Mohammed

stefano rizzo
mohammed

ali mumin ahad

Questo libro di Stefano Rizzo è un libro molto particolare nel panorama italiano delle pubblicazioni sulla Somalia. Anzitutto perché un libro scritto dopo un’esperienza personale anch’essa molto particolare. È un libro che non è possibile classificarlo semplicemente collocandolo in una categoria.

È un libro, si è detto in altra occasione, sulla comunicazione , tra persone di cultura diversa, s’intende. Questo è vero in un certo senso, ma non è l’unico carattere che lo definisce e lo colloca all’interno dei libri sull’intercultura, materia che negli ultimi anni si afferma anche in Italia.

È un libro certamente poliedrico , che contempla molti aspetti della vita, un libro capace di innescare un arcobaleno di sensazioni, a seconda la disposizione di ognuno, di porre interrogativi impliciti che incitano il lettore allariflessione profonda su un qualcosa che appartiene al passato collettivo storico.

Gli argomenti e le scelte stilistiche e di sfondo, conferiscono al libro, senza mai volerlo trasparire, una dimensione che va oltre l’esperienza personale dell’autore che vuole offrire al proprio lettore uno spaccato del suo ambiente sociale , politico e culturale.

È un libro per tutti coloro che desiderano conoscere la cultura e le ragioni degli altri , in questa contemporaneità così straordinariamente confusa, che ci vede tutti testimoni di fenomeni sociali di dimensione globale la cui chiave di comprensione non è tuttora alla portata di tutti noi. È, in un certo senso e misura, una chiave per leggere la storia dei rapporti tra italiani e somali.

Siamo all’avvento, è il caso di dire, di un filone nuovo di letteratura d’impegno sociale ed interculturale. Ecco, dunque, accennato ad un primo livello di comunicazione . La ricerca di un dialogo necessario con l’altro. Un dialogo al quale siamo obbligati per la convivenza civile in spazi nuovi, senza frontiere che non siano quelle politiche oramai sempre meno sicure.

Secondo la mia personale lettura, non è solo questo la ragione del libro. Alla base si può scorgere anche il desiderio di un dialogo con se stessi, con il proprio passato, una riflessione sul senso delle cose che ci accadono intorno, proprio di chi è mosso da una superiore coscienza civile, chi è alla ricerca di una chiave di lettura della realtà contemporanea.

Partendo dal sé, dalle proprie esperienze umane, egli getta un ponte verso altre sponde, lontane, una in particolare non completamente estranea alla propria storia sociale e nazionale, mi riferisco al passato collettivo della società italiana, ai rapporti con la Somalia. Un ponte per tutti gli altri, dunque, non solo per sé. Un ponte fatto di solidarietà, d’azione umana concreta, d’accoglienza di chi abbiamo sempre pensato come l’altro, ma che in realtà è parte di noi stessi.

È questo aspetto profetico che conferisce al libro di Stefano Rizzo una dimensione collettiva, storica, italiana. Una dimensione collettiva che certamente non è soverchiante su quella strettamente personale, ma in equilibrio con essa. L’autore ci parla della propria esperienza personale e familiare nell’incontro con una persona che, alla fine, incide parecchio nella propria esistenza.

Attraverso il libro, infatti, Stefano ci fa scoprire una parte importante del suo sé, quello riferito alla propria coscienza civica, ai suoi sentimenti di persona che, all’incontro con Mohammed, esplicitamente s’interroga sul senso delle cose. La risposta la trova, lui che non professa una religione, in quella dimensione religiosa, sincera, autenticamente spirituale del Mohammed.

Il contatto con Mohammed, questo adolescente somalo che porta su di sé, nel fisico, il dramma della propria terra e, inconsapevole, di una parte della storia italiana, accentua invece la consapevolezza di Stefano del dramma somalo e lo porta ad approssimarsi ad un paese , nel momento più drammatico della sua storia, per comprendere meglio, ma soprattutto per offrire tutta la sua solidarietà umana, singolarmente, attraverso un figlio di quella Somalia che, come collettività, agli italiani è imposta da molto tempo la rimozione.

Con la sua straordinaria umanità (che non lo fa desistere dalla singola azione, una goccia d’acqua nel deserto arido d’umanità che è divenuta la Somalia) Stefano apre una breccia in quel muro erto d’indifferenza e di non-responsabilità italiana verso la Somalia, una strada per riattraversare la distanza creata con la totale rimozione della Somalia dalla coscienza civile italiana.

La descrizione di quest’esperienza personale dell’autore, suscita in chiunque lo legge l’interrogativo, potevo fare come Stefano Rizzo, avrei io dovuto fare quanto egli ha fatto individualmente?

Non è possibile, non-porsi degli interrogativi, non solo sulle cause, ma anche sulle contraddizioni di un intero continente, quando a migliaia le persone rischiano la vita ogni anno nel tentativo di sbarcare sulle sponde europee, per sfuggire alla fame ed alle guerre che imperversano in molta parte d’Africa.

Così siamo giunti a cogliere il secondo livello di comunicazione. L’autore con questo libro si rivolge agli altri, non ad altri indefiniti e qualunque, ma ai suoi simili, della società civile italiana e tra i somali, a coloro che sono consapevoli della creazione del muro di non-responsabilità e della rimozione della Somalia dalla coscienza civile italiana.

È una comunicazione che non ha bisogno di richiami e di suggerimenti: presenta loro ciò che egli, come persona, come membro di una società si sente di fare per un figlio somalo. Nulla di paternalistico in questa figliolanza, ma semplicemente un senso di umana solidarietà responsabile. Straordinario.

Attraverso questa comunicazione con l’esempio dell’azione del singolo (ove l’azione pubblica, organizzata, si è dimostrata burocratica, insensibile ed inefficace), è percettibilissimo l’invito alla riflessione ed alla pratica della solidarietà verso chi, come i bambini somali che vivono nella tragica situazione di anarchia istituzionale, avrebbe il diritto fondamentale alla vita, allo studio ed alla crescita per divenire un domani persone più responsabili.

Per me, somalo, con un impegno oramai più che decennale nello scrivere di Somalia per tenerne viva il ricordo in quest’Italia che non ama particolarmente il suo passato coloniale, il libro di Stefano e la sua esperienza personale rappresentano, oltre che un segno di una speranza, la conferma che , in Italia ci sono anche donne ed uomini che nella loro quotidianità straordinariamente danno anima all’impegno civile.

Dicembre 2003