Scriverò una storia allegra adesso, devo ricordare le emozioni di un tempo. Ne provavo, sono certo. In un attimo stavo bene. Anche quando guardavo i granchi arrancare sulla spiaggia incontro alle onde. Con poco stavo bene. Era come una leggerezza, mi sembra.
Lo scrittore pensa questo. Ha appena finito di correggere le bozze del suo ultimo libro. Un romanzo sulla vecchiaia. Insudiciato per giorni e giorni dalla vita senza speranza di vecchi ricoverati in un ospizio, deve pulirsi. E’ un uomo di mezz’età, ha gli occhi scuri tagliati come gli arabi, l’unica cosa bella che ha. Ma molto bella.
Scriverò dell’amore. A volte fa ridere. Devo ricordare com’era. Eppure sono stato innamorato.
Com’era quello che sentivo? Un vuoto d’aria. Un puzzo intenso?
Lo scrittore guarda dalla finestra, è mattino. In una notte tutto è fiorito. C’è più luce. Molti uccelli chiamano. Sorseggia il tè. Si allontana e si avvicina alla finestra. Più cielo, meno cielo più mimosa. Gioca a cambiare il punto di vista.
Scriverò della primavera. Ne hanno già scritto in tanti. È allegra. Una volta ero eccitato in questa stagione. I profumi, i germogli, lo scoppiare forte dei temporali. Eccitato in senso fisico. Proprio voglia di generare intendo. Non una metafora. Ora non sento niente.
Lo scrittore mette a scaldare un altro po’ di acqua, ha ancora bisogno di tè. Forte e ben caldo. Le stanze sono fredde nelle stagioni intermedie. Si sta meglio fuori al sole.
Potrei raccontare dell’amicizia. Ho avuto una grande amica. Lei mi deve aver fatto ridere qualche volta. Gli amici fanno anche ridere, mi sembra. Magari qualcosa che è successo ad una cena potrebbe suggerirmi una storia allegra. Qualcuno che si è confessato dopo aver bevuto troppo vino. Ci sarà pure stata un’occasione.
L’acqua bolle. Lo scrittore con i calzini blu e i piedi magri riempie la tazza. Inghiotte un sorso di tè bollente e guarda il quadro con le cipolle e il secchio di rame. Era sempre stato suo, prima nella casa della sua famiglia, adesso lì.
Scriverò di quando ero bambino. Mia nonna aveva un secchio uguale a questo. Era diventato nero, stava attaccato al gancio del camino. Scriverò di quando, alla sera, cercavamo per i campi il fantasma di Nacco il cavallo bianco. Qualcosa dovevo provare quando tornavo a casa per cena senza averlo trovato. Dovrei ricordare anche qualche storia che mi raccontavano. Doveva piacermi starle a sentire. Saranno state allegre quelle.
Sulla scrivania, vicino al computer, c’è una foto. E’ in bianco e nero, ingiallita. E’ lo scrittore quando era bambino. Avrà otto anni. Prende gli occhiali e osserva il piccolo. C’è uno specchio lì accanto. E’ grande e ovale, ha una cornice come onde tinte d’oro. Come riccioli di un putto. Con la foto in mano si specchia. E’ quasi vecchio.
Dov’è quello che sentivo quando ero così? Quando l’ho perduto? Dovevo essere felice allora, mi volevano bene tutti. Potrei scrivere di questo se mi tornasse in mente.
Lo scrittore accende la luce sopra lo specchio. E’ a basso consumo, ci mette un po’ a diventare chiara. Adesso si avvicina molto, si guarda negli occhi. Alza la foto, l’appoggia alla mascella e sta lì immobile, spostando solo lo sguardo per spiare se stesso da piccolo. E’ in attesa.
Il bimbo dovrà contagiarlo, dovrà alla fine, restituirgli il ricordo di quell’emozione persa indispensabile per scrivere una storia allegra. Per questo aspetta.
Bussano alla porta. Deve essere il postino.