Scritture migranti: il caso degli autori lusofoni in Italia (prima parte)

Introduzione..      4

Capitolo 1.           8

1.1 Italia: da paese di emigrazione a paese di immigrazione.               8

1.2 Uno sguardo sulle comunità provenienti da Brasile, Capo Verde, Angola e Mozambico. 12

1.3 Letteratura della migrazione o letteratura nascente.                       16

1.4 La letteratura italiana della migrazione.                                             20

1.5 Autori italiani di origine lusofona.                                                         23

1.6 Definizione di scrittori migranti e scrittori di seconda generazione  24

1.6.1 Scrittori migranti.                                                                                  24

1.6.2 Scrittori italiani di seconda generazione.                                            25

Capitolo 2.                                                                                                         27

2.3 L’italiano lingua coloniale?.                                                                       27

2.4 L’italiano lingua di emigrazione.                                                              29

2.5 L’italiano lingua di immigrazione.                                                            33

2.6 Primi indizi di meticciamento.                                                                  35

2.7 Ius culturae?.                                                                                              40

2.8 Ius linguae?.                                                                                                44

Introduzione

Negli ultimi venti/trenta anni l’Italia da terra di emigrazione è divenuta terra di immigrazione, ciò ha portato indubbiamente molti cambiamenti sia a livello sociale che culturale.

È cambiato il tessuto sociale la cui trama inizia ormai ad essere uno splendido melange di colori, lingue, culture e sapori.

È cambiata e sta cambiando la cultura italiana grazie all’apporto di tutte quelle persone che, con le loro diverse origini, in Italia ed in italiano vivono, studiano, lavorano e…scrivono.

Che si decida di chiamarli nuovi italiani o come propone Armando Gnisci itagliani[1], la sostanza non cambia sono i nostri vicini, i nostri colleghi, i nostri figli, siamo noi, è l’Italia meticcia del 2014.

La creolizzazione dell’Italia così come del resto del mondo pare ormai un processo inarrestabile tant’è che c’è già chi non la considera altro che il prossimo stadio dell’evoluzione della specie:

…l’ultimo movimento evolutivo in ordine di tempo: la creolizzazione del mondo attraverso le migrazioni, le diaspore, gli spostamenti planetari e i meticciati nuovi del nostro tempo. La creolizzazione mondiale viene proclamata dai suoi poeti come una vera e propria sopravveniente evoluzione della specie…[2]

I fenomeni di creolizzazione sono importanti perché permettono un nuovo approccio alla dimensione spirituale delle umanità, un approccio che implica una ricomposizione del paesaggio mentale delle umanità contemporanee: la creolizzazione presuppone che gli elementi culutrali messi a confronto debbano necessariamente essere “di valore equivalente” perché avvenga un vero processo di creolizzazione[3].

È cambiata e sta cambiando la lingua italiana costretta a creare termini per designare queste presenze.

Mentre negli anni ottanta e novanta del ventesimo secolo era considerato normale definire vù cumprà  qualsiasi immigrato, adesso questo neologismo, nato appunto per definire i primi immigrati comparsi come venditori ambulanti sulle spiagge italiane, è riconosciuto come termine dispregiativo dunque sempre meno utilizzato da tutti coloro che hanno consapevolezza dell’importanza che può avere un certo utilizzo del linguaggio anche nel veicolare un approccio più corretto all’altro ed alle diversità che compongono la società contemporanea.

Purtroppo non ha subito la stessa sorte l’altrettanto escludente extracomunitario  che invece gode tuttora di ottima salute ed il cui utilizzo affiancato a quello di clandestino è tuttora molto diffuso non solo nel linguaggio parlato ma anche e soprattutto da certa stampa e televisione.

Si rende necessario analizzare come questo metissage passi nella letteratura ed anche per questo bisogna trovare parole nuove includenti e positive.

Si parla di letteratura della migrazione, narrativa o letteratura nascente intendendo la letteratura prodotta sia da autori provenienti da paesi altri che hanno scelto di scrivere in italiano che da autori di seconda generazione bilingui o per i quali l’italiano è la lingua madre.

Obiettivo di questo lavoro sarà quello di fornire una panoramica della letteratura nascente o della migrazione, data l’ampiezza del fenomeno, restringeremo il nostro studio alla produzione di autori di origine lusofona e che si esprimono in prosa.

Ci occuperemo quindi innanzitutto di definire cosa si intende per letteratura nascente o della migrazione e tenteremo poi di analizzare nello specifico quella oggetto della nostra indagine.

Partiremo quindi da Princesa[4], scritto da Fernanda Farias de Albuquerque e Maurizio Jannelli, che fa parte di quel fenomeno di libri autobiografici, scritti a quattro mani da immigrati di prima generazione che ancora non padroneggiavano a sufficienza la lingua italiana e coautori o curatori italiani madrelingua quali, ad esempio, Io venditore di elefanti[5] di Pap Khouma  e Oreste Pivetta.

Passeremo poi ad analizzare l’opera di autori che hanno vissuto l’esperienza della migrazione in maniera consapevole, cioè in età adulta come Christiana de Caldas Brito e Julio Monteiro Martins e che, in alcuni casi, avevano già iniziato a scrivere e pubblicare in portoghese, per arrivare infine ad esplorare il mondo degli scrittori di seconda generazione nati in Italia da genitori provenienti da paesi altri o qui arrivati da piccoli e qui cresciuti, come Jorge Canifa Alves.

Si cercherà dunque di capire come si sia passati da opere scritte da autori stranieri che hanno avuto necessità dell’aiuto di un coautore madrelingua per scrivere in italiano ad opere ed autori che ormai a pieno titolo possono considerarsi italiani.

È dunque possibile affermare che nella letteratura italiana già vige lo ius soli che nel paese reale ancora tarda?

E qual è il contributo degli autori di origine lusofona a questo meticciamento, a questa creolizzazione della letteratura italiana?

Capitolo 1 

1.1 Italia: da paese di emigrazione a paese di immigrazione.

Nel periodo immediatamente successivo all’unità fino agli anni settanta del ventesimo secolo, l’Italia fu paese di emigrazione.

Si calcola che circa 25.000.000 di persone ossia poco meno della metà della popolazione totale odierna lasciarono la penisola. Buona parte di coloro che partirono, dopo un’esperienza migratoria più o meno prolungata nel tempo, fecero ritorno al paese d’origine. Si calcola quindi  che la perdita di popolazione reale si aggiri intorno agli 8/9 milioni di persone[6].

Si è soliti considerare conclusa la fase in cui si poteva definire l’Italia paese di emigrazione a partire dagli anni’70 poiché, anche in ragione del forte sviluppo degli anni ’50 e ’60, che la portò ai livelli degli altri paesi Europei uscì dal ruolo di fornitore di manodopera per paesi più industrializzati per entrare ufficialmente a far parte delle mete appetibili per migranti provenienti da paesi più poveri.

Se i numeri non fossero così esigui anche per l’Italia si potrebbe parlare di migrazioni post-coloniali  prendendo in esame, per esempio, il flusso soprattutto di donne somale, etiopi ed eritree, prevalentemente addette al lavoro domestico, al seguito delle famiglie italiane benestanti di rientro dalla Libia e dal Corno d’Africa.

Negli anni ’70 inizia timidamente la trasformazione dell’Italia in meta d’immigrazione non fu tuttavia immediata la percezione del cambiamento poiché non si percepì da principio la differenza rispetto alle presenze straniere che sempre vi sono state ma che, essendo poco numerose, non avevano rilevanza dal punto di vista dell’analisi dei flussi migratori.

Verso la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 si iniziano a creare le prime nicchie di mercato legate alle nazionalità di provenienza. Troviamo quindi molte donne addette alla collaborazione domestica e tra queste, accanto alle già citate presenze somale, etiopi ed eritree, iniziano ad arrivare donne dalle Filippine, da Capo Verde e dallo Sri Lanka che seguono un percorso migratorio supervisionato dalle reti missionarie, dunque fortemente legato all’appartenenza religiosa[7].

È proprio negli anni ’80 che i flussi migratori aumentano considerevolmente sia dai paesi del Nord Africa (prevalentemente Marocco, Tunisia ed Algeria), che dall’Africa centro-occidentale (Senegal, Nigeria, Costa d’Avorio e Burkina Faso), ma anche dal Sud America (soprattutto dal Perù ed in misura minore dalla Repubblica Dominicana), dal subcontinente indiano (Sri Lanka, India e Pakistan) e dall’Asia orientale (Cina e Filippine).

Negli anni ’90 l’immigrazione sta già cambiando volto trasformandosi gradualmente in un processo che coinvolge intere famiglie quando, la caduta del muro di Berlino ed i cambiamenti in corso nell’europa centro-orientale aprono un nuovo fronte d’ingresso di cui tutti ricordiamo le immagini-simbolo dello sbarco di migliaia di albanesi al porto di Bari nella primavera e nell’estate del 1991[8].

Tra la metà degli anni 80 e gli anni 90 del secolo scorso vi sono diversi interventi volti regolamentare la situazione e sanare la realtà esistente.

Nel 1997 l’Italia entra nel sistema di Schengen che regola la libera circolazione di persone e merci tra i paesi aderenti.

Del 1998 è la legge Turco-Napolitano primo tentativo di regolamentare in maniera organica un terreno che ancora lo è poco stabilendo le regole per l’ingresso, l’aquisizione dei diritti sociali e politici e  fissando i criteri per la regolazione dei flussi, viene introdotto il principio del ricongiungimento familiare e, per la prima volta, si parla di centri di accoglienza per immigrati irregolari.

La legge Turco-Napolitano verrà ripresa ed alcuni suoi aspetti inaspriti dalla legge Bossi-Fini del 30 Luglio 2001, la durata massima del permesso di soggiorno viene fissata in due anni, viene richiesta la coordinazione delle autorità dell’Unione Europea per il controllo alle frontiere a significare che l’arrivo di masse di migranti ai confini italiani è un problema di tutta l’Europa in quanto spesso l’Italia è solo una tappa nel viaggio verso altre destinazioni europee, viene inoltre resa più difficile anche la richiesta di asilo politico e sono aumentate le strutture di accoglienza e detenzione degli immigrati irregolari.

Tra il 1990 ed il 2005 l’Europa ha attratto 18.000.000 di migranti[9] e per la prima volta dal basso Medioevo l’immigrazione oltre ad una funzione economica ne ha anche una di riequilibrio demografico.

Basti pensare al caso di Italia e Spagna che secondo le previsioni delle Nazioni Unite formulate nel 1998 avrebbero dovuto avere un calo demografico ed arrivare ad avere, nel 2010, 95 milioni di abitanti e che invece, contrariamente alle previsioni, grazie all’apporto degli immigrati, sono arrivate ad avere 108 milioni di abitanti[10].

Per quanto riguarda il caso italiano basandosi sulla stima della Caritas secondo la quale nel 2000, tra permessi di soggiorno e minori privi di un permesso personale, il numero di stranieri regolarmente soggiornanti in Italia doveva aggirarsi attorno a 1,5 milioni, ossia più del doppio dei 650.000 del 1991,  Massimo Livi Bacci ipotizza che aggiungendo a questa cifra qualche centinaio di migliaia di clandestini e tenendo conto del continuo e sostenuto afflusso sia del 2000 che del 2001, si possa verosimilmente immaginare che nel 2001 lo stock di immigrati presenti in Italia si aggirasse intorno ai 2 milioni vale a dire il 3% della popolazione.

Al 2010 lo stock di immigrati non europei, nell’Europa comunitaria, conseguenza delle migrazioni degli ultimi decenni,  è di circa 25 milioni ossia il 5% della popolazione europea.

Dal 2011 vi è poi stato un netto aumento degli arrivi dal nord africa determinato dalla primavera araba e dagli sconvolgimenti avvenuti nella zona, arrivi che hanno ulteriormente messo in evidenza l’inadeguatezza dei CIE (centri di identificazione ed espulsione), basti a tal proposito ricordare le immagini che arrivavano in quel periodo dal centro di Lampedusa.

Il numero di migranti in Italia continuerà a crescere. Secondo le previsioni sul futuro demografico del paese nel 2065 a fronte di una popolazione complessiva di 61,3 milioni di abitanti si avranno 14 milioni di stranieri[11]. La domanda che sorge spontanea però è se sarà ancora possibile ed utile, nel 2065, classificare come straniero ogni persona che non discenda da diverse generazioni di italiani o se il termine allora non servirà soltanto ad indicare gli abitanti di recente immigrazione.

1.2 Uno sguardo sulle comunità provenienti da Brasile, Capo Verde, Angola e Mozambico.

La comunità brasiliana è sicuramente la più numerosa, infatti secondo il Dossier Caritas/Migrantes 2012 i brasiliani regolarmente soggiornanti in Italia sarebbero 48.230 ai quali andrebbero aggiunte alcune migliaia di persone che risiedono in Italia senza essere in possesso di un regolare permesso di soggiorno arrivando quindi ad una cifra che supererebbe abbondantemente le 50.000 unità.

Così come per altri paesi dell’America latina, per il Brasile l’inversione di tendenza è relativamente recente in quanto, ancora per tutta la prima metà del secolo scorso, erano gli italiani ad emigrare verso questi paesi, infatti parte degli immigrati brasiliani è costituita proprio dai discendenti di queste precedenti ondate migratorie per i quali l’Italia è meta elettiva d’emigrazione, poiché spesso possono ancora contare sulla nazionalità ereditata assieme al cognome, così da non avere necessità di richiedere il permesso di soggiorno.

Essendo tra le comunità di nostro interesse quella brasiliana la più numerosa risulta anche essere la più eterogenea. Il settore di occupazione principale dei lavoratori nati in Brasile pare essere il terziario.

…Gli occupati di origine brasiliana registrati dall’Inail nel 2007 sono inseriti nella misura di oltre i due terzi del totale nei servizi (70,5%, 25.948 persone), per quasi un quarto nell’industria (24,3%, 8.953) e solo in 1 caso su 50 nel settore agricoltura/pesca (2,1%, 789 persone), mentre nel 3% dei casi l’informazione non è disponibile. Rispetto a quanto si rileva per l’insieme degli occupati nati all’estero, si registra una più spiccata concentrazione nei servizi (gli immigrati vi lavorano nel 53,8% dei casi) e una parallela riduzione della quota a carico del settore secondario (24,3% vs 35,3%) e primario (2,1% vs 7,3%)…[12]

Verosimilmente nel 3% di casi in cui l’informazione non è disponibile assieme ad una parte di inoccupati o lavoratori “in nero” vi saranno anche coloro che si prostituiscono, ma né questi né quelli che non sono in possesso di regolare permesso di soggiorno, quindi non figurano nella statistica precedente, possono essere considerati rappresentativi dell’intera comunità brasiliana residente in Italia.

Tuttavia secondo il rapporto stilato nel 2013 dalla Caritas “Punto e a capo sulla tratta” il Brasile figura (insieme a Marocco e Cina) dopo i paesi d’origine principali delle vittime della tratta (Nigeria e Romania) tra i paesi nei quali il fenomeno è in costante crescita.

Il numero degli immigrati provenienti da Capo Verde oscilla attorno alle 5000 presenze (4.569 fonte: Dossier Caritas/Migrantes 2009).

La comunità capoverdiana è tra quelle di più antico insediamento (dall’inizio degli anni 60) , costituita in prevalenza da donne spesso impiegate come domestiche  e fortemete connotata dall’appartenenza religiosa che favorisce questi percorsi migratori permettendo ad esempio a molte, grazie all’aiuto ed alla mediazione dei sacerdoti dell’arcipelago, di studiare nelle università pontificie.

Probabilmente proprio per questo legame con la curia romana il 50% della comunità capoverdiana è concentrata a Roma, mentre il restante 50% si divide tra Napoli, Milano, Palermo e Firenze[13].

Di più difficile reperimento i dati sulle migrazioni da Angola e Mozambico, probabilmente anche per i numeri esigui per cui vengono raggruppati tra i migranti provenienti da un generico altri paesi o altre provenienze.

Secondo i dati forniti dall’Istat al 31/12/2010 le persone di nazionalità Angolana residenti in Italia  erano 1.710, mentre quelle di nazionalità Mozambicana erano 320[14].

Di seguito una rappresentazione della “comunità lusofona” presente in Italia al 31/12/2010[15].

Per completezza di informazione sono state incluse le 5678 persone di nazionalità portoghese pur concentrandosi questo lavoro sulla “comunità lusofona” residente in Italia di origine extra-europea.

Si rende inoltre necessario ribadire che i dati presi da fonti quali il Dossier Caritas/Migrantes o l’Istat si riferiscono alle persone in possesso di un permesso di soggiorno per cui vanno sempre considerati inferiori a quelli reali.

1.3 Letteratura della migrazione o letteratura nascente

La letteratura prodotta nell’attuale società globale da scrittori migranti viene comunemente chiamata letteratura della migrazione in quanto figlia proprio di questi grandi fenomeni migratori che così profondamente stanno cambiando l’idea stessa di umanità oppure letteratura nascente in quanto, in Italia, è una realtà ancora piuttosto nuova quindi in via di definizione.

La denominazione di letteraura nascente è stata proposta da Raffaele Taddeo che, col Centro Culturale Multietnico La Tenda, in collaborazione con la biblioteca Dergano-Bovisa a Milano, ha iniziato già dal 1993 a proporre incontri di presentazione dei primi libri scritti da autori di origine straniera raggruppandoli sotto la denominazione di narrativa nascente.

Durante il dibattito a seguito della presentazione di Io, venditore di elefanti. Una vita per forza fra Dakar, Parigi e Milano di  Pap Khouma e Oreste Pivetta uscito nel 1990 per Baldini & Castoldi si iniziava ad analizzare questo nuovo fenomeno:

 

Le strutture narrative italiane possono modificarsi a condizione che lo scrittore non rinunci alla propria cultura. Nel nostro secolo il mondo europeo ha portato le strutture narrative ad uno sviluppo di elevata qualità. con un travaglio molto intenso. Siamo in un periodo di stanchezza per quanto riguarda l’ulteriore maturazione di questo genere letterario. Ci si può trovare di fronte a qualcosa di totalmente diverso rispetto allo sviluppo delle strutture narrative determinatosi in Occidente fino ad ora. forse siamo veramente di fronte ad una narrativa nascente[16].

Successivamente ci si è resi conto che narrativa nascente  risultava ormai piuttosto riduttivo ed ora si parla di una più vasta letteratura nascente.

Anche Armando Gnisci si era già riferito nel 1991, nel suo Il rovescio del gioco ad una letteratura allo stato nascente parlando di Dove lo stato non c’è di Tahar Ben Jelloun ed Egi Volterrani ed Immigrato di Salah Methnani e Mario Fortunato per descrivere una novità di cui iniziava a scorgere i tratti ed acccoglieva entusiasticamente.

Successivamente Gnisci ha proposto la definizione di letteratura della migrazione per meglio designare una parte della letterautra mondiale, quella i cui autori sono accomunati dall’aver vissuto l’esperienza  comune del migrare per l’appunto.

Possiamo dunque considerare appartenente alla letteratura italiana della migrazione sia quella prodotta dai recenti immigrati in Italia che quella, più antica, prodotta dagli emigrati italiani. Possiamo cioè considerare letteratura italiana della migrazione quella prodotta in italiano da autori migranti prescindendo quindi da origine e destinazione del movimento migratorio.

…L’espressione civile della nuova mondialità della quale vogliamo interessarci ci tocca assolutamente da vicino. Si tratta della letteratura scritta in italiano da parte dei recenti immigranti nel nostro paese. Propongo di definirla la letteratura italiana della migrazione.[17]

…La domanda è: la letteratura prodotta dagli immigrati italiani nel mondo e scritta in italiano, non sarà anch’essa “letteratura italiana della migrazione”? …La risposta che  propongo di dare è: sì. Entrambe, insieme, formano la letteratura italiana della migrazione.[18]

Sempre secondo Gnisci possiamo considerare facenti parte della letteratura italiana della migrazione le opere di scrittori immigrati di prima generazione, in quanto sono loro ad aver vissuto la migrazione in prima persona.

Non possiamo invece considerare facenti parte della letteratura italiana della migrazione le opere degli scrittori di seconda generazione, ossia di quegli scrittori che della migrazione sono figli, nati qui o qui portati da piccoli, poiché questi non sono migranti, in quanto mai hanno migrato, sono invece, la prima generazione dell’Italia creola, sono i nuovi italiani, gli italiani interculturali, gli itagliani[19] le cui origini possono indifferentemente essere cinesi , arabe, rumene o italiane.

Dopo un primo periodo di stupore per questo nuovo fenomeno per cui l’interesse dei lettori era più per l’aspetto esotico di queste opere che, dal canto loro, erano spesso chiuse in un autobiografismo necessario ma che, sul lungo periodo, non può essere l’unica fonte di ispirazione; stiamo ora assistendo ad un processo di assestamento che porta da una parte, ad un graduale disinteresse delle grandi case editrici che inizialmente avevano cavalcato l’onda della curiosità per questi nuovi abitanti del nostro mondo anche letterario e dall’altra, ad un rivendicazione, da parte degli stessi scrittori, di appartenenza alla letteratura italiana tout court quindi anche del diritto di occuparsi di altri argomenti e non solo di migrazioni.

L’insofferenza mostrata quindi da alcuni di questi scrittori verso la tendenza a raggrupparli tutti in un generico insieme che racchiuda tutti gli scrittori stranieri o immigrati o i cui genitori sono immigrati è assolutamente comprensibile e condivisibile giacchè chi vive e scrive in questo paese rivendica il diritto di cittadinanza, oltre che in questo paese, nella sua letteratura.

Non mi piacciono le etichettature, perché quando penso alla scrittura migrante io penso a una scrittura che parla di immigrazione, ma io personalmente non vorrei limitarmi a questo. Credo che gli autori cosiddetti migranti, che provengono da altri parti del mondo, non vogliano limitarsi a scrivere soltanto di immigrazione. Trovo che sia una gabbia dover parlare di emigrazione. Io vorrei parlare sia d’emigrazione che è giustissimo, ma anche d’altro, e invece noi autori di origine non italiana siamo ingabbiati dalle nostre origini. Questa limitazione è molto forte, anche le case editrici che si avvicinano a noi, sono case editrici che si occupano di intercultura…[20]

1.4 La letteratura italiana della migrazione.

In Italia si è verificato un fenomeno singolare in quanto, mentre da un lato la particolare storia coloniale del nostro paese e la negazione/rimozione collettiva del nostro passato coloniale ha fatto si che non si possa parlare di una letteratura postcoloniale in lingua italiana, dall’altro lato, a partire dai primi anni novanta, abbiamo assistito ad un fiorire di scritti ad opera di migranti che, seppur dapprima in collaborazione con coautori madrelingua e prevalentemente con scritti a carattere autobiografico già da subito hanno iniziato a scrivere nella lingua del paese d’accoglienza cosa che invece non è accaduta così velocemente in altri paesi (si veda a tal proposito la Germania).

La fase autobiografica nelle letterature postcoloniali di lingua inglese e francese è già stata ampiamente superata mentre è ancora molto presente nella letteraura italiana della migrazione e questo solo in parte perché si tratta di un passato ancora molto prossimo agli autori. Sarebbe invece necessario chiedersi se e quanto in questo permanere dell’aspetto autobiografico pesino logiche di mercato portate avanti dalle case editrici o approcci ancora assolutamente non includenti della società per la quale l’autore migrante, ancora oggi nonostante il passare degli anni, resta qualcuno a cui chiedere conto della sua presenza sul territorio.

Possiamo quindi realmente pensare che la letteratura della migrazione sia già passata, in Italia, da una prima fase di entusiasmo in cui si guardava ad essa come all’esotico ad una fase, come la definisce Gnisci, carsica in cui entra per infiltrazione nella letteratura italiana, in cui gli autori scrivono direttamente in italiano senza più  bisogno del coautore madrelingua.

Purtroppo però l’entusiasmo delle grandi case editrici che aveva caratterizzato la prima fase è andato scemando ed in questa seconda fase sono le piccole case editrici (Sinnos, Sensibili alle foglie etc…), le realta del volontariato, le riviste di strada ed Internet che continuano ad offrire spazio a questi scritti che, liberi dalle logiche di mercato che governano l’editoria stanno faticosamente ma inesorabilmente creandosi un percorso all’interno della letteratura italiana contemporanea.[21]

Probabilmente il fenomeno di infiltrazione è in atto ma certamente non è ancora completo altrimenti probabilmente i nostri migrant writers non sentirebbero così fortemente la necessità di rivendicare il proprio diritto di scelta di temi non necessariamente legati alla migrazione o alla propria storia personale, così come la critica non si preoccuperebbe di racchiuderli nel recinto degli scrittori esotici che devono necessariamente trattare di temi legati all’esperienza migratoria, alle loro origini lontane o alla loro alterità.

È sicuramente indizio di un positivo processo di superamento di questa contrapposizione tra la critica italiana e gli scrittori migranti la crescente partecipazione di questi al discorso sulla letteratura della migrazione, processo che, ci si augura porti ad un definitivo mutamento di prospettiva nell’approccio critico a questi scritti.

…il rovesciamento di prospettiva comporterà dunque un rovesciamento della narrazione storica che permetta la scrittura della vicenda migratoria, a tutti i livelli (sociologico, storiografico, culturale, politico) a partire dal punto di vista del migrante e non più dell’ospitante[22].

Possiamo quindi pensare sia ormai iniziata una terza fase della letteratura della migrazione una fase di rivendicazione di esistenza e di definitiva appartenenza alla letteratura italiana.

1.5 Autori italiani di origine lusofona.

Alla luce delle considerazioni finora fatte sembra naturale e corretto riferirsi agli autori oggetto di questo studio come ad autori italiani di origine lusofona in quanto non è l’effettivo posssesso della nazionalità italiana che ne fa autori italiani, bensì il fatto che scrivano in italiano che dà loro diritto di cittadinanza nella letteratura italiana, così come non è l’effettiva provenienza, o discendenza da persone provenienti, da un paese in particolare  ma dall’insieme dei paesi di lingua portoghese che ne fa autori di origine lusofona.

Volutamente non sono stati inclusi autori di  origine portoghese  poiché tra questi (si pensi ad esempio a Maria José de Lancastre) non sono stati trovati autori di narrativa.

Si è altrettanto volutamente deciso di concentrare l’attenzione sugli autori che scrivono in prosa per restringere ulteriormente il campo altrimenti realmente vasto.

Come abbiamo già visto precedentemente, la comunità di immigrati più consistente tra quelle prese in esame è quella brasiliana ne consegue logicamente che sono statisticamente più alte le probabilità di incontrare scrittori italiani di origini  brasiliane piuttosto che mozambicane.

Pur essendo solo un decimo di quella brasiliana la presenza capoverdiana risulta essere la seconda più numerosa tra quelle prese in esame.

Nel presente lavoro prenderemo quindi in esame prevalentemente la produzione di autori di origini brasiliane e capoverdiane, in quanto più numerosi.

1.6 Definizione di scrittori migranti e scrittori di seconda generazione

1.6.1 Scrittori migranti

Definiamo autori migranti i cosidetti immigrati di prima generazione, tra di essi figurano profili molto diversi tra loro in quanto ne fanno parte sia persone che hanno intrapreso il percorso migratorio classico alla ricerca di un innalzamento del proprio tenore di vita e nel tentativo di migliorare quello della famiglia rimasta nel luogo d’origine che investe su questo soggetto sia economicamente che dal punto di vista emotivo in quanto gli è richiesto di essere l’agente del riscatto di tutta la famiglia, sia coloro che seguono il percorso della migrazione intellettuale ossia che si spostano per rivendere altrove una formazione specialistica di alto livello già acquisita in patria o che, per completare tale formazione, intraprendono il percorso migratorio.

All’interno di questo gruppo troviamo quindi percorsi estremamente variegati, basti a tal proposito pensare alla vicenda migratoria di Fernanda Farias de Albuquerque, Christiana de Caldas Brito, Julio Monteiro Martins e Maria de Lourdes Jesus che, pur seguendo percorsi molto diversi tra loro approdano tutti, in modo a volte rocambolesco, a volte più lineare, alla scrittura.

1.6.2 Scrittori italiani di seconda generazione

Le migrazioni hanno dunque mutato definitivamente la composizione della società italiana che nel suo processo di creolizzazione affronta, ormai da qualche anno, il rapporto con le seconde generazioni, categoria di grande interesse per la sociologia delle migrazioni che distingue tra seconda generazione nativa o primaria, intendendo con tale definizione riferirisi a coloro che sono nati in Italia e qui hanno sviluppato i loro rapporti con l’ambiente circostante fin dalla nascita; seconda generazione impropria, che comprende i nati altrove arrivati in Italia in un’età compresa fra uno e sei anni che hanno quindi iniziato il ciclo scolare nel paese d’immigrazione; seconda generazione spuria, che comprende coloro che giungono in Italia interrompendo il ciclo scolastico già iniziato nel paese d’origine o dopo averlo concluso, ossia tra gli undici ed i quindici anni quando i meccanismi fondamentali di socializzazione si sono già sviluppati in un diverso contesto socio-culturale.

Per scrittori di seconda generazione si intendono quegli scrittori che non hanno vissuto in prima persona la migrazione ma ne sono figli, spesso nati in Italia o arrivati da piccoli, sono quella che Gnisci definisce la prima generazione creola, gli italiani originari di un luogo diverso da quello in cui si sono trovati a nascere e crescere esattamente come noi che siamo i figli delle migrazioni interne che hanno caratterizzato la storia recente di questo paese.

Possiamo quindi definire scrittori italiani di seconda generazione quegli scrittori come Igiaba Scego, Ingy Mubiayi[23] e Jorge Canifa Alves che sono effettivamente scrittori italiani figli delle migrazioni transnazionali degli ultimi decenni, che rivendicando la loro doppia appartenenza rivendicano anche la libertà di spaziare nella scelta dei temi, il dirittto di non restare confinati in una definizione quale quella di scrittori migranti che non li rispecchia in quanto non sono loro i migranti ma le loro famiglie e di  poter quindi scegliere se e quando parlare di immigrazione.

Capitolo 2

2.3 L’italiano lingua coloniale?

L’Italia ha avuto un passato coloniale piuttosto particolare, in ragione del quale non si è venuta a creare, qui, la situazione che si è venuta invece a creare in altri paesi, come ad esempio Francia ed Inghilterra, dove gran parte degli immigrati proviene dalle ex-colonie e per le cui letterature è normale già da anni fare i conti con opere scritte nella loro lingua da autori provenienti da tali paesi.

La situazione dell’italiano non è, quindi, neppure paragonabile a quella di altre lingue coloniali spesso utilizzate nella letteratura delle ex colonie per le quali si parla, appunto, di letterature omeoglotte poiché utilizzano la stessa lingua del paese colonizzatore.

Sono infatti assai frequenti casi come quello di Tahar Ben Jelloun, scrittore di origine marocchina che scrive in francese e Salman Rushdie, scrittore di origine indiana che scrive in inglese.

Il caso italiano invece è completamente diverso poiché esso non è diffuso come lingua coloniale in alcuna delle ex-colonie come invece lo sono il francese e l’inglese in paesi come il Marocco e l’India, solo per considerare i paesi di provenienza dei due autori che abbiamo preso ad esempio.

Potremmo prendere in esame le eccezioni costituite da Erminia Dell’Oro e Antar Mohamed ma si tratta di casi particolari oltre che isolati in quanto Erminia Dell’Oro è, si nata in Eritrea, ma da famiglia italiana e Antar Mohamed è si nato in Somalia ma è di madre italiana (è figlio di Isabella Marincola). Sono quindi ambedue autori bilingui per i quali l’italiano non è la lingua coloniale, ma la lingua materna.

Il recente Timira. Romanzo meticcio di wu ming 2 e Antar Mohamed[24] è particolarmente interessante in quanto, per la prima volta, ci troviamo davanti ad un libro scritto a più mani, due delle quali appartengono a quello che dovrebbe essere considerato un autore appartenente alla cosiddetta letteratura della migrazione, non perchè uno degli autori non avesse una sufficiente padronanaza della lingua, bensì perché opera di scrittura collettiva così come molte altre che stanno vedendo la luce in Italia in questi ultimi anni.

Che sia un segno del fatto che la letteratura nascente sia infine nata e segua la tendenza, ormai diffusa nella letteratura italiana, della scrittura condivisa?

Lo stesso wu ming 2 parlando dell’esperienza del laboratorio di scrittura creativa che ha tenuto con Christiana De Caldas Brito su invito dell’associazione Eks&Tra, esaminando le esperienze di scritttura colletiva tenutesi durante il laboratorio afferma:

…una prima cosa che ci ha colpito favorevolmente di questo esperimento è che di fronte alla scrittura collettiva si è tutti disarmati allo stesso modo, cioè non c’è predominanza di uno dei due come potrebbe accadere nella coppia di scrittura che è stata sperimentata di un madrelingua italiano e di un migrante o di uno straniero. Uno dei due partecipanti alla coppia in qualche modo è in una posizione di forza, che per quanto se ne voglia spogliare, liberare con l’intento di partire alla pari o di mettersi sullo stesso piano, di non fare un’operazione di scippo narrativo, cioè di sottrarre la storia alla persona che non ha la lingua del paese per raccontarla e poi di tradurla nelle proprie parole, anche se tenta di non fare questo, tuttavia è in una posizione in cui è difficile non sovraposizionarsi […]il progetto di ibridazione, di meticciamento, di creolizzazione della lingua alla quale devo sottopormi per scrivere insieme è lo stesso col mio collega di lingua rispetto al lavoro che devo fare di ibridazione con gli altri che devono scrivere con me[25]

Che l’altro provenga o meno da un altro paese passa, dunque, in secondo piano poiché è comunque altro da me-scrittore, potrebbe anzi risultare positivo in quanto si affronta l’esperienza della scrittura già preparati all’incontro, al compromesso.

2.4 L’italiano lingua di emigrazione

L’Italia è stata per lungo tempo e, a quanto pare sta tornando ad essere, terra di emigrazione.

Il panorama costituito dai migrant writers di origine italiana è vastissimo e molto variegato, abbraccia Stati Uniti, Brasile, Argentina, Francia, Belgio, Germania, Svizzera, Canada ed Australia,[26] insomma ovunque l’emigrazione italiana sia arrivata.

Spesso non si tratta di opere di grande valore letterario ma sicuramente di valore in quanto testimonianza di un fenomeno socio-culturale che ha coinvolto moltissimi nostri connazionali ed ha, in alcuni casi, profondamente mutato la società e la cultura dei paesi di arrivo oltreché di quello di partenza.

Si pensi a tal proposito al caso degli Stati Uniti ed all’impatto che l’immigrazione italiana ha avuto sulla società, sull’immaginario, sulla lingua prima ancora che sulla letteratura statunitense.

La comunità italoamericana era numerosa, molto attiva e coesa. Fra gli altri, uno degli strumenti di tale coesione fu la stampa, attraverso la quale la comunità stessa cercava di tenere in vita ed alimentare il senso di appartenenza ed il legame con la cultura di origine.

Per avere un’idea della vitalità della stampa italoamericana, basti pensare che il Catalogo collettivo della stampa periodica italo americana (1836-1980) di Pietro Russo ne attesta 2.344 titoli tra i quali spiccano per longevità e diffusione La Follia di New York, Il Carroccio, il Corriere d’America, Il Progresso Italo-Americano e La Parola del Popolo[27].

Dall’incontro tra la cultura del paese di arrivo e quella del paese d’origine nasceva una letteratura fortemente connotata dalle origini italiane degli autori sia per quanto riguarda la lingua, che anche quando è quella inglese ha spesso forti interferenze italiane, che per quanto riguarda i temi, che sono spesso legati alla situazione di vita degli immigrati.

Basti a tal proposito ricordare Luigi Donato Ventura (suo il trilingue Peppino il lustrascarpe), Pietro di Donato (Cristo tra i muratori ispirato alla morte in cantiere del padre), Arturo Giovannitti (Lacrime e sangue), Carlo Tresca e il forse più noto John Fante.

Gli italiani che emigravano alla fine del XIX secolo partivano da un’Italia appena unificata, quale identità italiana potevano quindi portare con sé? Sicuramente un’identità fortemente connotata dalla regione di provenienza.

Si pensi a tal proposito al caso del talian[28], koiné a base veneto-brasileira tuttora parlato da circa 4 milioni di persone, nata durante il XX sec come conseguenza dell’immigrazione nel Rio Grande do Sul di molti italiani provenienti soprattutto dal nord Italia e prevalentemente dal Veneto.

Il talian assurgerà poi a lingua della letteratura popolare, tant’è che proprio in talian verrà scritto il romanzo popolare Vita e stória de Nanetto Pipetta. Nassuo in Itália e vegnudo in Mérica par catare la cucagna, pubblicato a puntate su la “Staffetta Riograndense”, scritto dal frate capppuccino Aquiles Bernardi in cui si narra l’avventura migratoria di Nanetto Pipetta nella lingua in cui l’immigrato-tipo viveva realmente.

Nonostante il silenzio imposto durante il governo di Getúlio Vargas che perseguendo una politica di nazionalizzazione del Brasile fomentò la paura del diverso tanto da rendere necessaria la conversione degli immigrati ad una brasilianità redentrice[29] ed il conseguente abbandono di ogni tratto sia linguistico che culturale che si discostasse dalla norma brasiliana, il talian non scomparve definitivamente ma anzi resistette per poi tornare con rinnovata vitalità che mostra tuttora.

Nanetto Pipetta ha una tale fortuna che oltre a conquistare un posto d’onore nell’immaginario popolare, ragion per cui entra nella tradizione orale della comunità immigrata, nel 1975 viene ripubblicato con, in appendice, il primo Dicionário Vêneto Sul-riograndense-Português.

Il talian continua ad essere vivo e vitale sia come lingua parlata che scritta, esistono diversi siti, riviste e radio animati dalla comunità brasiliana di origini italiane, che utitlizzano questa lingua anche per mantenere il legame con le proprie radici .

Dopo queste brevi considerazioni sulla letteratura prodotta dagli emigrati italiani sorge spontaneo il paragone con quella prodotta dagli immigrati in Italia.

Prendendo ad esempio due autori molto diversi, ma accomunati dal fatto di essere universalmente conosciuti, di origini italiane ma che hanno scritto e vissuto in altre lingue ed in altri paesi ci si pone la questione: quanto conta l’italianità in autori di seconda generazione come John Fante e Jean-Claude Izzo?

Sono esclusivamente autori immigrati? Sono esclusivamente statunitense il primo e francese il secondo o sono già il frutto di quel meticciamento che in Italia è ancora in corso?

2.5 L’italiano lingua di immigrazione

Poiché, come già accennato, il passato coloniale italiano è stato alquanto particolare non ha influenzato allo stesso modo di quello di altri paesi i movimenti migratori successivi.

La provenienza dei migranti in Italia è alquanto eterogenea, essa non è la meta scontata della migrazione dalle ex-colonie come succede ad esempio in Francia, Inghilterra ed anche Portogallo. Quindi, nella maggior parte dei casi, l’italiano era una lingua sconosciuta prima dell’esperienza migratoria.

Dunque per molti autori immigrati di prima generazione la questione della lingua si poneva in maniera piuttosto problematica per la vita quotidiana ancor prima che per l’eventuale produzione letteraria.

Ed è proprio in opere appartenenti alla cosiddetta letteratura nascente che questa difficoltà linguistica viene meglio rappresentata, si prendano ad esempio questi due passi Amara Lakhous e Christiana de Caldas Brito tratti rispettivamente da Divorzio all’islamica a viale Marconi e Ana de Jesus:

«Amico mio, bassato trobbo timbo. Che biacere reviderti».

«Biacere mio».

«Ma duvi stato Barma?».

«no Barma, Barigi. Sono stato bir lavoro».

«Ancura fari bezzaiolo?».

«Si, diventatu ezberto bizze».

«Dimme un bù, fa sembre bereghiera?».

«Certu, bereghiera molto emburtante. Secondo bilastru dell’Islam».

«Comblimenti! Tu vero musulmano bratecanti».

«Tu comi stai?».

«Oggi non a bosto».

«Ce l’ho broblemi con estomaco».

«Berchè? Cosa mangiato branzo?».

«Bollo batatine, berò trobbo beccanti».

«Borca miseria!».

«Stomaco come molie, non ti lascia nella bace».

«Ce l’hai berfettamente ragione. Hahahahaha »[30].

Nel  primo viene magistralmente rappresentata l’interlingua utilizzata dagli immigrati di origine nordafricana, si veda e a tal proposito la voluta confusione tra le vocali e ed i ad esempio in bratecanti o in beccanti, ed in particolare egiziana, facilmente identificabile grazie alla completa sostituzione del fonema [p] con il fonema [b].

«Signora , io non trovo bene qui.

No. Non subito così. Meglio un po’ alla volta.

Permesso signora? Desidero parlare. Io tengo piccolo problema e voglio risolvere con te.

Sì, quando lei sveglia, va bene.

Buongiorno, signora. Dormido bene? Io? Non dormido bene.

Ma non domanda mai come dormido io. Parlo in pranzo.»[31]

Nel secondo estratto troviamo invece un primo esempio del portuliano, risultato della mescolanza tra portoghese ed italiano, utilizzato spesso da Christiana de Caldas Brito per far parlare i suoi personaggi.

 

2.6 Primi indizi di meticciamento

Quando il fenomeno migratorio verso l’Italia si consolida divenendo una realtà che, di fatto, è ormai entrata a far parte della società italiana, inizia ad emergere una certa curiosità nei confronti di questi suoi nuovi elementi.

La curiosità verso i nuovi arrivati si incontra con l’esigenza di alcuni di essi di raccontare la propria esperienza, questo fa sì che, nei primi anni novanta, alcune case editrici si occupino di pubblicare una prima ondata di opere, prevaletemente a carattere autobiografico, scritte a quattro mani da autori migranti che si appoggiavano a coautori madrelingua, in quanto la loro competenza della lingua italiana ancora non gli consentiva di scrivere in autonomia.

All’interno di questa prima ondata di libri scritti a quattro mani troviamo il già citato Io, venditore di elefanti. Una vita per forza fra Dakar, Parigi e Milano  di Pap Khouma ed Oreste Pivetta uscito nel 1990 per it tipi di Baldini & Castoldi, Chiamatemi Alì di Mohamed Bouchane, Carla De Girolamo e Daniele Miccione uscito nel 1991 per Leonardo editore, ma anche il già citato Princesa di Fernanda Farias de Albuquerque e Maurizio Jannelli del 1994.

Non tutte queste opere prime sono state seguite poi da altri libri, non tutti questi autori, una volta acquisita l’autonomia dal punto di vista della lingua, hanno poi continuato a scrivere.

Certamente però questa prima ondata di libri scritti da scrittori migranti può essere, in un certo senso, considerata la prima pietra di quella che poi verrà chiamata letteratura nascente o della migrazione in Italia.

Certamente già da questi primi passi la letteratura prodotta da scrittori migranti e gli scrittori migranti stessi sono entrati a pieno titolo a far parte della cultura italiana.

Nel nostro caso, per una evidente esigenza di circoscrivere il campo di indagine, prendiamo in esame anzitutto quei casi di luso-contaminazione che sono oggetto del presente lavoro.

Durante le ricerche per questo lavoro di tesi, mentre leggevo Princesa, non riuscivo a non pensare che quella storia io avevo l’impressione di conoscerla già. Ho pensato che la sensazione di déjà vu fosse dovuta al fatto che avevo già letto parecchie cose a proposito di quel libro, ma non era così, sapevo di conoscere quella storia da molto tempo prima. Poi improvvisamente un pomeriggio d’estate, ascoltando un cd di Fabrizio De Andrè, mi è apparso chiaro il motivo per cui conoscevo quella storia, la conoscevo perché l’avevo già sentita migliaia di volte dalla voce del Faber che così la cantava:

nel dormiveglia della corriera
lascio l’infanzia contadina
corro all’incanto dei desideri
vado a correggere la fortuna

nella cucina della pensione
mescolo i sogni con gli ormoni
ad albeggiare sarà magia
saranno seni miracolosi

perché Fernanda è proprio una figlia
come una figlia vuol far l’amore
ma Fernandinho resiste e vomita
e si contorce dal dolore

Non si tratta infatti di una casualità  se la prima traccia dell’album Anime Salve[32] si intitola Princesa poiché l’ispirazione è stata tratta proprio dal libro di Fernanda/Fernandinho Farias de Albuquerque e Maurizio Jannelli che era stato pubblicato nel 1994 da Sensibili alle foglie, ossia due anni prima della pubblicazione dell’album che è invece uscito nel 1996.

Princesa è il frutto della cooperazione tra il transessuale brasiliano Fernandinho Farias de Albuquerque, il pastore sardo Giovanni Tamponi, e l’ex brigatista Maurizio Jannelli. I tre si conoscono in carcere dove Fernanda racconta la propria storia al pastore sardo per poi fissarla con l’aiuto di Jannelli in un racconto autobiografico in cui verrà mantenuto, in parte, il linguaggio ibrido con cui il racconto ha preso vita fra i tre e che verrà ben reso anche da De Andrè che fa seguire alle dodici strofe in cui racconta, in italiano, la storia, un elenco di parole chiave, per un riassunto emotivo, della vita di Fernanda interamente in portoghese poiché evidentementemente concordava con Christiana de Caldas Brito che sostiene:

chi vive l’infanzia in un paese, se lo porta con se per tutta la vita insieme alla sua lingua [33].

Dopo il periodo di detenzione ed essere stata rimpatriata Fernanda Farias de Albuquerque morirà suicida nel 2000.

La sua storia ha ispirato, oltre alla canzone di De Andrè, il film documentario Le Strade di Princesa – ritratto di una trans molto speciale di Stefano Consiglio uscito nel 1997 al quale partecipa la stessa Fernananda ed il film Princesa diretto da Henrique Goldman uscito nel 2001.

Il libro è stato tradotto in greco, tedesco ed anche in portoghese[34] chiudendo così il cerchio e tornando al punto ed alla lingua di partenza.

Princesa è ormai un simbolo tanto che l’associazione per i diritti delle persone transgender nata a Genova nel 2009, di cui  Don Gallo era presidente onorario, ha preso proprio questo nome.

Prendendo in esame anche il versante del giornalismo televisivo ci imbattiamo in Maria de Lourdes Jesus, infatti tra il 1988 ed il 1994, andò in onda su rai 2 la rubrica del tg2 Nonsolonero, prima trasmissione televisiva italiana ad occuparsi dei temi dell’immigrazione, condotta, per la prima volta da una giornalista immigrata, la capoverdiana Maria de Lourdes Jesus.

Figura interessante è quella di Maria de Lourdes Jesus, arrivata in Italia in giovanissima età da Capo Verde, prosegue qui il proprio percorso di studi dove, nel 1986, consegue una laurea in Pedagogia all’università Salesiana di Roma per poi intraprendere la carriera di giornalista e di scrittrice. Oltre a condurre Nonsolonero per rai 2, condurrà anche Permesso di Soggiorno per Radio Rai e scriverà un libro autobiografico Racordai. Vengo da un’isola di Capo Verde pubblicato da Sinnos nel 1996 che posssiamo già classificare come opera appartenente alla cosiddetta letteratura nascente.

Ricordo ancora un incontro con lo scrittore capoverdiano Manuel Lopes organizzato dalla cattedra di portoghese nel 1995/96 a cui partecipò anche Maria de Lourdes Jesus in cui mi colpì la determinazione con cui raccontava di come l‘OMCVI (organizzazione di donne capoverdiane in Italia) si precoccupasse di organizzare corsi per i bambini di seconda generazione affinchè apprendessero il creolo, cosicchè potessero crescere nuovi italiani consapevoli ed orgogliosi delle proprie origini capoverdiane.

Maria de Lourdes Jesus è tornata a Capo Verde nel 2010, non per questo però perde il suo status di autrice italiana.

Consideriamo, dunque, queste le prime tracce della contaminazione oggetto della nostra indagine.

2.7 Ius culturae?

Le migrazioni hanno caratterizzato la storia dell’umanità fin dalle origini, da sempre l’uomo, così come gli altri animali, ricerca le condizioni migliori per se e per i suoi cuccioli.

Non stupisce che in quest’epoca in cui le informazioni viaggiano così veloci e sono di più facile accesso ed in cui il mondo si è rimpicciolito grazie ai trasporti ed alle comunicazioni, anche le migrazioni ne vengano influenzate e divengano parte integrante della società liquida[35] in cui tutti viviamo.

Poiché la cultura è un sistema aperto sempre soggetto a nuovi stimoli ed apporti esogeni è assolutamente normale muti col mutare della società di cui è prodotto.

Quindi così come le migrazioni verso altri paesi e le migrazioni interne hanno già portato il loro contributo all’evoluzione della cultura italiana, ora stiamo assistendo ad un’ulteriore evoluzione nel segno del meticciamento.

Non possiamo infatti pensare che la mutata composizione della società che produce una certa cultura non porti ad una mutazione della cultura stessa.

La mia tesi e che il mondo si creolizza, cioè che le culture del mondo, messe oggi in conttatto in modo simultaneo e assolutamente cosciente, cambiano scambiandosi colpi irrimediabili e guerre senza pietà, ma anche attraverso i progressi della coscienza e della speranza che permettono di dire – senza essere utopici o, piuttosto, accettando di esserlo – che le umanità di oggi abbandonano, seppure con difficoltà la convinzione molto radicata che l’identità di un essere sia valida e riconoscibile solo se esclude l’identità di ogni altro essere[36].

Quindi la creolizzazione dell’Italia porta ad una conseguente creolizzazione della cultura italiana, cosa che non dovrebbe stupire poiché ogni migrante porta con se un bagaglio culturale per cui si deve trovare lo spazio nell’armadio della cultura d’arrivo.

Cultura è come siamo stati allevati e come alleviamo i nostri figli, cosa e come cuciniamo, la gestualità, la mimica, la distanza prossemica, come organizziamo il nostro spazio abitativo, la gestione delle relazioni familiari e sociali, eccetera nonché il modo di intendere la salute, la malattia e il nostro destino.[37]

A tal proposito è molto interessante provare ad esaminare la questione dal punto di vista dell’etnopsichiatria, prendendo in esame ad esempio l’approccio di Marie Rose Moro che, all’ospedale Avicenne di Bobigny, da anni dirige un servizio di consultazione transculturale e che  propone un’approccio, per alcuni aspetti in contrasto col modello di integrazione alla francese, in quanto si sostiene la necessità di riconoscere la diversità dell’altro, diversità che viene riconosciuta come valore in se e per se e che viene restitutita all’altro affinchè possa servire da fondamenta nella costruzione dell’identità meticcia sia del migrante che del paese d’accoglienza.

La creolizzazione esige che gli elementi eterogenei messi in relazione “si intervalorizzino”, che non ci sia degradazione o diminuzione, sia dall’interno che dall’esterno, in questo reciproco, continuo mischiarsi […] La creolizzazione è il meticciato con il valore aggiunto dell’imprevisto[38].

Per un incontro sano tra le culture protagoniste di ogni migrazione è dunque necessario un mutuo riconoscimento di valore, cosa che avviene nella consultazione transculturale e che ci si auspica avvenga anche nell’incontro quotidiano dei differenti componenti delle odierne società multiculturali.

Respingo a priori la separazione tra la cultura originaria e quella del paese di accoglienza o una irriducibile specificità. In effetti, nella situazione migratoria, è l’identità dei migranti come quella di chi accoglie che si modifica e si arricchisce attraverso un contatto rispettoso con l’altrui: bisogna davvero concepire questo processo come un processo a specchio. La scelta di ognuno, migrante e ospitante, di prendere e lasciare certi aspetti della propria cultura o di quella altrui, conduce a una profonda contaminazione e una grande diversità in seno alla società attuale…[39]

È quindi necessario riconoscere diritto di cittadinanza all’interno della cultura italiana ai nuovi aspetti portati dai migranti, in questo senso possiamo dunque parlare di ius culturae, come diritto di riconoscersi nella cultura di accoglienza e di vedersi riconosciuto il diritto di partecipare alla sua evoluzione.

2.8 Ius linguae?

Viene frequentemente portata, come prova dell’italianità delle seconde generazioni  la loro padronanza dell’italiano ed il fatto che siano state scolarizzate in Italia.

…si può dire che le conseguenze del bilinguismo, siano esse positive o negative, sono strettamente connesse all’apprezzamento sociale del fenomeno, e sono legate in particolare al valore attribuito alle lingue del repertorio del parlante, al livello socio-economico del parlante bilingue, al prestigio sociale del gruppo di appartenenza del bilingue[40].

Il bilinguismo delle seconde generazioni spesso è un bilinguismo sottrattivo in cui la L1, gode solitamente di un minore prestigio sociale rispetto alla L2 con tutti i problemi correlati a questa situazione impari.

Nelle famiglie migranti i figli sono il trait d’union tra le due realtà, tra il prima e il dopo l’esperienza migratoria, si trovano a fare da tramite tra le due culture e tra le due lingue e, a loro volta,

…chiedono a madri e padri di essere padroni dei due mondi: è apprezzato l’adulto genitore che comunica efficacemente nella nostra lingua, “cresce” professionalmente, si mimetizza e ibridizza (nei limiti del possibile) nella nostra realtà. Ma e anche oggetto di stima chi mantiene i suoi legami con il passato, propone valori antichi, esprime una rivendicazione alla sua ethnicity. [41]

La doppia appartenenza è, evidentemente, un tema centrale dell’esperienza migratoria.

Così come lo è quello della lingua per le prime generazioni che, quando appresa ad un livello sufficiente, è strumento di integrazione  ed, a volte, ostentata come simbolo della volontà di appartenenza alla società d’arrivo;  o al contrario, quando non appresa ad un livello suffficiente, di dichiarazione di estraneità e di appartenenza ad una cultura altra.

Interessante l’approccio al tema operato dalla sociolinguistica della migrazione che analizza quanto gli aspetti linguistico-comunicativi della migrazione siano influenzati sia da fattori extralinguistici quali il tipo di migrazione e lo status della comunità di appartenenza che da fattori prettamente linguistici quali la distanza linguistica tra L1 ed L2, il grado di standardizzazione della L1 e la differenza di prestigio fra le lingue del repertorio degli immigrati.

Quello che però interessa stabilire in questa sede è quanto la lingua dia diritto di cittadinanza oltre che all’interno di un paese, all’interno di una cultura e di una letteratura.

[1] Armando Gnisci, Itagliani in “Kúmá n.17 dicembre 2009 http://www.disp.let.uniroma1.it/kuma/critica/kuma17gnisci.pdf

[2] Armando Gnisci, Traducendo il mondo in L’educazione del te, Roma, Sinnos, 2009, p. 88.

[3] Édouard Glissant, Poetica del diverso, Meltemi, Roma, 1998, pag 15.

[4] Fernanda Farias de Albuquerque, Maurizio Jannelli , Princesa, Roma, Sensibili alle foglie, 1994

[5] Io, venditore di elefanti. Una vita per forza fra Dakar, Parigi e Milano, Pap Khouma, Oreste Pivetta a cura di , Milano, Baldini & Castaldi, 1990.

[6] Massimo Livi Bacci e Giovanni Errera,  Intervista sulla demografia. Sviluppo sociale, migrazioni, globalizzazione e politica, Etas, Città di Castello (PG), 2001, pp.121-142

[7] Società Geografica Italiana, Fabio Amato a cura di, Atlante dell’immigrazione in Italia, Carocci, Urbino, 2011

[8] Entrate definitivamente nell’immaginario comune con il film Lamerica di Gianni Amelio del 1994.

[9] Massimo Livi Bacci, In cammino. Breve storia delle migrazioni. Il Mulino, Bologna, 2010, p.79

[10] Ibid p.81

[11] Dossier Caritas/Migrantes 2012

[12] La presenza brasiliana in Italia. Compendio statistico.  Pubblicato sul sito del Consulado Geral do Brasil em Roma e consultabile al seguente indirizzo http://www.consbrasroma.it/outras/RelatorioCaritas.pdf

[13] Jesus Maria de Lourdes, Racordai. Vengo da un’isola di Capo Verde, Sinnos, Roma 2002

[14] dati consultabili sul sito dell’Istat all’indirizzo: http://www.demo.istat.it/str2010/index.html

[15] ibid

[16] Raffaele Taddeo, Letteratura nascente . Letteratura italiana della migrazione. Autori e poetiche in “Sagarana”, numero 24, luglio 2006, consultabile on line: http://www.sagarana.it/rivista/numero24/nuovilibri2.html

[17] Armando Gnisci, Creolizzare l’Europa: letteratura e migrazione, Meltemi, 2003, pag. 75

[18] Ibid pag.79

[19] Gnisci Armando Itagliani “Kúmá” numero17, dicembre 2009, consultabile on line: http://www.disp.let.uniroma1.it/kuma/critica/kuma17gnisci.pdf

[20] Da un’intervista di Maria Cristina Mauceri ad Igiaba Scego, dal titolo Igiaba Scego: la seconda generazione di autori transnazionali sta già emergendo, “el-ghibli”, anno 1, numero 4, giugno 2004, consultabile on line: http://www.el-ghibli.provincia.bologna.it/id_1-issue_01_04-section_6-index_pos_1.html

[21] Gnisci Armando, Creolizzare l’Europa. Letteratura e migrazione. Roma, Meltemi, 2003, pag. 91

[22] Russo Vincenzo, Il monolinguismo dell’altro: subalternità, voce e migrazione, “Altre Modernità” N.2 10/2009, Dipartimento Scienze del Linguaggio e Letterature Straniere Comparate dell’Università di Milano, pp.79-89

[23] “Abbiamo imparato tanto da questa avventura, per esempio che sì, non siamo né carne né pesce ma uovo…però un uovo di struzzo, gigante, bello, unico. Un mix che questo paese non può più ignorare” Ingy Mubiayi e Igiaba Scego in Quando nasci è una roulette. Terre di mezzo, Milano, 2007.

[24] wu ming 2 e Antar Mohamed, Timira. Romanzo meticcio, Torino, Einaudi, 2012

[25] wu ming 2, alla ricerca di una scrittura meticcia: lingue, trame, autori, collettivi, “El Ghibli” Anno 10, Numero 41, Settembre 2013

http://www.el-ghibli.provincia.bologna.it/id_1-issue_10_41-section_6-index_pos_4.html

[26] Per un panorama della letteratura italiana della migrazione si veda Martino Marazzi, Letteratura dell’emigrazione e mito americano, Franco Angeli, Milano, 2011

[27] Martino Marazzi, Misteri di Little Italy. Storie e testi della letteratura italoamericana, Franco Angeli, Milano, 2001

[28] Gianpaolo Romanato, Parlavano “Talian”. Cambiarono il Brasile, in “Visioni LatinoAmericane” rivista del Centro Studi per l’America Latina Numero 1, Luglio 2009 pp. 30-31, consultabile on line: http://www.openstarts.units.it/dspace/bitstream/10077/5071/1/Romanato_VisioniLA_1_2009.pdf

[29] Luis Fernando Beneduzi, Etnicità, immaginario sociale e caccia alle streghe: gli immigrati italiani e la politica di nazionalizzazione del sud del Brasile (1930-1945) in “Deportate, Esuli e Profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile”, numero 11/2009, pp. 112-130, consultabile on line:  http://www.unive.it/media/allegato/dep/n_1speciale/08_Beneduzi.pdf

[30] Amara Lakhous, Divorzio all’islamica a viale Marconi, edizioni e/o, Roma 2010

[31] Christiana de Caldas Brito Ana de Jesus in Amanda Olinda Azzurra e le altre, Lilith Edizioni, Roma, 1998

[32] Fabrizio De André, Anime Salve, BMG Ricordi, 1996

[33] Christiana de Caldas Brito, Che cosa vuol dire essere uno scrittore migrante? In Diaspore europeee e lettere migranti, a cura di Armando Gnisci e Nora Moll, Edizioni interculturali, Roma, 2002

[34] Fernanda Farías de Albuquerque e Maurizio Jannelli, A Princesa – Depoimentos de um travesti brasileiro a um líder das Brigadas Vermelhas, Editora Nova Fronteira, Rio de Janeiro, 1995.

Fernanda Farías de Albuquerque e Maurizio Jannelli, Princesa, Ekdoseis Delphini, Atene, 1994.

Fernanda Farías de Albuquerque e Maurizio Jannelli, Princesa – Ein Stricherleben, Rotbuch Verlag, Amburgo, 1996.

[35] Zygmunt Bauman, Modernità Liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002.

[36] Édouard Glissant, Poetica del diverso, Meltemi, Roma, 1998, pp. 13 e 14.

[37] Wanda Ielasi, Come pesci nell’acqua. Elementi di etnopsicologia clinica, “Rivista di Psicologia dell’Emergenza e dell’Assistenza Umanitaria. Quadrimestrale della Federazione Psicologi per i Popoli”, Anno 1, Numero 1, Settembre 2007, consultabile on line: http://www.psicologiperipopoli.it/files/Numero%201.pdf

[38] Édouard Glissant, Poetica del diverso, Meltemi, Roma, 1998, pag 16.

[39] Da un intervista di Cristina Simonini a Marie Rose Moro consultabile sul sito della Socetà Psicoananlitica Italiana: http://www.spiweb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=68:intervista-a-marie-rose-moro&catid=42&Itemid=162

[40] Maria Cecilia Luise, Italiano come lingua seconda. Elementi di didattica. De Agostini, Novara, 2006.

[41] Duccio Demetrio e Graziella Favaro, Immigrazione e pedagogia interculturale. Bambini, adulti, comunità nel percorso di integrazione, La Nuova Italia, Scandicci (FI), 1992.