Kim Clark: nel paesaggio della memoria

KIM CLARK: NEL PAESAGGIO DELLA MEMORIA DELL’IO ATTRAVERSO GLI OCCHI MEDITATIVI DELLA POESIA

Scivolare per la scarpata dei ricordi in via di disgregazione e recuperare talune scaglie di memoria nella luce pur offuscata di un paesaggio della mente che intende ricostituirsi nella scrittura, attingendo alle risorse inesauribili della poesia. Si condensa, in tal senso, lo stato espressivo dell’autrice canadese Kim Clark, che risulta essere intimamente legato all’esperienza di vita maturata.
La parola sembra infiltrarsi, con vigore, nelle fibre nervose del corpo dell’autrice, quasi a volerne sostenere il cambiamento: muta anche la visione del mondo in precedenza sperimentato e così ridefinito in maniera del tutto rinnovata, grazie a uno slancio poetico prima d’allora latente.
Il linguaggio della poesia percorre la stria d’iride che guarda al disfacimento di strutture pregresse sedimentate nell’io: foglie instabili, edifici allo stesso modo cadenti che implodono come un sangue indefinito che tra spasmi svanisce. Visioni che dalla mente arrivano a disperdersi nei richiami frastagliati di una realtà dove i segnali del mutamento del destino possono manifestarsi su una coltre di neve inerme o nell’energia di un tifone. Avvisaglie difficili da ignorare, pur dopo i primi tentativi volontari di renderle trascurabili.
Le figure simboliche messe a nudo dall’incisiva fluidità dell’espressione di Kim Clark aiutano a sintetizzare i duplici aspetti di una reazione poetica inaspettata e al contempo incanalata con delicato ingegno. Quell’iniziale mancato bisogno di rapportarsi alla scrittura sottende, in realtà, un’inclinazione artistica pronta a emergere nella sua spontaneità per ridisegnare i cardini di ciò che è stato e del divenire impervio dell’esistenza. L’inclinazione così scoperta si adagia in un linguaggio che celebra, nella poesia, la compenetrazione più attenta di suoni ed emozioni immortalate in rappresentazioni di intima quotidianità. L’istinto poetico mai provato prima riaggrega, giorno dopo giorno, le semplici tracce che delineavano in principio solo una “scettica chiarezza del passato”. Kim Klark attua una sentita operazione di scavo semantico affinché ciascuna parola, scelta per la sua concisione in questo nuovo progetto di vita in poesia, diventi testimonianza del valore dell’esperienza assimilata con esemplare saggezza. L’autrice si rinnova nella missione poetica intrapresa in quanto ne fa il fondamento di un’attitudine che acquisisce, nella rispondenza con il pubblico, il soddisfacimento d’un desiderio d’essere parte creativa e produttiva del panorama collettivo, nonostante il carattere plurimo dei meccanismi sociali implicati.
Coinvolta in un autoprocesso esplorativo dal valore meditazionale inatteso, Kim Clark può in tal modo orientarsi in un paesaggio esistenziale risistemato secondo l’assetto di un’interiorità in evoluzione. Quest’ultima si proietta nella realtà del suo presente seguendo nuovi indizi. La presa di coscienza del mutamento, che si ripercuote sulla pagina attraverso l’emblematica correlazione con l’immagine di una pioggia pesante, rischia di rimarcare, in parallelo, parte del significato più oscuro della parola poetica di conseguenza supposta. La dinamicità creativa di Kim Clark è in grado di forgiarla, tuttavia, nell’ulteriore motivo simbolico di uno scroscio che, diramandosi sempre più, si libera dei ricordi della mente per insinuarsi al di qua della finestra appena schiusa del mondo. Nelle movenze d’aria terrena, il palpito della vita, di cui l’autrice si dimostra sempre e a ogni costo ferma sostenitrice, si espande fulmineo come un brivido dei sensi: sensazioni capaci di rifugiarsi nella fibra lesa dell’essere, modellandolo, anche solo per attimi, mediante il potere galvanizzante della poesia.