Zombretto
Shlick-shlock, shlick-shlock… sembrano dire i refrain che il mare canta alla terraferma. Dahmàn è su uno scoglio e li sta ascoltando con profondo piacere.
La luna è piena ma, per verecondia o per paura del malocchio, preferisce velare un po’ lo splendore del suo volto.
Shlick-shlock, shlick-shlock… echeggia Dahmàn al mare mentre si chiede dentro di sé “riuscirà la luna ad allontanare le fatture dei cattivi invidiosi?”
Tra un sorso e l’altro di un buon vino palpitante, cerca di scrutare la notte pensando al misterioso divenire delle cose e di se stesso, soprattutto.
Ha il torso nudo avvolto nella brezza della notte, guarda attraverso l’azzurro scuro del cielo e delle onde il disco argenteo infranto in una scia di schegge di luce.
Quando la noia lo spinge a trascorrere in solitudine alcuni momenti con una bottiglia di vino, Dahmàn si rifugia in quest’angolo di scogliera deserta per la stagione e per la notte. Solo questo angolino conosce il segreto di questo solitario.
Questa sera però è finito qui perché aveva appena litigato per l’ennesima volta con l’ennesimo marocchino.
“Non fanno per me” aveva confessato una volta a un suo amico connazionale. “Non li soffro proprio anche se me li strizzano nel naso… non li mando giù proprio.”
Era fuggito quindi lontano dai campi di pomodori dove trascorreva delle giornate vuote ed inutili, fino ad una piccola marina.
Questa sera durante una grande sbronza è arrivato alle mani con un altro marocchino. Se l’intervento dei presenti è riuscito a separarli, il risentimento è rimasto, anzi è aumentato. E ciò che lo fa arrabbiare ancora di più è la sua condizione di essere un insofferente impotente.
“Che cosa ho in comune con loro, sporchi, mendicanti, cafoni?” pensa mentre il sangue nelle vene gli bolle.
Né la solitudine della notte, né la scia delle luci danzanti, né l’inebriante calore che il vino continua ad infondere nelle sue vene riescono a distoglierlo dal pensare al marocchino, anzi ai marocchini “È colpa loro se il mondo civile continua a trattarci come degli animali, a non guardarci, a diffidare di noi, a schernirci.”
Ora singhiozza e per tutto il resto della serata piange. Piange anche perché non trova niente da fare contro la sua condizione d’essere lui stesso un marocchino, o così come lo si percepisce da fuori.
Lui ovviamente è pulito, sempre profumato e veste solo vestiti di marca, “grifa!” come dice lui vantandosi.
Alcuni suoi amici italiani hanno scoperto il segreto della sua sofferenza esistenziale e si sono messi a prendersi gioco di lui. Lo stuzzicano, i crudeli, fingendo la confusione “là giù, da voi in Marocco…” “Marrakech è molto bella, purtroppo è piena di gente sofferente e di mendicanti…” ma non fanno che isolarlo ancora di più e rafforzarne l’odio per i marocchini.
“Che cosa ho in comune con loro? Uno straccio di lingua che non è né mia né loro?” chiede a se stesso, alla cieca notte, al sordo mare, alla lontana luna.
Non sente più la sinfonia delle onde né vede lo splendore del fiume di luce che nasce nel cielo aldilà della linea d’orizzonte e finisce sotto i suoi piedi.
E prosegue “Il color della pelle, forse? L’islam? Ma io ho l’aria di un mussulmano? Ah ah, lasciatemi ridere!”
È una guerra tra poveri, donchisciottesca, di cui non può disfarsi. Ma questo, Dahmàn non lo sa evidentemente perciò riesce sempre a trovare motivo per litigare coi marocchini veri, non quelli scambiati per tali.
Gli ritorna in mente con più chiarezza il ragazzo con cui ha litigato “E poi, dove vive, in un buco da topo! Lo brucerei vivo, il coglione, lui e il suo buco da topo…”
Svuota il bicchiere e si sente un po’ meglio, stranamente. E allora aggiunge un pizzico d’ironia alle risposte che lui stesso dà alle proprie domande “Siamo uguali solo perché ci mangiamo i maccheroni e la pizza? Perché condividiamo i campi dell’infame pomodoro? No, io sono ben algerino, figlio di tre secoli di cultura turca e di centotrentadue anni di quella francese. No, io non posso essere marocchino… piuttosto mi brucerei vivo.”
Di fronte ad una tale accusa, tragica accusa, la sua ironia non resiste e diventa una vera arringa intarsiata d’insulti, di sputi e di delirio completo ogni volta che si ricorda d’essere stato confuso con quella gentaglia rozza e morta di fame, vergogna dell’umanità…
“Chiedete ai marocchini di scrivervi “A” o “BA” e vedrete che sono meno di un asino. Quanto al deodorante, loro non sanno proprio cosa sia” borbotta quasi.
Finita la bottiglia, Dahmàn la rimette nello zaino, dispiega un sacco a pelo gonfiabile a forma di tuta da astronauti e rimane lì per un po’ ancora a guardare la schiuma e le schegge della luna infranta sulle irrequiete onde.
La serenità della notte finisce per aver ragione della sua agitazione e sente il sonno invadere i suoi occhi. Riprende il sacco a pelo e si mette a soffiarci dentro.
Gli è attaccato “come il bimbo al seno. No, mi correggo, come l’amante alla bocca dell’amante”.
Mentre man mano l’aria percorre il saccopelo, Dahmàn s’accorge che questo si anima, si torce, si raddrizza, si allunga e cambia posizione cercando di districarsi in mezzo alle protuberanze e ai rilievi degli scogli.
Lui si meraviglia e pensa “Come il cazzo… è una vera erezione! E dire che siamo stati noi ad inventare le cose! Siamo geniali, sì, ma nel plagiare la natura”.
Si rinchiude dentro e si arrende al salvifico oblio del sonno mentre dall’alto dei cieli la luna lo veglia e, da sotto, le onde lo cullano con il loro shlick-shlock uguale e continuo.
I rilievi duri e pungenti degli scogli non tardano a svegliarlo e cacciarlo via da lì. Rimettendo a posto la sua conchiglia di sacco a pelo nello smisurato zaino, si accorge di una boccia di alcool che lui riserva ai giorni d’indigenza in cui gli manca il vino. Infatti in situazioni del genere, ci aggiunge un po’ di aranciata e lo beve. Al paese suo questo cocktail ha un nome, zombretto.
Si accorge anche di un accendino e quindi si ricorda di una sigaretta… non è che sia un grande fumatore, ma in quel momento sente una grande voglia di fumare.
Non fa in tempo di finire la sigaretta che scorge la casupola del marocchino fatta di tavole ed assi di legno ed altro materiale di fortuna, plastica e roba varia.
Dahmàn mette giù lo zaino, tira fuori la boccetta di alcool, cosparge la baracca e le dà fuoco.