Nnedi Okorafor: Il volo nella scrittura di un’identità letteraria migrante

Volare con le parole a una certa distanza dalla complessità del mondo d’appartenenza e atterrare con dolorosa consapevolezza sull’imprescindibile espressione dello stesso. È questo il compito che l’autrice statunitense di origine nigeriana Nnedi Okorafor porta avanti, cercando di infrangere attraverso il movimento migrante della sua scrittura, le limitazioni palpabili e non di una realtà contrastata, per riassimilarle con gli strumenti del realismo magico. Un artificio preposto a indagare la conflittualità nella terra d’origine mediante l’allontanamento rispettoso dell’elaborazione fantastica, così da trattenere a ogni costo i valori fondamentali.
A tal proposito, nel suo racconto “Biafra”, la scrittrice affida al personaggio leggendario di Arrọ-yo, la missione provvida di sistemazione in letteratura del tema sfaccettato legato alla guerra civile in questione. Questa figura affonda il suo costituirsi nei primi anni del Novecento, in un villaggio dello stato nigeriano di Cross River. Dopo un peregrinare inquieto per il mondo, scossa dalle notizie apprese sui territori natii allo scoppio dei moti bellicosi nel 1967, si propone di condurre un viaggio di ritorno alle origini. Uno spostamento inverso che Nnedi Okorafor realizza  sulla pagina grazie al volo deciso, ma travagliato, della sua creatura  letteraria irrequieta e generosa, che non si risparmia nel constatare la situazione in patria, risultato di passati accadimenti storico-politici. Arrọ-yo, nella ferma disquisizione dell’autrice, percorre la storia di popoli marchiati dai risvolti negativi del colonialismo occidentale. L’imposizione di confini artificiali da parte dei dominatori europei nel continente africano, così come nella stessa Nigeria, non aveva che prodotto e tenuto a freno la convivenza forzata di gruppi differenziati, portando poi a far esplodere nelle aree coinvolte, una volta ottenuta l’indipendenza, le rivalità etniche soffocate. Limiti territoriali un tempo stabiliti dai colonizzatori nelle zone controllate, mantenendo in tal modo un’indifferenza congeniata di fronte alle ostilità volutamente represse. Barriere di terra, ma anche di senso, oltrepassate tutt’oggi dalla voce di Nnedi Okorafor che intende ripristinare, in piena, ma placida libertà espressiva, un assetto narrativo e morale volto ad alleviare la memoria di quanto verificatosi in quei luoghi. La sua eroina sorvola l’avvicendarsi di un partito dopo l’altro, nell’ambito di un richiamo appena accennato al susseguirsi dei colpi di stato che sfociarono nella proclamazione della terra orientale della Nigeria come Repubblica del Biafra il 30 maggio 1967. Ed è proprio la narrazione del conseguente scontro tra le due armate contrapposte, le forze del governo da un lato e quelle del Biafra dall’altro, a essere pervasa da un’abilità traspositiva di carattere fantastico. I protagonisti di tale dimensione non possono che indossare le vesti di maghi misteriosi, le cui azioni sono portate a termine per mezzo di incantesimi juju come bastoni magici ed elisir segreti; elementi menzionati in qualità del loro essere forme di violenza filtrate in relazione alla suddetta verità storica.
Durante la sua migrazione Arrọ-yo, a cominciare da una presa di coscienza delle proprie radici, prova a incalzare nell’approfondimento di quegli sviluppi di vita di cui è inevitabilmente pregna. Prosegue nella sua esplorazione, difatti, osservando il compiersi di un destino belligerante in cui non viene meno l’impiego o la messa a punto di armi biologiche e nucleari. Missili autoguidati terra-aria e aerei da guerra, trasfigurati in mostri di metallo, intaccano l’integrità di un ambiente naturale che viene presentato in alcune delle sue componenti simboliche e dettagliate, distrutte senza ragione e dunque senza un futuro. Sono anche i più innocenti a divenire le vittime di un simile processo d’annientamento: da qui un esodo disperato che la scrittrice trasferisce nella sua arte senza mai permettere che si concretizzi in una fuga dall’autenticità delle emozioni o dalla preservazione del valore umano, a prescindere da qualsiasi identificazione originaria, da chi è aggredito e chi aggredisce. Ed ecco che così si spiega, inoltre, l’attenzione dedicata con impegno crescente a immagini femminili, deturpate durante la guerra nella loro dignità o schiave di costumi circoscritti.
Nnedi Okorafor attua, nel volo della sua scrittura, per il tramite del personaggio di Arrọ-yo, oltretutto effettivamente dotata di poteri magici che le consentono di volare, alcune manovre in ascesa che appaiono lontane da una cruda, ma pur franca rappresentazione storica. A esse si alternano ulteriori manovre in picchiata, necessarie a carpire i residui di un’umanità nello sgretolarsi progressivo della medesima. Entro i limiti di una descrizione affatto coreografica, disciplinata da un’efficace riservatezza espositiva, il realismo magico si rivela ancora una volta l’espediente più consono per un confronto diretto con situazioni di perdita e abbandono. Le allusioni di stampo fantastico proteggono, in tal senso, una concezione dell’infanzia purtroppo violata nei suoi diritti indiscutibili. Il riferimento alle credenze ogbanje serve, per esempio, a giustificare la morte assurda della piccola Onwuma, dilaniata dalla fame e succube di un fato che la vuole divisa tra l’attaccamento al proprio universo e le continue sollecitazioni dal mondo degli spiriti di cui fa anche parte. La visione di esseri inaspettati come lucertole grosse, graziose e verdi restituisce un cenno a tradizioni ancestrali così come la legittimità ad affrontare con incanto un periodo della vita di norma intoccabile, ma ingiustamente colpito, attenuando al contempo la rabbia per la sorte cui la bambina va incontro. Al riguardo, nella poesia “Refugee Mother and Child” (Christmas in Biafra and other poems, 1971), il grande scrittore e poeta nigeriano Chinua Achebe fa strada, con marcata intensità, all’idea di un attraversamento letterario che sfonda gli ostacoli del lievemente dicibile, per fronteggiare tali condizioni di morte, dichiarando una volontà di sacra difesa della vita.
Forte di una tensione narrativa tuttavia mai scomposta, Nnedi Okorafor si cimenta in un progetto di definizione migrante, sostenuto dal calibrato perseguire manifestazioni di tutela umana e riappropriazione identitaria a livello globale. La scrittrice riflette appunto su una concezione articolata d’identità con il supporto di una trama ben organizzata in nuclei specifici, non per ritrarsi in sentimenti celati di irrigidimento, ma con lo scopo di appianarsi nel rifugio pacificato della letteratura. Un volo, non dispensato da inesorabili contraccolpi, ma in grado di ritracciare, in virtù delle sue originali ondulazioni contenutistiche ed espressive, l’equilibrio di un argomentare magicamente realistico che prevede un’esibizione di intenti artistici perennemente rinnovati.