silloge inedita (parte prima)

1)

Bevete pure la vita
con ghiaccio e gin
e riflettete il viso
nei vuoti bicchieri
non sapendo più nulla
del vostro nome.
2)
Guardare le vetrine, assistere al vortice
umano oscillare tra i due poli della strada
e osservare nell’intatto minuto la miseria.

So di avere quanto basta nella borsa e qui
un fazzoletto pronto all’uso di un eventuale
addio, ma è certo che lo userò per il naso.

Passeggiamo io e te, in ogni angolo di strada
a cercare disperatamente bellezza, quella
che non vuole denaro alle sue celebrazioni.

È così che lo scoiattolo ci viene a salutare,
si lascia guardare nell’impacciata simpatia
e ridiamo del nulla, la nostra semplice presenza.

Solo perché c’è un qui, ed ora, e un futuro
che sfugge all’uomo, solo perché sei tu
che intenerisci le mie angustie rivelazioni.

Questa è la freccia che cattura il tempo eterno
appeso al muro delle nostre case già cambiate,
freccia che restaura le speranze nei cassetti.

Guardare le vetrine, assistere al vortice
umano oscillare tra i due poli della strada
e osservare nell’intatto minuto la miseria.

Non parliamo di denaro io e te, non di avere,
ma dell’avida sconfitta umana, quella precedente
l’assuefazione all’amaro nel cuore oramai sfinito.

3)
Vedo solo il sorridere della follia
in queste quotidiane disinvolture.
Le strade sono specchi d’abisso:
piace sciogliersi, come fango nei fiumi.
Guardo la roccia della mia memoria
scavare nel difficile spessore di ieri,
non sono poi tutti bravi a fare i conti.
Non è la matematica l’espressione del
ricordo, l’umana volontà di fissare
un secondo passato nell’attimo presente
già sfuggito. Nelle mani ci sono dita
da contare per non perdersi nel buio.

4)

Ammainare lo sguardo
aldilà di una stanza,
fuori tendere la mano
sfiorando le curve del vento
e ricordarsi del proprio nome
per non dimenticare l’origine.

5)

In questa lunghezza
chiamata tempo
vi è un’interruzione
chiamata vita.

Esplosione di riti,
ciclici disegni
portano il pensiero
alla percorrenza
dell’esistere.

Se c’è un’interruzione
è la vita.
Dall’etere all’utero,
dall’utero all’umano.

Le bocche della gioia
celebrano festività
ad ogni punto
interposto
tra gli eventi e la vita.

In questa lunghezza
chiamata eterno
c’è un’interruzione
chiamata vita.

6)

Inevitabilmente dobbiamo aspettare
quel giorno in cui qualche cosa parte,
ed è vuoto nel nostro perimetro umano.
Il tempo decanta l’assenza. Null’altro.
Della morte è solo l’amore la salvezza.

Affollati in grani di bruna terra i pensieri
Si danno alla luce, le allodole cantano,
lo scorrere furibondo del tempo alato
impressiona le aiuole della memoria.
Nulla. Dalla morte l’amore ci salva.

7)

La figura del terrore
è non
poter toccare
le singole
parole.

Solo udire, udire,
ascoltare,
ma mai toccare
le voglie
delle destinazioni.

Solo udire
i dettami delle leggi
abbandonando
gli spostamenti
degl’incantevoli umori
primitivi.

Questa è la figura del terrore.

Non riconoscerti nel viso,
nei perimetri delle distanze,
dentro lunghi umori
tracciati sopra i miei.

Ora sono due
le distanze, unite
per sovrapporre i vuoti
e renderli meno vuoti.

Unite a riprenderci le mani,
strette a soffocare, immobili,
fino a toccare quell’ultimo
avanzo di vuoto.

Restituiamoci il totale.

8)

Dal tuo viso la pioggia
mi racconta di Settembre,
del suo plumbeo intercedere
e delle nostre mani fredde.

Siamo state quasi eterne
quando il sole ci chiamava
nel suo schianto sulle rocce
e tra le crepe degli ulivi.

L’umido dei capelli
scompone i miei pensieri
e mi rivolgo alla tua voce
per risanare questa crepa.

Ho le mani distaccate
dalle solite tranquillità.
Il nido di prima è vortice
alla quotidiana avventura.

9)

La porta si apre
sul fiume di un giorno
triste.

E la tua mano avvinghiata
all’oro della maniglia
cerca risposta nel lampo.

La domanda è la morte
suonante cavernose trombe
su quest’isola lenta. Plumbeo
il cielo raccoglie le nostre anime.

In caduta libera, finissima acqua
esalta l’imperfezione del tuo viso
saturo di rughe e di perché,
come mai, ora io, noi. Tutti.

È così che un confondersi
d’acqua sulle tue guance
cancella anche l’ultimo
dei miei baci.

10)

Freddo, intercedere dell’inverno,
marciapiedi di desolazione e umidità,
io nell’Immane presenza ascolto:

le supremazie del vento decollano
atterrando tra fronde già verdi e bagnate,
nei prati speranze furibonde trottolano,
io nell’Immane presenza prego:

che sia possibile incrociare le nostre mani
per difendere i petti con gli scudi,
possibilmente senza disprezzare l’umano,
ed io nell’Immane presenza penso:

che siamo carne sacra di vapori d’anima,
costellazioni simultanee di preludi vitali,
eternamente danzanti sulle tracce di un Bene,
io nell’Immane Presenza accetto:

l’esistenza, tutta nella circonferenza universale.

Quanta piccolezza nelle nostre viltà, giornaliere
presenze nell’imbuto delle umane tristezze.