovačević  non sono tanto i contenuti a determinare questa linea interpretativa quanto piuttosto le strutture formali così diversificate in ciascuna sua opera.
in questi elementi sta la grandezza della dimensione poetica di Duska  Kovacevich, certamente collocati ancora su una linea di suscettibile cambiamento ma ormai chiari e forse anche consapevoli.