Vite senza permesso

Manuela Foschi
Vite senza permesso
EMI     2009

raffaele taddeo

Un campettino da vangare, un nido
da riposare: riposare, e ancora
gettare in sogno quel lontano grido:
Will you buy… per Chicago Baltimora.
Buy images… per Troy, Memphis, Atlanta,

Will you buy era, come scrive Pascoli nella poemetto Italy, il grido degli italiani che espatriati negli Usa e in ristrettezze economiche non facevano altro che affrontare, inizialmente, le loro difficoltà facendo i venditori ambulanti. Will you buy è sovrapponibile al  “vu’ cumprà” ripetuto dagli stranieri che sono giunti e giungono in Italia e che, come prima occupazione che possa dare loro un minimo di che vivere, si danno all’attività di venditori ambulanti. La  precarietà degli italiani negli USA era uguale se non peggiore, ma da noi esiste l’aggravante della condizione di “clandestinità”, ora divenuto assurdamente anche reato.  Già Pap Khouma e Saidou Moussa Ba avevano messo a fuoco come la posizione di clandestino conduceva chi arrivava in Italia ad una vita di semischiavitù e di continua paura.
Il libro di Manuela Foschi ripropone una panoramica della condizione degli stranieri in Italia ove la situazione di clandestinità come momento iniziale di arrivo e di permanenza in Italia è un fatto costante che si ripete.
“Si vive male da clandestini, si è perennemente in fuga”, dice uno degli intervistati che pur in Italia dal ’92, è ritornato, dopo varie vicissitudini ad essere senza permesso di soggiorno, così che l’aver soggiornato in Italia 18 anni non è stato sufficiente ad aver acquisito il diritto di soggiorno. Si scopre così l’assurdità di normative e inciampi burocratici capaci di distruggere vite e ricacciarle in precarietà e subalternità.
Nel “Nuovo immaginario italiano”  si  afferma che “i testi letterari italiani…si adeguano alla propaganda allarmistica”  portata avanti specialmente dai media. Il libro della Foschi, da questo punto di vista, è in controtendenza perché propende il più possibile ad eliminare ogni traccia di possibile allarmismo per gli autoctoni, allarmismo che viene coniugato  alla condizione di clandestinità dello straniero.
“Vite senza permesso” non è ancora un testo letterario perché le storie proposte dei singoli sono comunque segnate da un substrato di risposte a domande, non esplicitate, ma avvertibili, ma non è neppure un semplice testo di ricerca sociologica perché comunque predomina il narrare, il raccontare la propria esperienza.
Pur in uno schema ravvisabile nel configurare l’esperienza del migrante a partire dalle cause della partenza, alla modalità del viaggio, alla prima condizione di inserimento e alla modalità di integrazione, i fatti raccontati sono molto differenti e fanno emergere una varietà di situazioni migratorie spesso legate proprio alla diversità dei luoghi di provenienza, ma anche alla condizione e ai luoghi d’arrivo in Italia.
Perché un conto è arrivare in una metropoli o in un piccolo paese, così come diverso risulterà il rapporto con gli autoctoni a seconda che si arrivi in una città del meridione o in una città del settentrione.
Come si arriva in Italia? In tanti modi e il libro di Emanuela Foschi ci dà uno spaccato della varietà del percorsi che si fanno, dai più semplici come quello di arrivare con un aereo a quelli più difficili come essere in un barcone per giorni e giorni al buio senza sapere dove si andava.
Ma anche in tanti modi ci si integra; c’è chi raggiunta una certa agiatezza trova la sua ragion d’essere, ma c’è anche chi fa esperienza sindacale e politica e partecipa allo sviluppo del paese coscientemente. Allora si scopre che  il razzismo è dato dalla condizione sociale, fatto che è alla base di ogni discriminazione.
Se l’intento del libro era quello di contribuire a rasserenare gli animi nei confronti degli stranieri con o senza permesso di soggiorno, certamente lo scopo è raggiunto da parte di chi legge sperando che conseguentemente anche i comportamenti siano coerenti e meno ansiosi nei confronti della presenza degli stranieri.