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Racconti italiani – Antonello Piana

Il libro contiene una raccolta di ventinove racconti brevi, alcuni di una sola pagina, altri di dieci, senza un comune denominatore apparente. Si tratta di una variegata cosmogonia fondata sull’accostamento di materiali eterogenei. Sia le forme che i contenuti sfuggono alla logica del filo conduttore, ma contemporaneamente alla fine della lettura rimane l’impressione di aver scoperto un mosaico costituito da tessere multicolori fuse in un’unità di senso compiuto.
L’autore è un navigato scrittore brasiliano di quarantasette anni, il quale, prima di trasferirsi in Italia adottandone la lingua, ha pubblicato nel suo paese nove volumi tra romanzi e racconti, è stato tra i fondatori del partito verde brasiliano, ha ottenuto il titolo di Fellow in writing da un’università statunitense dopo avervi insegnato scrittura creativa per qualche anno, ha insegnato in un’università portoghese e ha anche lavorato come avvocato dei diritti umani per i bambini di strada brasiliani.
Queste informazioni aiutano un po’ anche a comprendere questi racconti, che rappresentano un esempio di un modo di scrivere insolito per la letteratura italiana. Si tratta di istantanee fulminanti che dal punto di vista formale non vengono sviluppate fino al loro limite. È evidente in questo un influenza della short-short-story nordamericana à la Carver, con un senso sviluppatissimo del minimalismo narrativo incentrato su un’unica azione, spesso solo un pensiero fisso, o un gesto abitudinario di cui si acquista improvvisamente lucida consapevolezza. Legato strettamente al minimalismo americano è anche l’uso estremo del dialogo, che spesso annulla completamente la resa diegetica dell’azione. Le forme e le tecniche narrative più diverse vengono padroneggiate sapientemente dalla volontà autoriale ai fini di un’efficace resa artistica della materia narrativa. Questa raccolta di racconti possiede inoltre una rilevanza storico-letteraria, poiché rappresenta attualmente in Italia il piú importante contributo della cosiddetta “letteratura migrante”, o “d’ibridazione”, la quale invece in paesi come la Francia o il Regno Unito costituisce già da tempo un fecondo filone letterario, con autori del calibro di Ben Jelloun, Rushdie o Ishiguro. Lo sguardo di uno straniero sull’Italia è tradizionalmente costituito dalle impressioni di viaggio, ma nel nostro caso assistiamo a un fenomeno nuovo: lo straniero vive in Italia e scrive in italiano, si tratta dello sguardo straniato di una persona sulla soglia di due culture diverse. L’autore è immunizzato contro i cliché sul “bel paese”, e lo dimostra tematizzando le inquietudini di una cultura e di una società post-moderna che non sa bene dove sta andando. Molti protagonisti di questi racconti sono legati da un carattere comune: si tratta di individui assediati e inquieti, fragili e ossessivi, che cercano rifugio in passioni estreme e utopiche per sfuggire ad una realtà che non riescono più ad afferrare compiutamente. E il caso di Gianmario, il protagonista del racconto Il puteale e la bella coreana, che abbandona una situazione familiare impegnativa per inseguire una passioncella in Giappone, o di Alfio, il protagonista del racconto Hic sunt leones, il quale a sua volta abbandona la propria villa di famiglia, con tanto di madre aristocratica e petulante, per inseguire fino a Trebisonda la donna che lo ha abbandonato, un’immigrata russa che ha portato via anche suo figlio; la cartolina che Alfio scrive al narratore non comunica niente, solo: “Nella notte, boscaglia fitta, strada spenta, passo dopo passo tastando il gigantesco volto di pietra della memoria” (pp. 39), quasi a simboleggiare lo smarrimento dei valori tradizonali in una società inquieta e in fase di stravolgimento.
Il rapporto empatico che si instaura tra l’autore (e di riflesso il lettore) e i personaggi di questi racconti non subisce un danno dal distacco ironico, pure onnipresente. Si tratta invece di una compassione profonda – un autentico “Mit-leid” verso l’uomo comune, i suoi slanci e le sue rabbie, le sue generosità ma anche le sue intolleranze, un’immedesimazione che trascina con sé il lettore rendendolo partecipe di tali inquiete passioni.
Una corrente su cui navigano molti racconti deriva dall’inquietudine dell’uomo dei nostri tempi di fronte allo sviluppo tecnologico galoppante. Si tratta di racconti ambientati in un futuro lontano che però riflette direttamente i problemi del nostro, portando al limite alcune tendenze inquietanti del progresso scientifico attuale, come nel caso del racconto I pangolini, fondato sul dialogo quasi filosofico tra il protagonista (che non casualmente si chiama Candido), membro di una società avveniristica completamente sicura e assolutamente noiosa, a cui è concesso per tre ore al giorno di interconnettersi con l’esistenza piena di rischi del ventesimo secolo, e un dottore che al contrario considera una conquista irrinunciabile la possibilità di vivere al di là di ogni pericolo.
Altri racconti sviscerano l’esperienza dello scrivere in sé – frutto dell’esperienza dell’autore in qualitá di insegnante di creative writing -, come per esempio il bel racconto Christian Kurz. È evidente come la gestazione dei racconti prescinda dall’esperienza autoriale, dall’autobiografismo spicciolo e diretto. Ci troviamo di fronte invece ad una narrativa orgogliosamente cerebrale, che trae ispirazione dalle esperienze assurde ma quotidiane della società contemporanea: “miss maglietta bagnata”, centri di accoglienza per migranti, reparti oncologici, cloni umani, veglie funebri, mafiosi, animali in cattività, programmi televisivi rappresentano situazioni-limite ma anche luoghi “mitici” di un’ambientazione fondamentalmente realistica.
Attraverso strumenti e punti di vista estranei alla cultura letteraria italiana, riesce il tentativo di fotografare obbiettivamente una realtà che molti letterati nostrani ostinatamente fingono di non vedere.

 

L'autore

El Ghibli

El Ghibli è un vento che soffia dal deserto, caldo e secco. E' il vento dei nomadi, del viaggio e della migranza, il vento che accompagna e asciuga la parola errante. La parola impalpabile e vorticante, che è ovunque e da nessuna parte, parola di tutti e di nessuno, parola contaminata e condivisa.