Poesia dell’esilio – Saggi su Gëzim Hajdari

Andrea Gazzoni (a cura)
Poesia dell’esilio – Saggi su Gëzim  Hajdari
Cosmo Iannone      2010

raffaele  taddeo

L’attenzione al poeta Gëzim  Hajdari da parte degli studiosi si fa sempre più frequente ed ampia. Gli elementi che la determinano derivano da più fattori, intanto la qualità della sua poesia sempre più riconosciuta in Italia e all’estero. Non è un caso che incominciano a fiorire le traduzioni, non ultima quella della antologia delle sue opere in poesia uscita prima in tedesco e poi in italiano. Ma la stessa varietà di modi poetici e di temi che il poeta di origine albanese continua a sperimentare, così che accanto alle sillogi, abbiamo anche reportage di viaggi, brevi poemetti, il pamphlet poetico Poema dell’esilio, traduzioni e da ultimo anche se ancora ineditoEpicedio albanese una sorta di nenia funebre, come Gëzim stesso lo definisce, sull’annientamento dei poeti albanesi durante il regime comunista.
Che gli studiosi continuano a guardare a questo poeta come qualcosa di grande è manifestato da questa raccolta di saggi su di lui che Cosmo editore pubblica, curata da Andrea Gazzoni,  E’ qualcosa che “ha i tratti dell’eccezione, offrendo il primo volume critico dedicato in Italia a uno scrittore  migrante”, scrive Fulvio Pezzarossa nella prefazione e forse avrebbe  voluto dire “eccezionale”.
I saggi di varia ampiezza, scritti per l’occasione o già pubblicati in riviste o tratti da relazioni a convegni, mettono a fuoco i vari aspetti del fare poesia di Hajdari.
Emergono alcuni aspetti importanti: a) una persistenza di temi pur nella diacronia creativa; b) la variazione di forme, di modi, di aspetti, dello stesso linguaggio che il poeta ha maturato col tempo; c) il problema del bilinguismo come strumento unico e insolito di costruire poesia per pubblico diverso perché la poesia prima albanese e poi italiana o viceversa prima italiana e poi albanese non costituisce solo una traduzione, ma un ricreare. “Scrivo in italiano e mi tormento in albanese” oppure “Scrivo in albanese e mi tormento in italiano”.
Il poeta di origine albanese ha certamente come tema centrale quello dell’esilio, e lo sfaccetta in molti modi in una dialettica fra la terra di partenza e quella d’arrivo che non può essere  una nuova patria. Il poeta ritrova solo nel suo corpo in una dimensione epica la sua ultima dimora: “canto il mio corpo…”
Leggendo i vari saggi ci si rende conto della mutazione stilistica e tematica del poeta che da una poesia ove “la pietra” o “l’ombra” sono i simboli schiaccianti di un sentire tutto il peso della solitudine e della frustrazione dovuto alla migrazione, arriva ad una poesia ove si ritrova il canto degli uccelli, la natura più rigogliosa, il melograno rosso. Ciò che maggiormente si nota è lo sviluppo sempre più epico della sua poesia, con il richiamo anche ad eroi e miti della cultura, oltre che ad intrecci tipici di una poema.
Parecchi saggi affrontano il problema della lingua, dal bilinguismo agli apporti della lingua albanese che vengono proposti da Gëzim  Hajdari. Fausto Pellicchia a proposito del bilinguismo riporta la posizione di Paul Celan che diceva: “Non credo al bilinguismo in poesia” e aggiungeva: “Solo nella madrelingua si può dire la verità. In una lingua straniera il poeta mente”.
Anche Algarotti nel 1700 scriveva:” sono pure in effetto i mal consigliati coloro che si mettono a scrivere in altra lingua fuorché nella lor propria e nativa. Diversi sono appresso nazioni diverse i pensamenti, i concetti, le fantasie; diversi i modi di apprendere le cose, di ordinarle, di esprimerle. Onde il genio, o vogliam dire la forma di ciascun linguaggio, riesce specificamente diversa da tutti gli altri, come quella che è il risultato della natura del clima, della qualità degli studi, della religione, del governo, della estensione dei traffici, della grandezza dell’imperio, di ciò che costituisce il genio e l’indole di una nazione. A segno che una dissimilitudine grandissima conviene che da tutto ciò ne ridondi tra popolo e popolo, tra lingua e lingua; e i politici tengono per naturalmente nemici quei popoli che parlano lingue diverse”.
Lo studioso Pellicchia risolve la contraddizione affermando che la lingua del poeta di origine albanese sarebbe un nuovo “discordo” così come avveniva con i poeti provenzali, i quali così si allontanavano dalla lingua madre e come lo stesso Dante propone scegliendo il “volgare illustre” come espressione di lingua nella poesia e La Divina Commedia ne è un valido esempio.
Anche Bachtin, il critico russo, affermava che della poesia è proprio il monolinguismo, ma già questo concetto è diverso dal pensiero di Celan, perché esprime il rapporto di una lingua con i parlanti.
Il  bilinguismo o l’esprimersi letterariamente in una lingua non materna in questa raccolta di  saggi  viene affrontato a più riprese e  sarà forse uno dei più importanti fattori di studio della cosiddetta letteratura della migrazione.
Ci basta osservare una dinamica di modulazione linguistica presente nella poesia di Gëzim  Hajdari.
Le prime composizioni in italiano non riportano i nomi degli uccelli, che invece sono presenti nella loro denominazione in Erbamara Antologia della pioggia. Ma queste due composizioni sono state riscritte in italiano successivamente alla loro composizione e con tutta probabilità anche le composizioni originarie sono state riviste o ritoccate.
Perché questo mutamento? Forse che nei primi momenti del comporre in italiano era prevalsa la linea leopardiana, il quale affermava che la poesia esiste là dove c’è il più di indefinito possibile, e successivamente la lezione pasco liana che era precisissimo proprio nella terminologia ornitologica?

22-06-2010