Supplementi

ricordi – Pina Piccolo

Dal Diario dell’ologramma di JMM

 

13/38/-1670

Certo che da quando sono spariti lasciandoci quest’immondezzaio, non è che per quelli come noi che sgobbano da mattina a sera cercando di capire in che razza di mondo vivessero sia veramente una pacchia ricostruire che ruolo avessero i loro “scrittori” partendo da brandelli di  frammenti telematici intrappolati nei cavi sottomarini. E non ti dico l’aspetto palinsestico della cosa, un lavoraccio; ma da quando mi hanno retrocesso a logistica, questi sono i lavori che mi toccano. Prendi me, per esempio, hard disk 3864 incaricato di proiettare l’ologramma JMM davanti all’assemblea di studio intergalattico. Pare che all’epoca le terre che emergevano dal mare avessero delle divisioni, non fisico-geografiche, tipo catene montuose, laghi o mari ma parti della loro immaginazione che chiamavano nazioni (una cosa che pare sia durata  circa quattrocento-cinquecento  di quelle unità di “tempo” denominate anni).  Alcuni si muovevano tra queste divisioni, altri se ne stavano incollati là dove erano stati partoriti (sì perché all’epoca era una cosa che accadeva ancora dai corpi delle femmine umane). Lui era uno di quelli che si è mosso. Dice che ha cambiato “lingua”(?), a un certo punto parlava pure di “lingue sorelle”(?) Da uno dei brandelli che siamo riusciti a restaurare risulta che secondo lui spostarsi e cambiare “nazione” poteva essere assimilato a un “suicidio somministrato”. Boh, cosa vorrà dire?

07/38/-1670

Quando si è levato il sole stamattina il mio braccio robotico era a ripulire  il frammento di cavo 3761 dalle incrostazioni e al sensore oculare è sembrato di rilevare sotto diversi strati di comunicazioni che sembravano avere a che fare con una cosa chiamata “Borsa” un frammento di una cosa chiamata “mail” che poteva aver scritto lui (almeno l’analizzatore incorporato mi comunica che  lo stile sembra simile). Si lamenta con un destinatario/a non meglio identificato/a del fatto che il “pensiero unico” (è una frase che mi permette una quasi sicura attribuzione a lui) ormai ha preso il sopravvento e sta uccidendo la scrittura, almeno quel tipo di scrittura che serve come strumento per indagare tra le pieghe più recondite dell’essere umano. Si lamenta delle “case editrici” e questa lamentela ricorre spesso, non solo da parte sua ma anche di un gran numero di “scrittori”, sempre quelli che si dichiarano avversari del pensiero unico. Non credo che siano mai riusciti a formare un “partito” unendosi, almeno non c’è traccia di manifestazioni di “scrittori contro il pensiero unico”.  Pare che non riuscissero a fare circolare il loro pensiero perché le case editrici che avevano potere sceglievano sempre scrittori che vendevano.  E qui non capisco se fossero a) scrittori che erano anche commessi viaggiatori, b) scrittori che si vendevano, scrivendo le cose che voleva il “mercato” e ricevendo soldi in cambio, 3) scrittori i cui libri “fruttavano” sul “mercato” (che tra parentesi sembra una cosa  collegata alla “Borsa”). Parla di una cosa che chiama “funzione critica” e si lamenta che ormai sta sparendo.  Ma secondo te, perché un uomo intelligente, che ha viaggiato tra le “nazioni”  si accanisce così tanto su cose che stanno sparendo?  Sperava secondo te di poter fermare quel processo di sparizione? Fortuna che usava gli strumenti telematici, altrimenti sarebbe sparito veramente, sarebbero rimaste pochissime tracce delle sue opere, essendo il “cartaceo”deteriorato al punto di essere sparito in questo immondezzaio che gli umani ci hanno lasciato.

04/38/-1670

Sento che siamo vicini a una svolta. Lo scrostatore palinsestico è arrivato a uno strato di mail raggruppate da una entità che pare chiamarsi NSA proveniente  né da quella terra denominata “Brasile” né da quella denominata “Italia”, pensiamo che fosse un aggregatore composto da volontari perché non si trova traccia di ritenute d’acconto o  contratti di lavoro.  Comunque questo aggregatore pare avesse delle preferenze per  uomini e donne che si occupavano di debellare il pensiero unico, quindi sento che presto il mio laser riuscirà a fare un ottimo lavoro proiettandomi davanti all’assemblea di studio intergalattico con qualcosa di più sostanzioso di 4-5 righe.

01/38/-1670

Eureka! Ce l’abbiamo fatta! Lo so non è un libro intero come è capitato a quella vecchia volpe di HD27643, ma credo che sia sufficiente a farmi promuovere e  finalmente lasciare questo fot….imo lavoro di logistica. Dovrò memorizzarlo a puntino e lavorare sulle intonazioni. Tra le notizie che abbiamo potuto estrarre sulle culture antichissime pare che ci fossero delle persone che interpretavano il “prologo” con il proprio corpo, vediamo se ce la faccio a proiettare degnamente questo lavoro. Dallo stile non mi pare proprio  di JMM ma deve essere stato scritto da una persona con la quale aveva una certa confidenza perché le ha permesso di leggere un suo lavoro non ancora pubblicato chiedendole di  “presentarlo” ai lettori prima di cominciare a leggerlo.  Caro diario, tieni le dita incrociate, prima che il sole tramonti davanti all’assemblea… allora ripasso…”

“A mo’ di prefazione…

Esistono vari modi di scrivere una prefazione a un romanzo: c’è chi prima rende omaggio all’autore e alla sua opera  fornendo poi  delle indicazioni generali per instradare il lettore sulla retta via di una accurata fruizione, chi invece scrive una specie di saggio preliminare che tentenna tra rivelazione e arguto occultamento; oppure chi costruisce una concisa insegna luminosa che promette beatitudine o avverte di possibili disagi , c’è chi ancora compone una specie di manualetto delle istruzioni da consultare una volta aperta la scatola e disposti in bella vista i pezzi, i quali, come un prodotto acquistato all’Ikea,  a un primo sguardo possono risultare enigmatici nella loro relazione.

Nella tradizione italiana, forse la “prefazione” più efficace, l’insegna luminosa rimasta impressa nel maggiore numero di menti è quella che Dante pone sopra la porta dell’Inferno: in titoli cubitali avverte il pellegrino Dante e il lettore della difficoltà del territorio, del rischio dell’impresa e se venisse veramente presa sul serio avrebbe, ahimè, il compito di distogliere dal proseguimento del viaggio e della lettura. Ma per nostra fortuna, come è risaputo, le prefazioni spesso si saltano o vengono consultate dopo il fatto.

“Baci di guerra”,  è un romanzo che cuce con maestria frammenti di realtà esposti in una varietà di forme che potrebbero andare dalla sceneggiatura di un film, alla perorazione politica, al saggio, alla riflessione/ aforisma (come la bella spiegazione fornita dalla giovane amante sul dilemma del protagonista “Giovanni invece si dispera perché è costretto a vedere il mondo attraverso un vetro opaco, sai, quello che a Murano chiamano “vetro di latte”, sai, quelli traslucidi. Vedi la luce, distingui a volte i colori, le sagome, ma non ti è permesso di vedere veramente ciò che c’è dietro quel vetro. E lui ha questa voglia di trasparenza. Si sente proprio derubato, violentato, capisce che le versioni che gli vengono presentate sono tutte false, ma quella vera gli è inaccessibile. Si esaspera, è come se prendesse fuoco…”). Questi pezzi poi l’autore li  interseca a mò di puzzle dalle forme astratte, di cui non è facile scoprire l’essenza, ben lontano dalla regolarità geometriche di un patchwork.

Per fare una prefazione a questo tipo di narratività sarebbe solo giusto trovare una commistione tra queste varie modalità d’instradare il lettore: una bella insegna luminosa, di quelle sgargianti al neon, dovrebbe avvertire “Per me si va nello sconcerto più totale”, il saggetto ammiccante potrebbe dire che si tratta di un romanzo che strizza l’occhio a Nabokov, ma non disponendo di quei vasti spazi del campus con prati all’inglese, si accontenta  di cadenti,  soffocanti aule di un ateneo italiano per permettersi poi  l’ossigeno di un agriturismo adibito a “garconierre”.  L’omaggio all’autore potrebbe fare menzione del fatto che è stato scritto da uno scrittore dal multiforme ingegno, passato attraverso varie vite. Da scrittore affermato, impegnato e sperimentale che scrive in portoghese nel suo nativo Brasile, Julio Monteiro Martins è passato a essere scrittore migrante che si appropria  dell’italiano riproducendone magistralmente gli scambi verbali, il dialogo quotidiano di tafferugli coniugali, il gelido burocratese delle istituzioni, il linguaggio della tenerezza tra amanti inter-generazionali  che si alterna a quello un po’ lezioso tra padri e figli della intelligentsia illuminata, e poi ancora un inusitato e confidenziale linguaggio di “lezione” universitaria che cerca non solo di stabilire la complicità tra studenti e docente (peccato mortale contro il rapporto strettamente gerarchico che caratterizza l’università italiana) ma anche di rivelare più di quello che è lecito sentire nella cittadella dei baroni. Con l’occhio attento di chi sta in limine, offre una galleria di personaggi ai quali, da un lato, per le loro meschinerie  e i subdoli tentativi di occultarle, è difficile voler bene e che dall’altro suscitano nel lettore una sorta di empatia per la loro vocazione a trascendere dal loro vissuto attuale verso qualcosa di più alto.

Il manualetto di istruzioni, nel tentativo di spiegare lo “sconcerto” di cui ci avvertiva l’insegna luminosa, potrebbe disegnarlo  non tanto come reazione quanto condizione gnoseologica,  voluta e congegnata dall’alto e che investe il rapporto tra economia, politica e potere, pur non risparmiando il privato. In questo nodo, chiaramente l’università dovrebbe trovarsi a giocare un ruolo importante, ma una sua vocazione illuminante viene bloccata dai poteri forti.  Il protagonista non si rassegna all’opacità insita nel mondo in cui vive, ed antieroico  paladino dell’Illuminismo,  nonostante sia stato corrazzato dai baci di guerra elargiti dalla sua Lolita/Dulcinea si appresta ad una battaglia impari ambientata ai nostri giorni, quindi non più contro i mulini a vento ma contro dispositivi ben più moderni quali le “extraordinary rendition”.  Riuscirà il nostro antieroe a cavarsela?Ne uscirà con maggiore chiarezza e riuscirà, cosa più importante a comunicarla?  Nel testo potrebbe nascondersi (o no) l’ardua sentenza.

L'autore

Pina Piccolo