Dai mesi di gennaio a maggio del 2020, i piccioni avevano esercitato il loro diritto di volo nel soleggiato giardino del Policlinico Di Liegro, a Roma.
Fu il gran caldo dell’inizio di giugno a metterli alla ricerca di un posto più fresco. Lo trovarono nel reparto riabilitativo dove lavoravano i fisioterapisti.
I piccioni trascorsero serenamente le prime mattinate di volo nella nuova zona, ma i fisioterapisti, per rendere più tollerabile il caldo, aprirono le finestre delle camere.
Per la prima volta i piccioni videro dentro le camere dei fisioterapisti.
Ugo, un piccione che volava con gran disinvoltura e che in passato aveva lavorato come piccione-viaggiatore, sconvolto da quel che aveva visto, chiese di parlare al capo-piccione. Ricevuto sul tetto del reparto, Ugo disse al capo che qualcosa di molto grave succedeva in quelle camere. Ugo aveva visto che i pazienti imparavano a muovere le braccia su e giù, su e giù ripetutamente. Si rendeva conto il capo?
No, il Capo non aveva afferrato ciò che Ugo voleva comunicargli, ecco perché Ugo fu più esplicito quando rivelò che i fisioterapisti stavano insegnando a volare ai loro pazienti. “Non è giusto che gli umani entrino in possesso di un nostro potere. Il volo non sarà più espressione della nostra libertà: sorgeranno nuvole con corsie preferenziali, nuvole contromano o con divieto di sosta, senza parlare dei vigili volanti con le multe. Perderemo la pace con cui voliamo. È assolutamente necessario impedire il volo agli esseri umani!”
Il capo si lasciò convincere dal discorso di Ugo e diede subito a lui e agli altri, il compito di seguire i pazienti dei fisioterapisti, venuti a prendere lezione di volo, capire a che punto di sviluppo fossero le loro ali e strapparle prima che le mettessero in azione. Fissò la data in cui si sarebbero ritrovati lì, al reparto riabilitativo, tutti con le ali che avrebbero strappate agli umani.
Quel giorno, i pazienti venuti per la fisioterapia, tornarono a casa, ognuno inseguito da un piccione. A Ugo toccò una ragazza di nome Margherita. Lui nulla sapeva di lei, solo che le avrebbe strappato le ali nel momento opportuno.
Dopo alcuni giorni in contatto con Margherita, Ugo iniziò a fare dei giudizi meno frettolosi sugli umani: non erano poi così cattivi. Alcuni degli amici di Margherita addirittura dedicavano la loro vita a difendere i diritti degli animali. E com’erano affettuosi i bambini! Ogni sera gli lasciavano del pane sbriciolato sul davanzale.
Prima di conoscere Margherita, Ugo non aveva visto tanti aspetti positivi negli umani. Adesso gli erano simpatici non solo i familiari della ragazza, ma anche i suoi amici. Lui e lei amavano leggere e si raccontavano i libri letti. Condividevano emozioni e momenti. Ogni tanto fra di loro capitava qualche malinteso, ma tutto finiva bene e l’amicizia si rinforzava.
Da quando erano amici, Margherita sentiva più forte il profumo dei fiori, Ugo era diventato sensibile ai tramonti.
I due erano contenti quando si facevano prendere dal ritmo delle canzoni e si mettevano a ballare insieme agli amici. Ugo aveva imparato a cantare con Margherita. Si sa che i piccioni sono stonati e hanno una voce rauca, ma Ugo aveva fatto dei progressi – così credeva – perché ultimamente persino gli uccellini lo guardavano quando lui cantava. Una cosa era certa: se Margherita cantava insieme a lui, la voce di Ugo diventava quasi bella.
Era, però, arrivato il momento in cui Ugo avrebbe dovuto portare le ali di Margherita al capo-piccione.
Era triste, Ugo. Gli dispiaceva che fossero finiti i giorni accanto alla sua cara compagna umana, ma doveva essere sincero con se stesso. In lui si era verificato un grosso cambiamento: lui non era più lo stesso di prima e, per agire con coerenza, doveva essere fedele all’Ugo di adesso. Non tollerava l’idea di tradire la fiducia di Margherita. Non voleva lasciare la sua cara amica. Non avrebbero più cantato assieme o parlato di libri. Doveva tagliarle le ali? No, non poteva farlo! Bisognava trovare il modo di salvare le ali di Margherita.
Era già tardi quando ebbe un’idea: avrebbe dato al capo le sue proprie ali, dicendo che erano quelle di Margherita.
Uscì di corsa in quello che sarebbe stato il suo ultimo volo con le sue ali.
Era pronto ad atterrare per strapparsi le ali dietro a un albero, e poi consegnarle al capo. Appena posato a terra, restò bloccato quando vide il capo-piccione davanti a sé, pronto a lasciare il Policlinico Di Liegro.
“Arrivi adesso?” gli domandò il capo. “Sì”, disse Ugo, “ma debbo raccontare cosa mi è successo.”
Il capo-piccione era stanco e affamato. Voleva andare subito a casa: “Non mi devi dare alcuna spiegazione, Ugo. Ti consiglio di andare dall’oculista, ma per farti vedere di meno, hai capito? La prossima volta, conta fino a dieci prima di vedere ali negli umani, è chiaro?
“Evviva!” gridò Ugo, felice di sapere che Margherita non aveva ali e lui aveva mantenuto le sue.
Salutò il capo-piccione e in gran fretta prese il volo verso la sua amica.
Margherita l’aspettava fuori casa, al cancello. Quando Ugo atterrò, lei andò nella sua direzione. Guardava con occhi sognanti le ali dell’amico: “Ugo, posso toccarle?” Per risposta, lui le venne vicino. Margherita lo abbracciò e disse: “Sono bellissime, Ugo. M’insegnerai a volare?”
Formidabile il piccione Ugo che nel momento in cui abbandona i pregiudizi e conosce l’amicizia, diventa “sensibile ai tramonti” e impara a cantare! Grazie per questa delicata favola, una vera lezione di volo per tutti noi.