Quella di cui parli
Quella di cui parli, nella lettera inviata agli scrittori, è la perversione della tolleranza. Questa rimane invece una virtù e un valore umano, indispensabile alla vita degli uomini nelle loro incommensurabili differenze. Differenze che sono poi i bisogni e le espressioni di questi bisogni – altrettanto incommensurabili e diversi da una società a un’altra, da persona a persona e, a volte, addirittura nella stessa persona da epoca a epoca! – che società e individui si scelgono dopo esperimenti e vissuti personali dettati dagli adattamenti che esigono le particolarità della nicchia antropologica (fisica naturale o storica memoriale ed esperienziale) di ciascun individuo o di ciascun gruppo di individui in risposta all’ambiente o agli stessi congeneri.
A questo punto si può dire che la tolleranza non è altro che l’espressione del bisogno vitale di apertura di un individuo o di un gruppo a e sulle esperienze altrui, per conoscersi a vicenda e per intra-aiutarsi ed arricchirsi gli uni da – e tante volte a scapito de – gli altri… Una specie di divisione umana di compiti della vita (sempre umana: storica e culturale).
E non si può dire che – quando Einstein (che credeva nella pace) dibatteva serenamente con Freud (che credeva nella natura bellica dell’uomo, via il famoso Tanatos) sulla guerra – i due illustri uomini si tollerassero nel senso “perverso” della parola.
Loro si ascoltavano a vicenda, ed i loro pareri ben argomentati sono passati alla posterità, dandoli modo e materia di continuare il lavoro di riflessione su questo male, questo cancro, che logora non solo la vita umana, ma anche la dignità dell’uomo e di quel che ha di più bello e nobile: lo spirito.
A mio parere, sarebbe un errore metodologico considerare la tolleranza solo dal punto di vista del mal-uso che alcuni alienati o mistificatori fanno del termine e del suo significato.
Perché se continuiamo così a confondere i valori con gli abusi reali o presunti finiremo per dubitare di ogni valore, dato che arriveremo a una specie di relativismo dei valori in cui sarebbero uguali la loro esistenza e la loro scomparsa.
La tolleranza esiste, perché siamo fondamentalmente diversi e nessuno a meno che sia deficiente o alienato vuole fondersi nell’altro o diventarne il sosia o il clone. E prima di ciò siamo costretti a vivere e a condividere la stessa nicchia antropologica che diventa sempre più stretta per contenerci tutti con le nostre contraddizioni e i nostri egoismi.
Ecco, essere tolleranti deve avere solo un senso: quello di dire io devo Vivere con dignità e a modo mio, anche gli altri hanno lo stesso diritto.