Girolamo Santocorno
Rue des italiens
Gorée 2006
raffaele taddeo
A vent’anni dalla pubblicazione in Belgio questo testo viene riproposto in Italia con traduzione di Angelo Maddalena. E’ un libro scritto da un emigrato italiano, di seconda generazione, come lui stesso si definisce, giunto in Belgio quando aveva tre anni.
Il risvolto di copertina lo definisce “romanzo”: ma è più che romanzo e qualcosa di diverso. Si tratta infatti di uno spaccato della vita degli emigrati italiani giunti in Belgio, nell’immediato dopo guerra, da diverse parti dell’Italia. Non viene raccontata una storia, salvo forse, indirettamente quella riguardante la crescita del protagonista, che da bambino, man mano arriva alle soglie della giovinezza. Vengono proposte tante situazioni di marginalità in cui gli italiani devono organizzare la propria esistenza. Le abitazioni sono poco confortevoli, senza servizi, in strutture edilizie che erano servite come campi di concentramento, con pavimenti di cemento. Non esistono strade e l’aria dall’odore e dalla polvere del carbone delle vicine miniere.
In questa condizione che non precipita nel massimo degrado solo per la tenuta della comunità italiana, ricostituita in loco e legata da un proprio comportamento etico-sociale, i ragazzi fanno le più diverse esperienze ludiche, ma anche iniziatiche alla costruzione della loro identità sessuale.
La disgrazia di Marcinelle diventa uno spartiacque, perché molti italiani atterriti da quella fine tremenda decideranno di ritornare, mentre altri incominceranno invece a pensare a stabilirsi definitivamente in Belgio. E’ il caso della famiglia d’appartenenza dell’autore, la famiglia Santocono, che cambia miniera e residenza, migliora la sua condizione di vita abitativa, si mescola con gli autoctoni, insieme ad altri italiani, partecipa, anche se con difficoltà, alla vita sociale della comunità belga, condividendo gli scioperi ed una storia che diventa comune.
Il ritorno per ferie al proprio paese è il segno e simbolo della decisione già presa di stabilirsi in quella parte dei Paesi Bassi.
Il racconto del viaggio di andata e ritorno riproduce pittorescamente la preparazione e il convulso modo di organizzarsi per un percorso in treno che all’epoca durava circa tre giorni. Si insiste, perciò, sui cibi che si portavano, sulle valigie, o spesso anche cartoni e scatole aggiuntive, che rendevano il viaggio un’avventura con un lato folcloristico fra il comico e il tragico..
L’emarginazione subita in Belgio è segnata dalla discriminazione scolastica dei figli degli italiani che potevano aspirare solo a una scuola professionale e non ad altri traguardi, indipendentemente dalle loro capacità, che venivano comunque ridimensionate e ricondotte nell’alveo della condizione di classe a cui i ragazzi apparteneva.
Con difficoltà infatti Girolamo Santocono ha potuto iscriversi al liceo e conseguire In belgio una laurea.
Nel risvolto di copertina del volume si fa una sorta di parallelismo fra l’emigrazione di allora e la immigrazione di oggi. Molte sono le analogie: la condizione abitativa, l’istinto di stringersi alla comunità d’origine per sopravvivere, la riproposizione di costumi, gergo e abitudini di vita della comunità d’appartenenza.
Risaltano tuttavia alcune chiare differenze: 1) gli italiani emigravano con un contratto in mano; si trovavano in condizioni di lavoro duro, difficile, ma avevano pur sempre un contratto. L’immigrazione di oggi, generalmente illegali, avviene alla cieca, senza un minimo di prospettiva se non nei sogni individuali dei migranti. 2) Le emigrazioni che avvenivano a ridosso della seconda guerra mondiale, trovavano nei paesi ospitanti un mercato del lavoro “affamato” di mano d’opera , e perciò continuamente in cerca di forza lavoro, oggi il mercato di lavoro è molto meno aperto. 3) Fenomeni di razzismo, politiche di emarginazione, erano certamente presenti ma non ci si trovava ancora davanti a gruppi organizzati politicamente che fondano la loro fortuna elettorale proprio sui reconditi istinti xenofobi e razzistici presenti in ognuno di noi.
Un’ultima considerazione a margine che conferma la differenza fra gli scrittori della migrazione italofona e quella di altre lingue. Rue des italiens è stato scritto dal figlio di un emigrato italiano, un cosiddetto emigrato di seconda generazione che ha acquisito la lingua francese fin dalla più tenera età, nelle scuole frequentate, da quella primaria a quella secondaria. Un po’ come da noi, è accaduto a Jadelin Gangbo e Igiaba Scego. Ma le tematiche affrontate da Santocono rispetto a questi scrittori presenti ora in Italia differiscono quasi totalmente.
20-04-2007