Supplementi

saggio su Julio – Stefano Velotti

L’Unità, 16 Settembre 1996

La “civiltà” europea e i ragazzi venuti dal Brasile 

Ho una cagna che in inverno ama trascorrere le notti all’aperto. Gli viene un pelo stupendo, da orso polare. Costretta a trasferirsi in un appartamento riscaldato, in pochi giorni si dimezza. La casa sontuosamente pelosa, e lei fragile e quasi glabra. Sembra che qualche scienziato abbia chiuso delle cavie in una cella frigorifera e ne abbia ricavato ratti pelosissimi. E proprio così, os ratos peludos, venivano chiamati alla stampa gli scrittori brasiliani, di primo e folto pelo, che esordivano negli anni ’70, cullati nel frigorifero della dittatura, avvolti dal gelo delle megalopoli.

 Dittatura

Me lo ha spiegato una giovane studiosa di letteratura portoghese, Cristiana Sassetti, che tra os ratos peludos ha trovato il proprio marito. Come i suoi compagni di strada Domingos Pellegrini Jr., Caio Fernando Abreu, Antonio Barreto, anche Julio Cesar Monteiro Martins si è rivelato al pubblico brasiliano giovanissimo, poco più che ventenne, con un volume di racconti, Torpalium (1977). Da allora ha pubblicato numerosi libri di narrativa, saggi e opere teatrali, e ha girato per il mondo scrivendo e insegnando.

 Tenendo in mente un ammonimento di Octavio Paz – che l’eccentricità propria dell’America Latina è di essere un’eccentricità europea, che una visione non provinciale dell’occidente è più accessibile dai suoi “margini” – ho incontrato Julio Monteiro Martins a Lucca, dove tiene dei corsi di scrittura creativa. Proprio da questo incontro mi ripromettevo di imparare qualcosa sul nostro immaginario di europei.

Julio è simpatico, affabile, pronto alla riflessione pacata e all’ironia. Non recita il personaggio del “giovane scrittore”, non ha niente dell’arroganza di molti nostri piccoli divi dell’industria culturale.

Laureato in legge, Julio Monteiro Martins è stato tra i fondatori del Partito Verde brasiliano ed ha lavorato come “assessore giuridico” per il “Centro Brasiliano di Difesa dei Diritti del Bambino e dell’Adolescente”. (E cominciamo proprio da qui, anche se non mi va di soffermarmi sulla pedofilia, la cui esistenza i media, nei caldi di agosto, hanno improvvisamente scoperto, proponendoci un interminabile iter di episodi. Il fatti è, ragiona Julio, che il Brasile fa parte del Sud del mondo. E benché sappiamo, almeno da Giordano Bruno in poi, che l’universo non ha centro, che tutti i luoghi sono uguali e che suddividere il mondo in “basso” e “alto” è una trovata antropocentrica (anzi, eurocentrica), in tutte le carte geografiche, in tutti i mappamondi reali e immaginari, il Brasile è “sotto”, il sud del mondo sta in basso, il nord sta “sopra”, in alto.

 Chi conosce gli studi di Bachtin sulla cultura popolare riconoscerà subito un’opposizione dell’occidente medievale, ma più che mai viva nel nostro mondo modernissimo. In alto c’è Dio, in basso l’inferno: il alto c’è il viso, in basso il deretano; in alto lo intelletto, in basso i genitali; in alto l’adulto, in basso il bambino.

 Vecchia Europa

 Avete notato le cartoline-pubblicità del Brasile? Quelle cartoline che invitano il turista a visitare il Brasile, proponendo alcune accattivanti ma assai “marginali” particolarità? Culi. Culi in riva al mare. Se qui, nell’occidente (a ovest di…?), predominano bellezze inaccessibili di visi gelidi, nell’immagine del Brasile il deretano sostituisce il volto.

Dunque, ne deduco che quando la vecchia Europa o l’America “alta” leggono la letteratura latino-americana è come se si osservassero finalmente riflesse nello specchio su cui camminano nude? (Diverso il discorso per l’Europa orientale, confine opposto e speculare a quello dell’America latina).

(Spesso si sente dire che nell’America del nord vediamo il futuro dei nostri paesi europei. Mi chiedo se nell’America del sud scorgiamo il nostro passato. Il deretano però non passa, uno se lo porta dietro, magari coperto, ma non è che uno se lo può lasciare in tutti i sensi alle spalle). Non è innanzitutto una questione di progresso/regresso, precisa Julio. L’inconscio è senza tempo. Il Brasile è l’inconscio dell’Europa, il suo rimosso (per questo in America latina ci sono più psicoanalisti che in tutto il resto del mondo? Che abbiano l’immane compito di interpretare per procura l’intero inconscio nordoccidentale?) La natura rimossa e quella sublimata: la natura violenta, il contrario della civiltà; l’idillio, la natura edulcorata e sempre in festa. (Il “realismo magico e meraviglioso” e il realismo brutale sarebbero due facce di una stessa medaglia).

Vedi, dice Julio, l’abbronzatura reclamizzata dalle cartoline potrebbe apparire improvvisamente come una malattia della pelle e vice versa. Poi mi racconta due storie che sembrano due apologhi, ma sono in verità cronaca: dopo un derby tra le due squadre di Rio, il Vasco e il Flamengo, i tifosi della squadra vincente, il Flamengo, festeggiano. In uno spiazzo alla periferia della città trovano un cadavere. Gli infilano una maglia del Vasco e lo impiccano. La festa tocca il suo apice.

C’è un quotidiano intitolato “Il popolo”. È uno di quei giornali che in prima pagina sbattono sempre la foto di un cadavere e/o di una donna svestita, tanto che le due cose ormai sembrano una. Un giorno a Rio intorno a un’edicola c’è un campanello di gente che si sganascia al ridere. Su “il popolo” c’era il solito cadavere, ma l’assassino lo aveva fatto trovare ai fotografi con la testa capovolta. Così che i capelli ricadevano sul torace, ma la barba se ne stava ritta, sfidando la legge della gravità. Sembrava un extraterrestre. Pubblico spettacolo di magia e comicità.

(Raccontare solo l’aspetto carnevalesco di questi episodi sarebbe una menzogna indecente. Raccontarne solo l’aspetto brutale coglierebbe solo il Brasile violento, quello degli squadroni della morte per l’infanzia, quello che il primo mondo teme parlando del pericolo di “brasilianizzazione”). Ma è possibile far trasparire l’uno dall’altro!

Se ai paesi del continente sudamericano sono state imposte le monocolture (canna di zucchero, cotone, caffè, banana, gomma), a seconda dei bisogni europei, oggi la mentalità colonialista, prosegue Julio, si prolunga nell’imposizione della monocoltura della cultura: l’esotismo sudamericano.

Cronista

 Chi, rifiutando tale imposizione, si fa operaio della parola in proprio, diventa, nelle parole di Julio, un “cronista del limbo”, da dove nessuno porta notizie – territorio senza definizione, più che dimenticato, nemmeno concettualizzato, dove vanno i senza nome… Le opere che rappresentano quel mondo non sono esotiche, ma stranamente familiari. Sono il volto sfigurato, eppure ancora riconoscibile, di un vicino parente”.
Dagli anni ’70 il pelo di questi scrittori è cambiato, è meno ispido. Ma ho l’impressione che sia rimasto folto, a contrastare il gelo persistente dei tropici.

L'autore

Stefano Velotti