Barbara
Un confine in comune
Ensemble 2021
Riguardo alla primarietà delle metafore rispetto alla necessità di dire qualcosa di sé o d’altro è emblematicamente espresso dalla seguente poesia, che la riporto per intero per la sua pregnanza significativa, da cui si evince come la poeta procede nella sua costruzione di poesie:” catturo un’immagine tra due parole/ come fossero le leve incrociate/ di una tenaglia – stringo e la osservo/ a lungo fisso i suoi punti più cupi/ quelli su cui non cade la luce/ poi la deposito in una casella/ confinata nel bianco/ senza vicini/ senza titolo e senza note/ la chiudo in un quaderno e talvolta/ la cerco come si fa con uno specchio”.
Una dichiarazione poetica poi la si trova nella poesia soglia, ove la poeta afferma intanto la continuità fra poesia e vita (per non frapporre barriere/ tra la fine dei versi e la vita), ma specialmente la necessità di entrare nella poesia senza “vestiti, né pelle”. È la necessità di vedere più chiaro attraverso la poesia, perché la scrittura, in prosa o in poesia, ha proprio il potere di essere una sorta di meditazione che ci aiuta a metterci davanti alla nostra persona, al nostro essere, a scoprire i nostri problemi, a risolverli o a condividerne l’esistenza.
L’intera silloge si presenta come una satura ove gruppi di poesie di diverso senso e ispirazione sono proposte un unico testo. Il nucleo più compatto è quello intitolato L’acqua salata per chi ha sete, verso potente che sta ad indicare non solo il rifiuto dell’altro, ma anche la falsa accettazione, perché non si rifiuta l’acqua a chi la chiede, ma gli si dà quella salata che porta alla morte. In questa sezione, cifra significativa poetica è il filo spinato, metafora ricordata e riportata più volte in questo gruppo di poesie anche se con modalità diverse. Filo spinato che indica l’impossibilità di andare oltre, di oltrepassare soglie, porte, confini, recinti. La chiusura non permette neppure al vento di passare perché “anche il vento/ ha il volto/ sfregiato/ la pelle d’aria/ sempre più/ sfilacciata e/ la sua voce/ è rimasta/ attaccata/ alle spine”. Tutto riesce a passare il confine, il regno vegetale, quello animale “non posso/ attraversare il confine/ perché non sono né un orso/ né/ uno scoiattolo o una volpe”, ma non l’essere umano. Anche la poesia perde la sua forza e valore perché “anche domani/ come prima e durante/ a produrre filo spinato/ perché quello/ serve sempre”. Questa sezione della silloge si chiude con la denuncia della fallacia della capacità dei missili di colpire in modo affidabile che procura sempre e invariabilmente vittime.
La sezione “un confine in comune” sembra manifestare un atteggiamento di incertezza, insicurezza, che avviene in ogni cosa e in poesia, ma quando in questo campo si presenta il disorientamento, allora è tutto l’essere, che si credeva capace di mostrarsi in versi, a trovare il suo disagio: “E all’improvviso nello scaffale in basso/ oscilla un verso chiuso da molto. Chiede/ ascolto e voce”. L’oscillazione è sintomo di incertezza, così che la parola chiede di essere ascoltata. Ed ancora: “un rifugio dove ospitare versi/ mutilati a cui la metrica/ ha serrato la porta poesie mute/ che non sopportano il freddo”. Ecco allora che “lo sguardo è condannato a sbattere contro confini che non riesce/ a scavalcare, vede soltanto i colori/ all’interno e non l’armonia o l’agguato, appena oltre l’orizzonte”. In fine ancora una testimonianza di quanto l’io in questo disagio di espressione arriva a rintracciare in sé: “Il circo la terra e la luna ogni/ cosa del caos ha trovato il suo/ posto e lo mantiene fino all’orlo/ dell’incubo che arriva puntuale”.
La terza sezione intitolata Storielle ci mostra la capacità della poeta di far poesia attraverso una scenografia ove la scena stessa diventa una metafora.
Ma ai fini di una recensione di questo genere è fuorviante fare un’analisi di tutte le sezioni che, come detto in precedenza sono diversissime fra di loro per sensi poetici. Voglio invece soffermarmi su alcuni aspetti tecnici che mi paiono rilevanti in tutta la silloge. Qua e là c’è la presenza della sinestesia anche se può, ad una prima lettura, sfuggire. Ecco un esempio: “dal più recente al più antico/ asportiamo strati di senso/ tornano alla luce cocci e dati/ ma il pennello non si ferma/ fino a che non tocca un suono/ sotto i reperti più in basso”. È evidente la copresenza della luce, del suono e del colore che vengono associati in questo percorso di rinvenimento di reperti.
Ma un’altra figura retorica è usata a piene mani da Barbara. Si tratta dello enjambement. Non c’è quasi poesia che non ne presenti una. Cito qui qualche esempio: “sotto le pietre ancora immagini/ tue…”; “le frontiere di una volta si sono/ spostate…”; “ma sono deboli instabile e tutti/ colpiti dalla stella aspettiamo/ l’avvento nel cielo mattutino”.
L’enjambement dà un senso di continuità e fluidità alla poesia. È come una sospensione che ha bisogno di essere conclusa per ricominciare immediatamente.
La silloge presenta tante ricchezze di versi, metafore e significati, anche se traspare alla fine un senso di insoddisfazione che ha bisogno di essere chiarito e solo attraverso la poesia si spera che possa avvenire.
raffaele taddeo nov 2022