saggio su julio – Vicente Ataíde
SUL GROTTESCO E SUL CARNEVALE: LA NARRATIVA DI JULIO CESAR MONTEIRO MARTINS – Questo breve saggio è stato scritto nel 1981
Vicente Ataíde – Professore del Corso Post-laurea in Lettere dell’Università Cattolica del Paraná. É stato Visiting Professor nell’Università dello Iowa e Minnesota (USA).
All’interno delle molte questioni che la narrativa di Julio Cesar Monteiro Martins propone, e gli accostamenti e le distinzioni che si possono attuare, mi sono posto come obiettivo principale di questo lavoro lo studio del testo Domino in particolare , perché il lettore possa avvertirne le qualità dello scrittore. La mia analisi vuole essere solo un esempio, ed è parte di uno lavoro più ambizioso e completo, che intendo mettere il più presto possibile a disposizione del pubblico.
Vorrei, infatti, studiare il comportamento del grottesco e del carnevale in tutta l’opera dell’autore, passando per diversi suoi libri, come: Torpalium (1977, racconti), Sabe Quem Dançou? (1978, racconti), Artérias e Becos (1978, romanzo), Barbara (1979, romanzo), A Oeste de Nada (1981, racconti); e anche Queda de Braço (1977, racconti) e Histórias de um Novo Tempo (1977, racconti), Vento Novo (1976, poesia).
Dal mio punto di vista, fino ad oggi* è questo il miglior contributo dell’autore alla letteratura brasiliana. Ho l’impressione che il grottesco e il carnevale possano fornire una nuova prospettiva, poco esplorata, della nostra letteratura, a parte alcune eccezioni, che meritano un’analisi, come le Memórias de um Sargento Milícias di Manuel Antonio de Almeida, certi racconti di Flávio Moreira da Costa, Galvez, Imperador do Acre di Marcio Souza, O Grande Mentecapto di Fernando Sabino, Rui Mourão e la sua Cidade Calabouço; o altri testi fondamentali, come Macunaima, di Mário de Andrade, e piccoli passaggi indicati da Wilson Louzada nella sua antologia Contos de Carnaval, e il meno discusso, ma eloquente, romanzo di Ricardo Hoffmann, Cronica do Medo. Il binomio carnevale-grottesco, a mio avviso è molto forte in diversi lavori di Julio Cesar, e spero qui di dimostrarlo. Della raccolta Torpalium, merita una prima osservazione il racconto Santa Hoerst, dove il narratore adotta una “carnevalizzazione” del discorso letterario, simile ai dialoghi socratici e alla satira (si veda, al riguardo, l’opera critica di Bakhtin, per il quale questi elementi sono la chiave del fenomeno del carnevale). Non manca qui il grottesco del corpo che si ripeterà nei racconti O Livro Chamado O Livro e Prazer em Mim (dalla collana Sabe Quem Dançou?): nel primo, evidentissimo nella presentazione dei mendicanti, giunge ad estremi livelli nella descrizione del corpo del Cristo in decomposizione, che permette all’autore la terribile parodia finale dell’Ultima Cena: “Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo”.
Nel romanzo Artérias e Becos qualcosa di simile accade con la morte del generale, grottesca per la presenza dell’elemento mostruoso e insieme comica per lo svolgersi della scena in generale.
Premesse queste considerazioni, passiamo all’ applicazione delle padronanze letterarie di Julio Cesar, esaminando il racconto Domino, a cominciare dalla figura del nonno, che da ricco diventa povero. Ariosto Albuquerque è facoltoso, ma appartiene ad una oligarchia agraria già coinvolta in un processo di degrado. Il suo ufficio notarile e i suoi beni gli vengono confiscati a favore di un grossista di bevande che, agli occhi del “ricco” Ariosto, appartiene ad un mondo inferiore. Nella sequenza degli avvenimenti, il degrado si amplia, con ripercussioni sulla sua unica figlia e la sua discendenza (genero poeta e epilettico). L’ambiguità originale di Herbert, il protagonista, sta in queste due possibilità: livello sociale superiore e inferiore, ossia nella visione bakhtiniana fra “mondo di sopra” e “mondo di sotto”.
Il processo si ripete con Dona Marieta, la madre di Herbert, “vecchia, alienata e più o meno felice”. Guadagna qualche soldo con il lavoro (confeziona abiti da nozze), ma li perde nel gioco del domino (vizio). Per quanto riguarda il lavoro, si affida ad una struttura sociale portatrice di fondamentali valori morali; per quanto riguarda il gioco, degrada il primo aspetto. Ancora un’ambiguità che coinvolge l’eroe del racconto.
Herbert è l’erede di questo meccanismo. I suoi attributi iniziali:
stereotipo romantico: giovane – alto – pallido – biologia tisica del padre |
Né manca, in questa “stereotipizzazione”, la figura del poeta, che comparirà nel padre. La deformazione lo pone ad un livello inferiore, vicino alla parodia. Ma non solo, poiché c’è un secondo aspetto tipologico che contribuisce alla formazione del personaggio:
opposizione allo stereotipo | comportamento istrionico, pagliaccio |
In un primo momento, viene presentata la figura del giovane romantico, figlio decaduto o risultato della decadenza del mondo familiare e/o sociale il quale merita, a motivo delle sue caratteristiche fisiche, il riscatto e il premio. Il secondo elemento informativo esclude questa possibilità, già di per sé carente di energia, in quanto si tratta soltanto di una riduzione stereotipica. Il gioco si fa doppiamente sarcastico, ampliando l’area della parodia.
Il destino che la madre sogna per il figlio mentre gli insegna “l’etichetta” è nutrito dalla speranza di vedere recuperata la fortuna di famiglia. Proprio i sogni, però, non ricevono ricompensa dal mondo ritenuto superiore, visto che Herbert non corrisponde alle aspettative. Tanto l’origine, quanto la fine dell’eroe sono frustranti.
A questa si assomma , nel finale, un’altra informazione : l’autista, che darà corpo, allora, con il pagliaccio, a due tendenze antagoniste; a cui corrisponderanno due nomi: Herbert e Simplicio. Il personaggio tenta di riappacificare i contrasti e ciò pone dubbi sulla sua funzione e sulla sua natura: due nomi, due attività. Herbert/Simplicio fa ridere tutti (è dotato di temperamento istrionico), ma odia tutti (le ragioni sono chiare, nella misura in cui si capisce la sua origine, la sua sorte, e ciò che è effettivamente diventato).
Simplicio è il pagliaccio e trasforma il postribolo dove lavora in una festa di carnevale. Il carnevale si è rifugiato nel circo, quindi Simplicio incarna la figura del giullare. E, come tale, appartiene necessariamente al “mondo di sotto”. Questo, a sua volta, determina l’inizio e la fine di Simplicio. Però, il postribolo stesso è un mondo coerente, con leggi proprie, che possono essere descritte nel seguente modo.
In termini di spazio, abbiamo Rio versus Pirai e Vassouras versus Pirai (il grande versus il piccolo, il più versus il meno). All’interno di Pirai troviamo la città versus il bordello e, dentro il bordello, troviamo ancora due tipi di clientela:
CommerciantiGestore
Ex-prefetto di Vassouras
|
RecluteCommessi viaggiatori
Poliziotti |
Due tipi di agenti:
Signora Neusa | Le ragazze |
Questi corrisponderanno, all’interno di Vista Alegre, a una seconda demarcazione spaziale (centro versus periferia) che genererà due nuove formazioni:
periferia | centro |
Clienti | Pagliaccio |
prostitute | Mangiatore di fuoco |
proprietaria del bordello | Donna barbutaMangiatore di spade
nano |
Così come, paradossalmente, Simplicio/Herbert è pagliaccio/autista, Vista Alegre è “l’orgoglio e il disdoro” di Pirai.
C’è da notare, ancora, che il centro di Vista Alegre (e Simplicio è il centro stesso di Vista Alegre) sviluppa tutta una percezione del grottesco corporale, approfittando, come propone Bakhtin nello studio su “Rabelais”, le parti inferiori del corpo – i suoi orifizi, anali e sessuali, escrementi, anomalie ed esagerazioni: coglioni, barzellette sporche (linguaggio), coito, simboli fallici (“un enorme serpente al posto del sesso”, “farsi passare per la gola sciabole e fioretti”) o anomalie erotiche (orgiastiche). Tutto questo fa parte dello spettacolo del centro della casa di prostituzione Vista Alegre.
Ma cosa significa?
Inizialmente la figura di Simplicio rimane da parte; viene poi esaminato il complesso in cui agisce, e soltanto in ultimo la sua azione. In questo specifico caso, forse si può seguire Bakhtin nel proporre una forma di ritorno cosmico attraverso la presentazione delle parti inferiori del corpo, che è rappresentato giustamente in quelle parti interdette, allo stesso tempo fonti della vita (l’essere umano nasce tra feci e urina). La descrizione delle parti basse implicherebbe dunque la presentazione della vita attraverso le sue fonti o origini, secondo la filosofia inerente il grottesco e il carnevale, già denunciata da Victor Hugo e Gautier. Ma tale ragionamento deve rimanere in sospeso per ora, perchè ritornerà più avanti, quando, nell’esame dell’opera, verranno sviluppati altri aspetti..
Bisogna ora esaminare il personaggio di Bolota!
Nella presentazione di Bolota si assiste alla ripresa della classica parodia dello stereotipo romantico del bellone, anche se questa volta all’interno della convenzione del locus amenus: il quadro bucolico contadino. Ma ad essere collocato in questo quadro non è il pastore, o la pastorella, ma una figura grottesca:
prematuro e brutto
misto di parto e aborto
grassoccio
un metro e mezzo
debolezza mentale
idiota
negro
Bolota risponde a tutto con risate, le stesse risate che incutono paura, (“svegliava i bambini e atterriva gli insonni”) creando così il proprio “doppio”. Nasce nel gradino più basso della struttura sociale: in un quartiere povero e polveroso di Pirai (è stata applicata qui la stessa organizzazione spaziale descritta in precedenza), figlio di una prostituta di colore. Si lega così, per nascita e per sorte, al livello più basso, sottomesso quindi alle sue determinazioni. Il fatto di essere idiota (matto), non possedere un nome, essere oggetto di scherno da parte dei bambini, essere negro, e pulire di notte le macchine, aumenta e arricchisce la sua tipologia: Bolota è il più inferiore del mondo inferiore.
Intesa la situazione di Bolota, è possibile tornare ad un altro insieme di elementi che distingue e complica il pagliaccio. Il quale, come si è visto, è anche autista, con il nome di Herbert.
Quest’altra metà di Herbert è figura divisa a partire dalla degradazione del nonno, della madre e del padre. È da notare che il disimpegno dell’autista Herbert avviene di notte, a conferma della tesi di Kaiser riguardo al mondo notturno del grottesco (Bakhtin ritiene il contrario, e infatti il medioevo e il Rinascimento ci propongono il giorno, e coinvolgono la morte con la rinascita, la vita nella sua esplosione creatrice e attività fecondatrice). Mi pare che ad Herbert ben si adegui la visione della notte, poiché egli , non potendo partecipare al processo vitale, ne viene così degradato all’esclusione. Per lo meno originariamente. Tale collocazione è più evidente se consideriamo la comparsa di altre tracce che si combinano con la nuova visione:
frustrato
infelice
odii
boia
Tradendo la propria divisione, Herbert/Simplicio svolge un lavoro che simultaneamente lo porta a divenire il boia di Bolota attraverso due forme di comportamento atroce:
A) fisico – pestaggio di Bolota
B) verbale/morale- denuncia della sua origine
Per quanto riguarda l’aspetto fisico, Herbert attacca soprattutto le parti inferiori della vittima: natiche e orecchie (qui sottolineo infatti che le orecchie hanno buchi, e sono pertanto riconducibili a simboli anali, a parti inferiori ).
L’aspetto verbale-morale è più ricco, ed ugualmente accusatorio. Herbert accusa Bolota della sua origine, e questo è il momento più feroce del racconto, comparabile solamente a brani simili eleborati da Rabelais. Il testo esplora la figura della prostituta, madre di Bolota, e il nano come origine della sua vita.
Si deduce da ciò che Bolota cancella la possibilità di essere sconfitto perché possiede l’arma del riso: alla fine sarà lui a denunciare, proprio attraverso il riso, Herbert/Simplicio. Quest’ultimo cerca di inserirsi in qualche modo nel mondo superiore, dal quale è stato degradato, attraverso le sue imprecazioni sull’origine del negro. Il “mondo superiore”, come dice Bakhtin nel suo Rabelais, corrisponderebbe al cielo, al paradiso, quello “inferiore” alla terra. La terra divora, assorbe, ingoia, (tombe, pozzi) ma, allo stesso tempo, è elemento della nascita ( si veda il mito della terra-madre in Mircea Eliade, in Mythes, rèves et mystères e Das Heilige und Profane). Dunque, al corpo umano corrisponde la stessa struttura: parte superiore: testa, braccia, faccia; parte inferiore: organi genitali, stomaco, natiche. Ed è giustamente qui che nasce una successiva omologia: corpo e cosmo – la vita nasce nel mondo considerato inferiore. Nel pensiero di Bakhtin, il grottesco scaturisce dalla discesa nel mondo inferiore, che implica un divoramento origine di vita, legami tra la vita e la morte. Se guardiamo a Herbert/Simplicio constatiamo che egli è un essere degradato, che trae origine da una caduta dal mondo superiore, ed è costretto a vivere in quello inferiore, ma senza accettarne valori e funzioni.
Per questo motivo non può dare origine alla vita. Ma, come dice il racconto, “la vita di Herbert era un poco più complicata”, ed egli si degrada a causa della “caduta”, e della storia della sua famiglia e società (Rivoluzione di Vargas, nel 1930), ma non accetta il mondo inferiore, anche se nulla può fare per alterare la situazione. Fonde le opzioni della propria esistenza vivendo in entrambi i livelli, essendo per questo, autista (Herbert – mondo superiore) e pagliaccio (Simplicio – mondo inferiore). Le aggressioni che commette sono un tentativo di superare la frustrazione e l’impasse in cui è immerso. Questo è tutto ciò che Bolota denuncia attraverso il riso (il negro è il grottesco carnevalizzato).
Bolota e Herbert/Simplicio avranno un incontro conclusivo. La morte servirà da strumento per la derisione del matto (buffone di corte, giullare).
La crisi del racconto coinvolge le due figure, entrambe carnevalizzate, Simplicio: l’universo del bordello; Bolota: i visitatori di Inhaúma, e tutti quelli che essi rappresentano. L’incontro fra i due darà la possibilità alla narrativa di piegarsi su se stessa e di mettersi in gioco. Ad un certo punto, non sono più una società o un uomo ad essere coinvolti, ma lo stesso carnevale.
Prima di tutto, Herbert/Simplicio si prepara per quello che dovrebbe essere “il più brillante spettacolo della sua carriera di giullare da postribolo”. Qui non si intuisce ancora che il vero spettacolo avverrà nella Citroen, poco più tardi. Si noti che il personaggio esegue, prima di tutto, il rituale della maschera, che implica tutti i diversi significati del gesto, nel medesimo tempo in cui è coinvolto dalla sua complessità. Attualizza da un lato l’atto primordiale dei tempi dei saturnali , indossare quella maschera che i partecipanti della festa utilizzano per perdere l’identità o per non essere identificati dagli dei (Crono e Saturno). Con la trasformazione della società, l’obiettivo non è più infatti la divinità , ma un alto dignitario (papa, re, cardinale, alcaide, vescovo, signore feudale).
Il mascherato si rivela, proprio perché si nasconde. Allo stesso tempo si garantisce libertà totale, assimilandosi al matto (non a caso che ancora oggi si dice del carnevale che è un periodo di pazzia). La complessità di Herbert/Simplicio, in questo momento degradato, deriva dall’insistere sul ruolo di pagliaccio, e dal ricalcare insieme su quello di taxista. La figura della mamma è omologata alla madre di Bolota e alle prostitute del cabarè Vista Alegre, di cui lui è il centro. La maschera che si rappresenta implica, in aggiunta, gli elementi già presentati e che la costituiscono: la bocca trasformata in ano e il naso in fallo.
La crisi del mondo del personaggio, già preparata prima della sua nascita, giunge al culmine quando le due figure si incontrano:
Herbert + Simplicio
autista + pagliaccio
Questo incontro deflagra la sequenza di contraddizioni che costituiscono il centro della crisi:
serio versus comico
alto versus basso
tragedia versus commedia
odio versus risate
La crisi si fa più acuta quando osserviamo che qualche volta il pagliaccio è dominato dall’autista, in un tipo di associazione o composizione impossibile: “disperato per l’ora tarda, abbandonare in furia il bordello”, “l’accordo col viceprefetto era una cosa seria, serissima”, che si riconduce ad un comportamento negato dal pagliaccio, ma atteso dall’autista.
La situazione cambia nel momento in cui l’autista chiede al pagliaccio di disfarsi di quello che lui è:
Pensò di tirarsi via quegli abiti ridicoli
Non c’era niente da vestire
Contro Herbert giovane ed alto si oppone la figura minuta di Bolota (tracce fantasmatiche), con le sue risate, che in questo momento si avvicina al mascherato.
Ancora una volta è chiamato tutto l’insieme dei simboli in cui si stanno modellando i due personaggi, ormai con una differenza essenziale:
Bolota versus Simplicio/Herbert
Il primo elemento è la figura del carnevale, grottesco, appartenente al mondo inferiore ma impuro o, quanto meno, ambiguo nella sua autenticità (non confondere questa parola “ambiguo”con quell’altra, utilizzata nella seguente situazione: Bolota è ambiguo poichè dal momento che appartiene al “mondo di sotto”, crea le condizioni per imporre un’altra visione del mondo). Si veda quello che dice il racconto in materia, nel momento in cui Herbert vuole esorcizzare da sè il pagliaccio:
a) lui adesso non sapeva chi era
b) era tonto e confuso
Questa impossibilità di armonizzare la sua costituzione esige l’eliminazione di Herbert/Simplicio. Bolota, al contrario, è completo.
Il colore dell’automobile è il nero, Bolota è nero, la notte è scura; dominano la scena violenza e riso; l’autista/pagliaccio è frustrato, mentre il matto ( che è invece il vero pagliaccio) non capisce niente, ma distrugge tutto, al fine di imporre la sua legge; l’atto del pagliaccio (Simplicio) di dormire sul volante dell’autista (Herbert) costituisce la resa (sconfitta, morte). La Citroen somiglia ad un carro funebre, ma, principalmente è nera come la madre di Bolota e, simbolicamente, “sputava fuoco da ogni buco”. Uscendo di lì, così come il Bolota, Herbert/Simplicio poteva essere altro, modificato e puro. Questo significa che siamo nel momento chiave della narrazione, quando “l’autista, il pagliaccio Simplicio e il promettente Herbert Albuquerque de Castilho” può essere purificato dal fuoco.
La morte è nel centro della crisi, ma essa è l’unico canale attraverso il quale può liberarsi l’ambivalente. La narrazione (processo di carnevalizzazione) non ammette la prevalenza di elementi estranei al suo universo e l’impasse è risolta. Il carnevale si piega su se stesso al fine di esaminarsi e definirsi. Cronos, ancora una volta, divora il figlio.
Ma siccome è una festa della primavera, festa di rinascita, il carnevale propone nuove forme: Bolota e il suo riso contaminano i turisti che giungono ubriachi alla stazione (l’ubriaco appartiene allo stesso universo simbolico del mascherato e del matto).
I turisti erano già stati preparati dal pagliaccio, che adesso muore per inaugurare la grande risata che fonda “il miglior quadro della commedia di Vista Alegre”: commedia + tragedia = grottesco e la sua prospettiva carnevalesca del mondo e dell’uomo.