“Sbarco a Milano”
mostra di Velasco Vitali
raffaele taddeo
La mostra “Sbarco a Milano” di Velasco Vitali allestita dal 13 novembre al 3 dicembre 2010 a Palazzo Reale, è stata un evento importante e significativo. Programmata da tempo si è inaugurata proprio nel periodo in cui a Brescia su una gru e a Milano su una ciminiera, dei migranti manifestavano contro il decreto che li aveva discriminati e danneggiati nella richiesta della regolarizzazione del permesso di soggiorno, che avrebbe consentito loro di lavorare uscendo dalla clandestinità
Articolata attraverso diversi elementi compositivi in spazi nodali della città si è sviluppata dalla piazza antistante la Stazione Centrale, al cortile e alle sale di Palazzo Reale in un percorso simbolico dell’approdo.
Solitamente le mostre offrono un approccio storico e diacronico delle opere di un autore, oppure uno sviluppo monotematico.
In questo caso l’allestimento si è arricchito di un significato più elevato assumendo un valore poetico che ha trasceso i singoli elementi della mostra.
In piazza Duca d’Aosta l’impatto visivo di una barca d’acciaio, capovolta, lunga 15 metri, sorretta da due sculture umane in atteggiamento dinamico, simbolo di forza primordiale alla ricerca di una propria libertà esistenziale suggeriva significati di pregnante attualità.
La “barca” rappresenta il dramma della migrazione che grava sugli uomini del nostro tempo perché la storia, la guerra, le carestie, la globalizzazione, gli avvenimenti umani ne hanno fatto l’aspetto determinate della nostra epoca.
Nel cortile di Palazzo Reale, il percorso si è aperto con la scultura di un grande cane laminato d’oro, dominante per compostezza e separatezza dal resto del branco. Variamente interpretabile il senso e il significato. Opulenza, ricchezza, ma anche solitudine possono essere i sensi attribuibili.
Nelle sale interne 60 cani in ordine sparso hanno invaso gli spazi eleganti della reggia contrastante con la struttura essenziale delle figure scultoree, esaltate dalla plasticità delle loro posture. Un’alta colonna, cilindrica, stratificata sorreggeva ma nel contempo elevava nella sua sacralità il corpo metallico di un cane ripiegato, proiettandone sul soffitto l’ombra ingigantita della sua esistenza sacrificata.
E’ singolare nella scultura di Velasco Vitali la materia che usa per raffigurare i cani. Non è unitaria perché costituita da ferro, piombo, cemento e catrame. Le sue opere sono formate da pezzi forgiati e saldati fra loro così che ne viene esaltata ogni postura: prona, raminga, ciondolante, dalla muscolarità essenziale e la magrezza, a volte ridotta alla sua scheletricità.
Le luci hanno sottolineato i corpi e le loro ombre animali.
All’inizio e alla fine del percorso, due teleari di gigantesche dimensioni, densamente ricoperte di micro “silhouette” di tutte le sfumature di grigi e di neri, simboleggiavano l’umanità e la sua perenne peregrinazione. Due riproduzioni in gesso delle singole figure sorreggenti la barca in piazza Duca d’Aosta, erette in questo contesto ambientale su una lunga lamina di acciaio, hanno chiuso il percorso, mettendo in evidenza la parte alta dei corpi rappresentati nella loro completezza espressiva.
L’evento poetico dello scultore bellanese, già pittore affermato, sta innanzitutto nell’aver preso posizione artisticamente sul più grande problema sociale dei nostri giorni: il fenomeno migratorio di milioni di persone che si spostano per cercare, come in un sogno, un luogo per sopravvivere sfuggendo alle catastrofi dei paesi d’origine.
L’emarginazione a cui questi uomini sono sottoposti li rende molto simili a cani randagi che si muovono singolarmente o in gruppi. La solitudine è la condizione esistenziale dei migranti espressa simbolicamente da questi cani, che anche quando sono in gruppo appaiono sempre dei singoli, ancora a significare che la migrazione dei nostri tempi sebbene fatta da milioni di persone, così come espressa e rappresentata dalle tele di Velasco Vitali, è sempre un fatto individuale e per questo più triste e doloroso, non solidarizzato.
Ma una attenta comprensione del significato della mostra porta a considerare che il randagismo non è solo la condizione della migrazione perché ciascun visitatore, nell’identificarsi con questo o quel cane, ha avvertito che essa è la condizione universale dell’uomo contemporaneo, privo di ogni punto di riferimento, incapace di ancorarsi a certezze di ogni genere, da quelle culturali a quelle economiche, a quelle affettive.
Il randagismo è ormai la condizione universale d’esistenza, anche perché è fortemente connessa alla precarietà. E’ possibile non muoversi da un fazzoletto di territorio senza non sentire il forte senso di instabilità, di precarietà, senza non sentire di essere randagi continuando a girare in territori ristretti come fanno i cani a Pompei o in Sicilia.
La mostra di Velasco Vitali parte da una condizione sociale che la storia sta consegnando ai nostri giorni, come quella della migrazione, per arrivare a disegnare in maniera puntuale la drammaticità dell’essere dell’uomo postmoderno sempre più solo, sempre più triste nonostante gli splendori che sono tutt’intorno. La sua solitudine lo rende tristemente, angosciosamente disponibile alla sottomissione a qualunque capobranco, purché ricoperto d’oro.
Dicembre 2010