ricordi – Loredana Polezzi
“Sono solo informazioni, non è cultura”
Il 28 di dicembre sono tornata a casa.
(Che poi tocca anche spiegare cosa vuol dire casa. Questa è l’ultima della mia serie. Ci sono di casa solo da settembre. Non sono nemmeno sicura se ci resterò. Non sono sicura se la mia vita ci sta tutta dentro un appartamento, pieno di luce, ma senza un metro di giardino, senza l’ora d’aria e il posto per coltivare fiori di zucca in Gran Bretagna. Non sono sicura di sapere cosa è casa, adesso. Mi guardo intorno e penso a Fabrizia Ramondino: “Non sto a Napoli sicura di casa”.)
Sul comodino, accanto alla lampada per leggere e rileggere, a qualsiasi ora della notte, c’è un post-it con un nome: Julio. Era lì da novembre. E intanto Julio non c’è più.
Il 27 tra Prato e Pistoia nevicava. Lucca era sotto l’acqua, scura, molto più del solito. E Julio già non c’era più. In macchina, sotto la neve, ricercavo le sue tracce.
Il primo incontro con la sua voce e il suo garbo. Dentro una torretta sulle mura della città, a un seminario che avrebbe segnato molti inizi e molte svolte. C’erano voci più forti della sua, in quella stanza di pietra. Certo anche più stridule. Ma quella voce cantata, quel garbo, sono la cosa che ricordo di più. Il rifiuto (garbato) di farsi etichettare. Il monito (garbato) a non arrogarsi il diritto di definire. E il ribadire (garbato, ma ferreo) che si scrive per amore, si sceglie una lingua per amore, si parla e si insegna per amore, anche la politica si fa per amore.
Poi dal 28 ho cominciato a trovare altre tracce. Quel post-it con una parola sola, segno di un incontro non accaduto e di una conversazione interrotta. La copia della “Lettera non chiusa” di Erri de Luca appuntata alla parete nel mio ufficio, stampata da un messaggio in cui si dialogava di impegno, di memoria, e di quel famigerato dono che è l’ottimismo della volontà. E un altro post-it, appiccicato all’altezza degli occhi, davanti alla mia scrivania: “Sono solo informazioni, non è cultura”. Citazione di Egidio Molinas Leiva, presa da Sagarana. Una di quelle frasi che le incontri e pensi: perché non l’ho detto prima? Uno di quei motti che ti accecano per semplicità e candore. Che anche nel bel mezzo di un attacco di postmodernità acuta ti rammentano che da qualche parte esistono forme incorruttibili, ineccepibili di verità. E chi se ne frega se sono per forza soggettive.
E poi c’è la traccia che cerco e non ritrovo. Inghiottita da un computer in un anno di mezzo. Quella storia con un artista, un castello, un amore quasi finito, e un tappeto di pratoline. Parola della mia infanzia, così toscana, così intima, così garbata, incontrata dopo anni sulla pagina di Julio. Anche le culture si esplorano, si imparano solo per amore. Il resto è tempo perso. Sono solo informazioni, non è cultura.
Loredana Polezzi-Reader, Italian Studies, School of Modern Languages and Cultures – University of Warwick