P.i. La rotta, in “La grazia di casa mia”

Dal sito “Arsonline”

LA ROTTA

Affogo in mezzo ai marinai
più inesperti
e agli ubriachi.

Ho scelto io
quella nave improbabile,
con la ciurma scomposta
che rideva del cordame:
invece dell’equipaggio
una festa.

Sono arrivato al molo
senza più casa.
La valigia di cartone
in disfacimento.
Ogni mio bene
bramava un cassetto,
uno scaffale
dove riposare.
I miei occhi,
nondimeno,
cercavano
collane di luci,
e le hanno trovate.

Mi avevano spiegato
che i più bravi
imparano tutto sull’acqua
per non sentirla mai
dentro le scarpe.
Hanno imparato male, però,
i miei compagni di sfortuna.
E io, peggio di tutti.

Ora,
per opera nostra,
andiamo a fondo
in mezzo al chiacchiericcio.
È bastata
una banale tempesta,
un’increspatura,
e siamo allo scompiglio.

È esplosa la caldaia
e in mezzo all’oscurità
quell’ultimo falò
ci ha riscaldato le mani.
Qualcuno ha portato il vino,
qualcun altro il tamburino,
e la ciurma di matti
cantava, rideva,
con l’acqua alla vita.

Si sapevano vicini
a conoscere
ciò che non è permesso
ai marinai:
il fondo del mare,
i coralli,
gli antichi relitti.

Guardando i loro volti
euforici,
infuocati
nella notte fonda,
ho finalmente capito
(avevo poco tempo per farlo)
che tutti loro
si erano preparati
per una vita
a navigare in verticale,
fingendo
di non essere all’altezza
del mestiere del mare.
E così si sono anche divertiti
a mascherare il coraggio
da imperizia.

Ho capito ancora
che avevo scelto per istinto
la nave giusta:
al porto ero solo,
in piedi sul lastricato,
a guardare quella gente.
E allora
ho seguito i passi
più svelti
che ci fossero,
i più gioiosi,
gli unici
che sembrassero ballare.