Racconti e poesie

Questa non è una lettera al presidente della repubblica

Testo tratto liberamente da La trottola, romanzo inedito di Abdelmalek Smari
Si séduire les démons
est tentant
Que dire d’aimer
les anges ?!

“Ti piace?” chiede Noor a Nabil “è di un mio amico…”
Nabil dice di sì pensando alle parole.
“Sei geloso?” lo rimprovera Noor “non devi… allora non mi vuoi… dì la verità.”
Nabil tace.
“Vedi che non vuoi pronunciarti…” Lo guarda con insistenza negli occhi.
Sono sul treno per un nuovo viaggio insieme ad Algeri. Accanto alla porta c’è un signore anziano che sonnecchia e ronfa di tanto in tanto.
Stretti l’uno all’altro, i due amici ascoltano la musica uno con l’auricolare destro, l’altro con il sinistro.
Noor tira fuori dalla sua borsa un piccolo astuccio. Un foglio piegato in quattro scivola fuori dalla borsa. Lo rimette al suo posto, tirando fuori un lecca-lecca rosso a forma di foglia di ciliegia e, con una sorta di ritualità, toglie via il cellophane.
Introduce poi la foglia rossa in bocca e subito dopo la tira fuori e la offre a Nabil.
“No, prima tu. Intendo… dammela alla fine” dice l’amico.
Noor dice di no con la testa guardandolo fisso negli occhi mentre il suo viso sprigiona un sorriso. Nabil sente impetuoso il sangue affluirgli dappertutto turbandone il quieto fantasticare.
Tende la mano.
Noor ripete lo stesso gesto e con la bocca gli avvicina il confetto.
Non gli resta che prendere il confetto con le labbra, assaporandone l’odore e il gusto mischiato all’alito di Noor.
Nabil lo afferra con le labbra e se lo mette in bocca.
Noor continua a guardarlo negli occhi col viso ravvicinato, poi con un gesto lento ma deciso gli toglie il confetto, glielo mette in mano e, veloce veloce, gli imprime un bacio sulle labbra.
Nabil sente un breve ma violento giramento di testa e chiude gli occhi.
Noor gli dà un altro bacio, questa volta lungo e appassionato.
Così, in questo gioco, tra baci e carezze il lecca-lecca si riduce ad un nudo bastoncino che i due ragazzi ora si contendono coi denti ridendo.
Il signore accanto a loro si sveglia e si mette a guardali con occhi sbarrati.
Di colpo Nabil toglie l’auricolare e lo mette all’orecchio dell’amico, tira fuori un libro e si mette a leggere.
Noor si appoggia al finestrino, chiude gli occhi e si perde al ritmo della sua musica. Improvvisamente, come se si fosse ricordato di qualcosa, riprende la borsa e ne tira fuori il foglio, lo apre quindi e si mette a percorrerlo.
Nabil alza lo sguardo.
“Leggi un po’ questo…” gli dice Noor porgendogli il foglio.
“Cos’è?” chiede Nabil incuriosito e legge con le labbra “No alla falsificazione della storia !”
“È il titolo provvisorio” spiega Noor “Le mie compagne ed io stiamo scrivendo una lettera aperta al presidente della repubblica per sensibilizzare la politica alla nostra causa…”
La lettera è scritta a mano e la scarsa luce del treno non è di grande aiuto a Nabil che cerca di leggerla.
“Signor Presidente, è giusto e, anzi, doveroso salvare la memoria del nostro paese, soprattutto in questi tempi in cui parecchi artefici della nostra rivoluzione sono morti senza aver potuto dirci nulla della loro gloriosa lotta.
È doveroso anche, oltre alla necessità vitale di trasmettere alla generazione attuale e a quelle future il significato e gli insegnamenti della loro lotta per la libertà e la dignità, ricordare l’uomo e la donna algerini che hanno combattuto l’oppressione coloniale. Le donne di più, perché hanno condotto contemporaneamente due battaglie: la prima per liberarsi dal colonialismo, la seconda contro lo stesso fratello per affrancarsi dall’infamante statuto di eterna minorenne che le condannava tutta la vita a custodire le tradizioni a scapito della ragione e del progresso.
Ma quid di noi?
Ad epoca nuova, causa nuova. Anche noi giovani abbiamo una nostra oppressione a cui dobbiamo opporre lotta e resistenza.
In questo ci riteniamo eredi legittimi dei nostri partigiani. Ed eccoci quindi, quasi mezzo secolo dopo la nostra rivoluzione, in dovere d’impugnare di nuovo le armi – per ora, le armi del dialogo pacifico – per strappare una nuova indipendenza, la nostra, per la dignità e l’uguaglianza dei diritti.
Noi, nuovi combattenti per la libertà, denunciamo pacificamente, ma con forza, gli atteggiamenti omofobi, gli insulti, le intimidazioni e la violenza che subiamo quasi quotidianamente. E ci sono parecchie cittadine e cittadini che si riconoscono in questa nostra lotta.
E tutti quanti siamo pronti a salvare la nostra rivoluzione dalle mani dei suoi assassini e a rimetterla di nuovo sul binario della storia correggendone le pagine falsificate da mani traditrici e profanatrici della nostra memoria.
Vogliamo in più porre le fondamenta di una vita di dignità e di libertà per i cittadini di oggi e per quelli di domani. Sarà una lotta difficile ed aspra, lo sappiamo, ma Anche senza speranza, la lotta è già speranza…
Perché siamo gay, signor Presidente?
E già che ci siamo, perché non esserlo? O perché essere etero?
La nostra risposta semplicemente è questa: a parte che da vicino l’essere non può mai apparire normale, possiamo dire che in ogni periodo storico o area geografica, tracce di pratiche etero e omosessuali sono state sempre avvertite. Pratiche poco o per nulla cambiate nel corso dei secoli. Ciò che è cambiato, invece, sono le rappresentazioni che le società se ne son fatte… Ciò significa che è un atteggiamento del tutto naturale ed inerente alle società umane.
Infatti ogni società umana conserva nella memoria collettiva tutte le esperienze di vita degli individui. L’equilibrio della società ha bisogno di questo tira e molla tra quelle varie esperienze antagoniste.
Quando una tendenza prende il sopravvento e rischia di schiacciare le altre possibilità, ormai acquisite e capitalizzate, la società le oppone una forza nuova. È di queste battaglie tra le varie identità che la società garantisce la propria sopravvivenza. Tutte le esperienze dei suoi componenti
non solo possono venire a galla, come i sogni e le fantasticherie dell’individuo, ma possono servire alla propria sopravvivenza.
Ma a prescindere da queste considerazioni antropologiche, per noi l’omosessualità è una messa in scena, un trucco come un altro per ricreare la vita a due e richiamare l’amore che ha abbandonato la nostra infelice società. Come i felini: anche noi inventiamo l’ombra di qualche mosca in volo e facciamo in modo d’inseguirla, arredando così il grande loft della noia di cui questa crudele natura ci ha gratificato… Ecco” dice, chinandosi poi verso l’amico per dargli un bacio “Adesso dormi amore, buona notte!”
Per un po’ di tempo ancora Noor rimane sveglio a pensare al suo “battesimo”.
Ora sorride ai suoi angeli. Sogna. Sta ammirando allo specchio l’immagine di un corpo minuto, il suo corpo. Ha un golfino color rosa e una sciarpa bianca che contrasta col colore scuro dei capelli lisci. Gli occhiali tirati indietro sulla testa che tengono in briglia la folta chioma ribelle. Le sue guance sono rosa e qua e là crescono peli bluastri. Le labbra color vermiglio senza un tocco di rossetto. I pantaloni screziati di un rosso tenue e bianco che tende al rosa. Le scarpe bianche hanno i mezzi tacchi. Una borsetta.
Va avanti e indietro davanti allo specchio in mezzo agli sguardi e alle battute dei compagni che dimenticano di guardarsi allo specchio.
“Brava Annie! Miss subito!” e tutti “An-nie-miss… su-bi-to! An-nie-miss… su-bi-to…” in mezzo al chiasso e agli applausi.
Noor precisa “Io preferisco il nome Noor. Annie suona esotico.”
Un’amica – Warda che, tradotto, fa Rose (alla francese) – si chiede se si è mai sentito parlare di uno che viene dalla Mecca e che si chiama Annie o George.
“Sì” dice pronto Noor “George Bush.”
Si sveglia con questa parola oscena nella bocca. “Siamo arrivati” dice.

II

“Al lavoro ragazze! – dice Demy, l’amante di Noor, caporedattore della lettera al presidente – dobbiamo sbrigarci. Dobbiamo finire questa lettera prima della visita del presidente.”
Infatti i ragazzi hanno il compito di scrivere ognuno in totale libertà un testo da proporre al gruppo e da discutere e confrontare con i testi e le proposte degli altri.
Demy si mette subito a rileggere il precedente paragrafo: “Signor Presidente, i giornali, i marciapiedi, i caffè, le moschee, le scuole, i cyberspazi, l’intimità degli appartamenti, i tassì, gli autobus… tutto è diventato un foro di discussione e di messa in discussione di tutti e di tutto. E l’Algeria sembra a un passo dalla seconda liberazione sociale dopo quella politica. E perché allora, ci chiediamo, la nostra comunità deve venir meno in questo felice ambiente di libertà?”
“Amore” lo interrompe Noor “non è detto che a questa liberazione dalle paure e dalle dittature dovrebbe seguire necessariamente e nell’immediato una rivoluzione sessuale. Occorrono ancora lustri d’evoluzione e d’impegno.”
“Gli algerini” risponde l’amante, serio, “non hanno mai avuto un’educazione sessuale. Sono dei frustrati, ecco perché sono tristi e soffrono. Hanno un modo rozzo di fare l’amore, di celebrare il fatto sessuale: si amano rozzamente, non tollerano le libertà del partner e si separano tragicamente… e tutti ricorrono alla masturbazione e non esitano a violentare le fasce più deboli e indifese. Tutto fa brodo: dalle povere bestie, alle donne e ai bambini e persino ai semplici di mente.
E i più illuminati e osé fra di loro recitano la commedia intra-genere in cui una parte simula il sesso opposto. Ma non è omosessualità. Quella è bestialità…”
“Ma” si chiede un membro “dobbiamo scrivere tutto questo? Il presidente, sempre che riceva la nostra lettera, accetterà di leggerla?”
“Secondo i moralisti” interviene di nuovo Demy senza rispondere all’amico “il nostro modo di essere genera soprattutto sensi di colpa e schizofrenia, ma quest’anomalia è dovuta alle tensioni che esistono tra il richiamo della natura e l’oppressione della cultura…”
“Sarà una bomba” dice uno dei ragazzi.
“Vorrei vedere l’espressione che farà il presidente quando la leggerà!” esclama un suo vicino.
“La leggerà?” si chiede Noor scettico “ se per caso gli atterra in mano, la darà subito a qualcuna delle sue guardie del corpo, come fanno sempre gli uomini preziosi. Ovviamente l’altro farà finta di leggerla, sempre che il postino riesca a valicare la cinto di sicurezza ed avvicinarsi a lui…”
“Sono sicura” dice Rose “che anche il presidente è passato di là a farsi delle seghe o a farsele fare…”
“Dai, vai avanti” dice Noor che mostra insofferenza “Non lasciarti distrarre da questa troia… aggiungi invece questo: se è l’aratro che traccia il solco, è la parola che lo difende. Noi chiediamo soltanto di vivere. Se la vita non è solo divertimento, essa è anche divertimento. Chiediamo anche che la stampa accetti di pubblicare le nostre opinioni e di farci partecipare con dignità ai dibattiti del nostro paese. Siamo giovani e siamo pieni di idee…”
“Ma veramente” dice esasperata Rose “che faccia di lamiera che è questa meccana!”
“Oh la smetti di chiamarmi meccana: siamo tutte checche come te. E allora di che merito ti vanti? Sanno tutti che sei l’ultima arrivata!” detto questo, Noor ritorna a dettare la sua parte “E poi qualcuno si è chiesto perché siamo in ritardo anche in questo campo della civiltà e della dignità?
No, signor Presidente, la gente manca d’educazione e vede in noi solo la parte terminale del tubo digestivo.
“Oooh! Che forza!” esclama Lili.
“Ma chi l’avrebbe mai detto?” ironizza ancora Rose suo malgrado “Per una volta, delle idee davvero hard vengono da una meccana…”.
Noor ci vede invece un complimento e si sente orgoglioso ma sa di non essere un rivoluzionario.
Sa solo che questa sua idea gli era suggerita principalmente dal solco di ferite che l’aratro delle umiliazioni quotidiane aveva tracciato sulla sua pelle. Ma i loro boia non perdoneranno mai loro d’essere ciò che sono: se stessi.

III

“Signor Presidente, perché secondo lei esiste tanta violenza nel nostro paese? Una violenza tale che porta al totale sconvolgimento dei legami di fratellanza e di solidarietà tra i cittadini e che radicalizza il fatale divorzio, ferita di cinque secoli di dominazione straniera, tra governati e governanti, via regale verso lo sfascio del nostro stato e della nostra nazione?
Noi vogliamo la pace, giusto un po’ di rispetto. E ci arriveremo con un pizzico di sacrificio.”
“Sacrificio” dice Lili “No, è una grossa parola. È meglio dire buona volontà…”
Demy approva e va avanti “Con un pizzico di buona volontà da parte di ciascuno di noi.
Le democrazie moderne hanno superato la violenza e se a volte vi ricorrono è solo per autodifesa, ma mai lasciano la giustizia nelle mani cieche e barbare del singolo individuo. La giustizia è una questione di stato e non le insegniamo niente se glielo ricordiamo.”
“Noi, signor Presidente” interviene un altro ragazzo “noi non abbiamo l’abitudine di scrivervi lettere aperte e voi non avete l’abitudine di leggerci, quindi di ascoltarci. Riusciamo appena a stare dietro alla nostra pancia.”
“Ma cosa c’entra questo?” chiede Noor “E chi se ne fotte se hai fame o sete?”
“Deficiente!” protesta il ragazzo “anche quello di non soffrire la fame è un diritto che attiene alla dignità dell’uomo. Poi se il gruppo deciderà… adesso lasciami finire per favore.”
Noor tace e il ragazzo prosegue “Siamo ancora sudditi, non cittadini. Siamo degli esseri con un’infinità di problemi a causa della vostra cattiva governance, senza dimenticare l’innegabile responsabilità delle potenze straniere che vedono nel nostro paese solo una fonte di profitto e di ricchezza.”
“Mizzica” esclama un altro ragazzo “è un vero comizio!”
Rose, che ha appena finito di sistemare le ciglia, prende la parola con aria seria “Invece io preferisco usare il mio stesso corpo come argomento, poiché è di esso che si tratta e che viene investito da tutte le considerazioni, positive come fonte di gioia e di piacere o negative come fonte di dolore e di lacrime.”
Le sue parole stupiscono i presenti che ora l’ascoltano in silenzio.
“Il corpo non è stato sempre “storico”: lo è diventato invece mano a mano che l’uomo è evoluto nel cammino della storia. Pensate solo al trucco: prima fu una curiosità di qualche persona così, tanto per provare, trastullarsi, nascondersi a qualche nemico o forza ostile della natura o degli spiriti che l’abitano. Poi col tempo è diventato uno strumento per nascondere le difformità del corpo, esaltarne le bellezze nascoste o crearne altre. Ed è il corpo che è stato sempre il protagonista e il campo di questi esperimenti…
Per quanto riguarda gli uomini poi, loro hanno delegato quel potere – una specie di magia – ai loro potenti sciamani e stregoni mentre le donne, non inclini alla violenza fisica – non per incapacità ma per sensibilità -, se ne sono appropriate e se lo sono tenuto stretto.
Infatti la donna che s’ingrossa e partorisce col grande dolore di cui i maschi non hanno la minima percezione, sa meglio dell’uomo che cosa significhi soffrire.
Mentre l’uomo che, ignorando la sofferenza vera, inventa la guerra e coltiva la forza bruta, non si perita di mandare a frotte i figli della donna nei campi sterminati della morte e della mutilazione. Comunque la donna ha saputo cogliere questa fonte di bellezza, seppur artificiale, e se ne è fatta un’arma. L’uomo non ha capito presto che la l’uso del trucco può essere un’arma di potere, non avrebbe lasciato la donna appropriarsene. Quando lo capì, si morse le dita. Un portato di questa invidia si è già manifestato nella storia dell’umanità. La prova è che il fatto di truccarsi e di esibire la propria bellezza per la donna è stato sempre considerato dai padri della Chiesa, come dai dottori dell’islam e dagli esponenti di molte altre culture e religioni maschiliste, come una forma di fornicazione.
Soltanto di recente cominciamo a osservare il recupero da parte dell’uomo di questo potere soft con cui la donna ha sempre combattuto e vinto le sue battaglie anche contro i più feroci tiranni. Pensate a Dalila, Shahrazad, Marilyn o l’amata di King Kong…”
Un applauso caloroso costringe Rose a fermarsi. Seguono degli “Uuu!”. Altri fischiano e gridano “No alla guerra!” “No alla tirannia dei maschi!” “No alla violenza!” “Viva la bellezza!” “Viva noi!”…
“È l’emergere del corpo moderno” prosegue Rose emozionata “un corpo i cui attributi sono concepiti indipendentemente dall’influenza dei pianeti, delle forze occulte o degli amuleti. Dobbiamo essere grati di questa nuova concezione all’umanesimo rinascimentale patrimonio di tutta l’umanità e precursore della nostra modernità, in cui il corpo si staglia in tutta la sua autonomia. È da lì che è partito oggi l’interesse e il lavoro serio sul nostro Sé, le nostre pulsioni, i nostri desideri.
È da lì che derivano il controllo della buona educazione, la socialità, la sublimazione della violenza e l’autodisciplina dei nostri gesti e della nostra intimità. È ancora da lì che è partito il riequilibrio tra le libertà individuali e le costrizioni della collettività.”
Il redattore fa notare “cerchiamo d’essere un po’ più sintetici.”
Rose è d’accordo e prosegue, presa dal filo delle sue idee “Grazie alle innovazioni della clinica anatomica, allo sviluppo di una fantasia di rapporto carnale, alla nascita della sessuologia, allo sviluppo di ginnastica e sport, siamo giunti alla progettazione di nuove rappresentazioni sociali del corpo. Mai, prima della nostra epoca, il corpo umano aveva sperimentato tali cambiamenti che hanno portato a una mutazione dello sguardo su di esso.
Interrogare il corpo nella sua felicità o nella sua tragicità in questa nostra epoca e in questo nostro paese non è forse il modo migliore d’interrogare l’umano?
Signor Presidente, insomma, si tratta di sesso, dimensione fondamentale del vivente. Ho finito” conclude improvvisamente Rose.
In quello stesso momento un altro ragazzo, biondo e bello, depone su un davanzale la tazza del tè che ha in mano e si fa avanti.
“Hai finito, Rose? bene.” dice, mentre dalla tasca tira fuori un foglio.
“Su-Sen, Su-Sen!” scandiscono alcuni ragazzi.
“Meno male” dice lui sorridendo “che esistiamo gli uni per gli altri. La nostra legge usa come deterrenti la religione, l’oltraggio al pudore pubblico o i rischi legati all’AIDS e alle malattie sessualmente trasmissibili per reprimerci e limitare le nostre libertà.
Devo dire che questo tipo di ricatto riempie alla perfezione le sue funzioni: ha costretto la maggior parte di noi a vivere una doppia vita. Non possiamo condividere tutto con i nostri famigliari e i nostri amici perché sappiamo che reagiscono male alla nostra scelta! Una sola rivendicazione: che il reato di omosessualità venga cancellato dal nostro codice penale e che la pagina che lo contiene venga strappata e gettata al macero.
Mio padre, intriso fino al midollo di questa falsa morale, ha rifiutato di cedermi il minimo grammo di libertà. Eppure poteva darmi tutto! Mi ha costretto a vivere in una schizofrenia spaventosa. L’uomo è niente senza il suo essere uomo. E il nostro essere uomini per noi è essere gay o non essere. Ci accusano di aver importato problematiche di vita e di filosofia dalla sponda nord o da oltre-oceano… come se la vita e le questioni esistenziali fossero l’appannaggio esclusivo dei nordici o degli oltreoceanici. È assurdo, per quanto tempo staremo ancora qui a scribacchiare e a blaterare nel vuoto?! Bisogna radicalizzare la nostra lotta per impregnare le coscienze e accendere una rivoluzione.”
“Che violenza!” obietta Noor.
“Hai la fifa tu? Lasciami finire, hai già fatto la tua parte, no? Vedremo quale idea vincerà: la tua arcaica come la tua Mecca o la mia moderna e forte.”
Poi si rivolge al redattore “Non ci si deve stupire se il nostro paese ha sempre attirato orde d’invasori, non solo per le sue ricchezze facili, ma anche per colpa di gente stupida come quella meccana.
La confisca dei nostri destini e delle nostre risorse da parte dei nostri governanti è la causa della nostra infelicità storica ed esistenziale. E quando rivendichiamo i nostri diritti, gli stessi corrotti che ci governano gridano al terrorista. No, non siamo terroristi. E se abbiamo dato i nostri voti agli islamici è successo perché vi vedevamo una speranza, una via d’uscita da questo tunnel di oppressione.”
“Io” puntualizza Noor “non ho mai dato il mio voto ai fanatici islamisti… chi è fra noi due il partigiano della Mecca?”
“Hai finito?” chiede il redattore.
“Ho finito.” Risponde Su-sen senza alzare lo sguardo su Noor.

IV

I ragazzi si sono abituati a radunarsi da Demy, una persona giovane come loro, colta, appartenente ad una famiglia ricca e aperta, come lo sono spesso le famiglie ad Algeri.
I suoi genitori gli concedono, di tanto in tanto, l’appartamentino che hanno comprato in un tranquillo paese alla periferia est di Algeri.
Demy va là quando ha bisogno di studiare o di avere un po’ d’indipendenza e d’incontrare i suoi amici.
Demy è nato maschio, ma si è scoperto femmina nell’adolescenza. È sicuro di essere una ragazza. Infatti, a parte il piccolo inconveniente che nasconde sotto le mutandine, sembra non aver niente da condividere con un ragazzo, nemmeno la corvè di doversi fare la barba o depilarsi, almeno per il momento.
Ha anche il petto un po’ generoso, i capelli folti e neri scintillanti e gli occhi da gazzella. Si è fatto chiamare Demy, che significa gazzella, il soprannome che gli aveva dato sua nonna.
Come quasi tutti gli algeresi, variegata raccolta delle genti provenienti da tutte le parti dell’Algeria, anche Demy non è di origine algerese. Sua nonna è di Costantina, capitale dell’est dell’Algeria, ed è una parente un po’ lontana della nonna paterna di Noor.
La prima volta che Demy ebbe l’appartamento per uso strettamente personale diede una festa per sé e gli amici.
Le distanze e la vita di Algeri non gli avevano fatto dimenticare la sua provincialità… e gli era venuto in mente di invitare il lontano cugino Noor, che aveva visto una volta sola, ma dalla cui bellezza era rimasto colpito.
Tuttavia il gruppo di amici e amiche riesce raramente ad usare l’appartamento perché è quasi sempre affittato a stranieri.
Fra gli habitué c’è anche un giovane studente che vorrebbe fare il giornalista e che è acceso dall’entusiasmo di pubblicare questa lettera e realizzare uno scoop per il giornale di quartiere.
I ragazzi avevano pensato che la sua bravura avrebbe spalancato loro le colonne del giornale, ma si sono resi conto che, indipendenti o no, progressisti o reazionari, importanti o meno, tutti i giornali hanno sempre una linea editoriale da rispettare e dei limiti rossi da non valicare, cioè hanno sempre un padrone a cui rendere conto.
Non è rimasto loro che scrivere questa lettera al presidente della repubblica e consegnargliela direttamente alla prima occasione che si sarebbe presentata.
“Signore, presidente di tutte le algerine e di tutti gli algerini” comincia a scrivere Demy copiando dalla brutta “noi giovani gay…” poi dice ai compagni “iniziamo così, dai, vedrete che colpo faremo sul presidente.”
“No” obietta Noor che cerca di moderare il tono del linguaggio “in questa tappa della nostra lotta bisogna essere tattici. Non dimentichiamo che, per rosa che sia, la causa che difendiamo è seria e la lotta è altrettanto aspra e dura. Cominciare con un linguaggio forte rischia d’essere controproducente.”
“Invece io lo trovo piuttosto politico come linguaggio…” dice Rose.
“È un po’ secco” insiste ancora Noor “deve essere un po’ soft no? un po’ rosa ecco!”
“Un po’ rose” scherza Demy e aggiunge con la penna in bocca “diamo il tempo al tempo”. Quindi scrive “Noi, omosessuali per scelta libera…”
“Ma” interviene di nuovo Noor “neanche la formula di Nel nome di dio… ?!”
“Ecco di nuovo la bigotta di Costantina!” grida quasi Su-Sen “ma pensi che sia adatta al nostro contesto?”
“E perché no?” si difende Noor “non è una lettera politica, forse, la nostra? Non senti che i nostri politici la usano sempre nei loro discorsi anche quando parlano in francese…”
“Certo, certo, l’Islam è la religione del nostro stato e blablabla… ma cosa c’entra la religione con la nostra causa. Noi vogliamo vivere la nostra epoca e tu vuoi riportarci al passato e ai suoi gioghi…”
Alcune ragazze non ci credono tanto ma sembrano liete a trovare un progetto che le accomuna e le raduna in una specie di confraternita solidale che le protegga.
Altre sono più convinte e sperano di attirare l’attenzione di quella fetta dei Giusti fra i cittadini che rimane sempre e comunque attenta alla voce degli emarginati.
“Il nostro è un popolo senza morale, opportunista, ignorante. Gli puoi far dire tutto ciò che vuoi e pagarlo con jeans, scarpe da tennis, o patate fritte e omelette. Ma è ora di farla finita con questo schiavismo. In questo paese il sesso deve diventare come bere l’acqua, sedersi attorno a un caffè di pomeriggio tra gli amici, andare alle toilette…”
Demy legge ad alta voce, attento agli errori e alle osservazioni dei compagni.
“Non dobbiamo scrivere oscenità al presidente” è una voce fra la protesta di alcuni.
“E invece dobbiamo fargli capire” insiste Su-Sen “che noi siamo insolenti, liberi e determinati nella nostra lotta. Chi non ha ricevuto uno schiaffo almeno una volta nella sua vita per quello che siamo?”
Noor si sente avvampare la guancia e se la tocca.
“Siamo qui” prosegue “Su-Sen “a difendere la nostra causa, a chiedere d’essere riconosciuti come omosessuali e godere di tutti i diritti che spettano ad ogni cittadino. Non chiediamo l’elemosina o i favori. Basta con questi santi che si cibano dei nostri diritti e camminano sulla nostra dignità!”
La mecchità di Noor rifà capolino un’altra volta durante la stesura del testo finale e suscita la presa in giro dei compagni di Algeri, francamente insopportabile, specie quando Noor propone di scrivere al presidente in arabo.
Tuttavia di fronte alla derisione generale, lui s’impunta sulla sua opinione e diventa rigido come un teorema di matematica.
“La lingua araba” dice “è molto logica ed ha le stesse regole rigorose della matematica.”
Rose, Su-Sen ed altri cercano di zittirlo con un altro giro di burle e di risate, ma Noor non si lascia impressionare “Ragazze, non è un caso se oggi la nostra lingua patisce una stagnazione…”
“La nostra lingua!” s’indigna Su-Sen “È la lingua dei terroni beduini come te…”
Noor prosegue “… anche se sicuramente i popoli che la parlano oggi ne hanno perso la dimensione matematica degli antenati”
“Smetti di dire scemenze” interviene Rose “il tuo presidente non capirà un cavolo di quello che gli dirai in quella tua lingua morta.”
“Comunque è nostra” s’impunta Noor “è la lingua ufficiale dell’Algeria.”
“Ha ragione Noor” interviene dal fondo della stanza un ragazzo che si fa chiamare Debora.
“Un altro tritapalle!” dice Rose “vi chiedo solo una cosa: in che lingua fate l’amore?”
“In quella carnale” risponde il ragazzo dal fondo. “Oppure vuoi che lo facciamo in francese?”
Rose cerca di confondere il ragazzo “E chi ti ha detto che vogliamo usare il francese? Il berbero non è una lingua forse? Non è la lingua madre di tutti gli algerini?”
“Certo, ma chi la parla in questo nostro gruppo?”
Demy è esasperato “Dai, scriviamola in tutte le lingue che volete e diamogliele tutte, così sarete tutti quanti contenti. Quando è la prossima visita del presidente?”
“Fra una quindicina di giorni, dovrebbe inaugurare un nuovo museo della rivoluzione…” risponde Su-Sen.
Noor ha ancora qualche dubbio “E chi mi dice che le nostre rivendicazioni saranno espresse bene e capite? poi come si dice gay in berbero?”
“E come lo dite voi in saudiano?” interviene Su-Sen “e già che ci siamo perché non ve ne tornate alla Saudia?”
“Ma ragazzi” grida un altro ma solo per mettere ancora del pepe all’atmosfera già carica “il saluto, ci avete pensato?”
“Mettiamo tutti i saluti che volete” consente rassegnato Demy.
“A proposito di gay” continua Noor “chiamiamolo datore, come la gente comunemente ci chiama… o scultura, che ne so io?”
“Ma quest’ultima parola è berbera!” dice Su-Sen
“Sì, sì tutto è berbero!”
“Ma scusate, datore di cosa?” ironizza Debora.
“Ma di culo, tesoro” gli risponde Rose.
“A proposito di dono” dice Demy, che ha messo giù la penna per fregarsi le mani e stiracchiare le dita “È meglio dire donatore perché è di dono che si tratta, il dono del piacere… anche se in realtà è uno scambio di piacere.”
Le parole di Demy sembrano placare l’agitazione della compagnia, quindi riprende tranquillamente la penna e prosegue “Signor presidente, Sylvie, una di noi, è stata picchiata a morte e per poco non è finita sotto le ruote di una 4×4. Quante Sylvie subiscono ogni giorno umiliazioni e violenze?”
“Ma chi ce la pubblica, questa lettera da libro Cuore?” chiede Su-sen
“La consegnerò io direttamente al presidente” dice Noor “le occasioni non mancano, assetato com’è di bagni di folla.”
E Demy Scrive “Nous, jeunes homosexuels, se è vero che le società moderne sono tali per il fatto che tendono sempre più all’individualismo, noi vogliamo che ognuno di noi sia un individuo. La gente ha sempre considerato l’omosessualità come una malattia mentale o una trasgressione alla morale della società, invece noi crediamo che la cosiddetta normalità, in qualsiasi campo della vita umana e in quella sessuale in particolar modo, non è altro che il frutto di un condizionamento. Con l’evoluzione delle mentalità ciò che è considerato scandaloso viene accettato man mano e finisce persino per essere eretto a legge.
Perciò, per noi, quel che la gente chiama normalità sessuale non è altro che un comportamento indotto e artificiale: né sacro né naturale. Diremo ancora di più, diremo che la cosiddetta normale sessualità è problematica per noi quanto lo è per la società l’omosessualità.”
“Questa mi piace” dice Noor.
Meccana!” protesta Su-Sen.
“Io sono di Costantina!”
“Chi non è algerese” precisa Su-Sen “non è algerino.”
“La Rivoluzione” dice Noor “che ti ha portato all’indipendenza mica l’avete accesa voi algeresi…”
“Ah voi e il vostro costantinese… se aveste lasciato la Francia tranquilla, non saremmo qui oggi a scrivere questa lettera per chiedere indulgenza e difendere i nostri diritti…”
“Taci, figlia della baraccopoli della periferia. Scommetto che sei l’ultima sbarcata ad Algeri…”
“Silenzio!” grida Demy e prosegue “Qualcuno può dire che anche nei paesi civili esiste comunque una forma di repressione, nel nome di qualche linea rossa da non valicare come la pedofilia o lo stupro. È normale. Gli stupri delle giovani e dei giovani da parte di adulti potenti dovuti alla frustrazione sessuale rafforza nell’immaginario comune l’idea che il sesso sia sinonimo di bestialità. Esso invece è umano.
In definitiva, noi soffriamo a causa della mancanza di visibilità e di rispetto. Che c’è di male se due persone maggiorenni dello stesso sesso si amano?!
In conclusione, signor Presidente, chiediamo intanto l’abolizione degli articoli 333 e 338 del codice penale che sanzionano gli omosessuali.”

L'autore

Abdelmalek Smari

Abdelmalek Smari nasce a Costantina, in Algeria dove si laurea in Psicologia clinica e lavora per 7 anni. Giunto a Milano agli inizi degli anni ’90, scrive il suo primo romanzo Fiamme in paradiso – Il Saggiatore 2000 – grazie all’amicizia con Raffaele Taddeo e al suo sostegno. Avendo imparato l’italiano, diventa a sua volta insegnante d’italiano per stranieri. Scrive poesie che riceveranno un riconoscimento come opera inedita col premio Lorenzo Montano a Verona nel 2006. Si cimenta anche nel teatro con Il poeta si diverte e L’asino sulla terrazza, adattamento teatrale dell’omonimo racconto già pubblicato nell’antologia La lingua strappata; una riduzione teatrale di Fiamme in paradiso sarà rappresentata presso il Centro sociale Leoncavallo. Nel 2001 ottiene il premio Marisa Rusconi per Fiamme in paradiso. Nel 2008 pubblica con Libribianchi il romanzo L’occidentalista. In entrambi i romanzi il protagonista vero è la Milano amata e criticata e così congeniale all’autore, tanto che sarà annoverato tra gli scrittori milanesi dalla poetessa Marina Corona. Scrive spesso agli amici sui suoi temi preferiti: la lingua, la scrittura, la divisione mistificatrice tra oriente e occidente, la storia e la politica. L’autore ha intenzione di raccogliere questi scritti in un’opera, dopo aver ultimato la stesura del suo terzo romanzo, a cui sta lavorando. È di questi ultimi anni l’apertura di un blog, che gli permette di trattare l’attualità della vita politica e civile algerina: www.malikamin.net All’autore è stata dedicata nel 2011 una tesi di un laureando in Lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Milano – Giuliano Buzzao – dal titolo “L’identità della e nella letteratura migrante”. El-Ghibli gli ha dedicato il supplemento del suo numero del giugno 2012.

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