Narrativa transnazionale

Antonio, Cleopatra e Anupet

Scritto da Pap Khouma

Antonio, Cleopatra e Anupet

“Upgrade, downgrade”, miagolava Bastet la Grande Gatta reincarnatrice.

Le rincarnazioni di una gatta erano segnate da alti e bassi.  Bastet la Grande Gatta reincarnatrice azzerava i ricordi delle vite precedenti di un gatto prima di rimandarlo nella vita successiva. Misteriosamente Bastet la Grande Giudice non resettava completamente la mia memoria. Ricordavo più meno vite precedenti, fratelli avuti, passaggi da gatta a umana, città dove avevo vissuto, legami con umani, animali. Consideravo upgrade trasformarmi da gatta a umana anche se presentava tanti lati incresciosi. Se imitavo la malvagità degli umani espiavo le colpe nella vita successiva.

“Anupet ti piace trasformarti in umana”, miagolava la Grande Gatta prima di rimandarmi nella vita successiva.

“Perché è divertente trasformarsi in essere umano, Grande Bastet.”

“Essere un umano è nevrotico, Anupet Fall. Devi avere professione, casa, andare al lavoro, avere parenti. Meglio rimanere gatta, avere un solo nome e tante vite.”

Agente segreto di Sua Maestà Cleopatra

Tre anni dopo l’assassinio di Giulio Cesare, ero ritornata, in vita da umana, ad Alessandria d’Egitto nell’Afriquia Palace della Regina Cleopatra non lontano dalla Grande Biblioteca.

Anupet era mio nome, visagista e parrucchiera di Cleopatra. Ho ideato lo stile della capigliatura, le lunghe trecce ingioiellate d’oro e perle preziose, il rimmel colore cielo sereno attorno agli occhi, il maquillage del viso di Cleopatra. Mentre nel Salon de beauté di Afriquia Palace massaggiavo quotidianamente piedi e mani della Regina con latte di cocco tiepido, riportavo le voci in giro, pettegolezzi piccanti.

La Regina d’Egitto aveva dato carte blanche al  Khnumhotep & Niankhkhnum Visir, ovvero la coppia alessandrina guru di eleganza e tendenze, con flagship ad Alessandria, vicino alla Grande Biblioteca e a Roma a Mons Palatinum, per decorare e arredare il Salon de Beauté. Gli artisti avevano impiegato parecchi mesi, il risultato finale era stato favoloso. La Regina soddisfatta dell’opera aveva ricoperto d’oro e di sesterzi i due artisti che condividevano vita privata e professionale. Prima avevo lavorato nei laboratoire di K & N Visir ed era lì che Cleopatra mi aveva individuata. Venivo ad Afriquia Palace su richiesta di sua Maestà per lunghe sedute di maquillage o rapide retouche nel profondo della notte, all’alba, quando desiderava la Regina. Alla fine Sua Maestà Cleopatra aveva stimato la mia competenza e deciso di trattenermi in esclusività e la coppia K & N Visir non avevano più osato richiamarmi in laboratoire.

La fama di creatori dei Visir, diminutivo usato dagli affezionati, superava i confini dell’Egitto, della Grecia, e giungeva fino a Caput Mundi. I Visir avevano conosciuto Giulio Cesare quando era partner di Cleopatra. Nella flagship di Roma senatori e nobiltà, compreso il grande Giulio Cesare, compravano e indossavano K & N Visir. Sua Maestà Cleopatra si affidava a loro per il guardaroba, maquillage, gioielli, scarpe, infiniti profumi estratti dal veleno di cobra o dalla bava di coccodrillo del Nilo. 

“Sai Anupet, Khnumhotep & Niankhkhnum sono nomi d’arte che abbiamo preso in prestito da una coppia di visagisti e manicuristi molto in voga nella V dinastia, durante i regni dei faraoni Niuserra e Menkauhor”, si inorgogliva Niankhkhnum mentre eravamo in laboratoire. 

“Dopo la morte desideriamo essere sepolti nella stessa tomba, come per Khnumhotep & Niankhkhnum nella V dinastia”, aggiungeva  Khnumhotep.

Narravo tutto e subito a Cleopatra. Neppure i due Vizir sapevano tenere la lingua chiusa in bocca, raccontavano proprio tutto alla Regina. Possedevano preziosi informazioni, perché parlavano egiziano, greco, latino, frequentavano i Palace dell’aristocrazia egizia da Alessandria alle città lungo il Nilo. Nelle boutique dei Visir si incrociavano patriziato, borghesia, artisti del Mar Nostrum. Khnumhotep & Niankhkhnum accompagnavano le sfilate di moda alla Grande Biblioteca con intermezzi musicali. Erano raffinati musicisti, suonavano il flauto e pizzicavano l’arpa. Marco Antonio era un habitué delle boutique K & N Visir di Caput Mundi e Alessandria d’Egitto, ancora prima dell’assassinio di Giulio Cesare.

“Sai Anupet, Marco Antonio è fuggito fin qui ad Alessandria con armi, bagagli, navi e legionari dietro ai bei occhi e al sedere da favola della Regina Cleopatra”, mi raccontava in confidenza Khnumhotep. Lo sanno quasi tutti ma tu non lo raccontare a nessuno.”

“Sai Anupet, Antonio e Cleopatra erano a Tarsus insieme a Ottaviano Augusto, Marco Emilio Lepidio, forse li conosci, insomma trattavano cose serie, il futuro di Roma e dell’Impero minacciato da spietati nemici, Decimo Bruto, Gaio Cassio e complici. E Antonio che fa? Abbandona i due alleati! Certo per le chiappe di Sua Maestà ma anche perché l’Egitto è una potenza economica e Cleopatra è bella, potente e ricca. Lo sanno tutti ma tu bocca chiusa”, aggiungeva sottovoce Niankhkhnum.

“Il Romano ha un’altra moglie, Ottavia vive a Caput Mundi. Se si lascia distrarre da ogni donna, Marco Antonio si farà fregare la Repubblica e tutto l’Impero Romano da Ottaviano che è ancora ragazzino ma scaltro. Lo sanno tutti ma tu non dire nulla a Cleopatra e Antonio, perché noi negheremo tutto e sarai l’unica a rischiare di finire nella fossa dei coccodrilli.”, avvertiva  Khnumhotep.

“Altri pericoli sono i Galli; sono in  agguato, basta un nulla e conquistano Roma e l’Impero”, si preoccupava Niankhkhnum.

Li ammiravo, ammiravo tanto Khnumhotep & Niankhkhnum, estrosi e pettegoli, a me piacevano i pettegolezzi. Correvo da loro in laboratoire nel poco tempo libero solo per ascoltare i pettegolezzi più pepati di tutto l’Egitto e del Mediterraneo. Peccato che non osavo riferire tutti loro pettegolezzi a Cleopatra, per non finire nella fossa dei coccodrilli o con il taglio della lingua.

Però quando le raccontavo di altre piccanti voci, mi sentivo l’agente segreto di Sua Maestà la Regina Cleopatra e lei ascoltava in silenzio. Non mi aveva chiesto di divenire sua agente segreto, né di assaggiare prima di lei insieme al devoto e effeminato Apollodoro le zuppe di fave o d’orzo, il pesce o sorseggiare irep* o shedeh*,vini di datteri, di melograno,di palma dei banchetti. Assaggiavo il pesce e Apollodoro il pollo farcito, io non toccavo carne. Avevo il vantaggio su Apollodoro perché reggevo meglio l’irep o lo shedeh. Insieme ad Apollodoro, controllavo se non ci fossero serpenti nella sua tinozza da bagno o sotto le coperte. A volte la Regina mi travestiva uguale a lei per confondere i malintenzionati. Il rischio di prendersi una pugnalata mortale al suo posto era bilanciato dal godimento unico di indossare stoffe pregiate di lino, seta, collane d’ambra, perle rare, gioielli d’oro, d’argento creati esclusivamente da K & N Visir per la Regina. Cleopatra e io Anupet avevamo più o meno la taglia quarantadue e gli stessi raffinati gusti.

Ero eccitata come una gatta in calore quando orecchiavo i brainstorming in cui Cleopatra specificava ai dignitari romani e egizi, strategie politiche, cospirazioni, manovre militari, polemos.

“Polemos”, parola che tormentava Esopo quando avevo vissuto tanto tempo fa a Delfi e il mio nome era Cassandra. “Cassandra, la ragione del più del più forte è sempre la migliore”, mi diceva a Delfi il linguacciuto Esopo.

Il Romano non parlava bene l’egizio, i frenetici brainstorming tra lui e Cleopatra si tenevano in separata sede e in latino, sul futuro di Roma, su come  eliminare Marco Emilio Lepidio e Ottaviano Augusto. Dopo escogitavano come imporre ai membri reticenti del Senato una successione pro domo sua. Cleopatra insisteva su come liberarsi in fretta di Ottavia moglie di Marco Antonio.

Quanto ammiravo Cleopatra! Parlava egiziano, greco, latino, non era nemmeno esageratamente arrogante come tutte le vere Imperatrici e quanto detestavo i cospiratori e traditori che l’impedivano di avere sonni tranquilli.    

Silentium est consensus

Non ero autorizzata a buttare i cospiratori nella fossa dei coccodrilli né tagliare le lingue, allora aggiungevo del veleno di cobra nei cibi e nelle bevande dei cospiratori, successivamente in quelli di persone sgradite alla Regina mandandoli al duat, l’aldilà di Osiride.

Appena avevo iniziato a versare veleno nei vestiti, brande di scellerati, ingrati, tra cui immancabilmente qualche cliente di K & N Visir, Khnumhotep & Niankhkhnum mi avevano vietata di avvicinare loro laboratoire e boutique.

In realtà i Visir codardi non si avvicinavano più a me, e senza preavviso avevano mandato due possenti e minacciosi bodyguard in groppa a un cammello. I messaggeri senza scendere da cammello avevano consegnato ad Apollodoro un freddo papiro di licenziamento. Il gigante Apollodoro con voce femminile e bassa aveva letto il papiro nel de Beauté in presenza di Cleopatra che non aveva fatto un plissé.

“Signorina Anupet, con codesta pergamena si esaurisce ogni legame professionale e sociale tra K & N Visi Lei e Lei. Il K & N Visir declina ogni responsabilità per Suo Agissement futur. Per ogni delucidazione La preghiamo di rivolgersi presso gli Uffici della Regina Cleopatra dove per obblighi di legge abbiamo depositato il papiro contenente le motivazioni di K & N Visir. Aurevoir.”

“Agissement futur. Aurevoir … K & N Visir si credono dei Galli, qui siamo in Egitto non nella selvaggia Gallia, siamo in Africa per essere chiari. Uffici di Cleopatra … Khnumhotep & Niankhkhnum siete snob, ingrati, peggio dei cospiratori egizi e dei Galli del sud. Dovrei raccontare ad Antonio e Cleopatra le vostre calunnie, la fuga da Tarsus, le chiappe di Cleopatra, l’oro d’Egitto se non temesse la fossa dei coccodrilli. Con i sesterzi guadagnati al servizio di Cleopatra aprirò dei Salon de beauté che chiamerò Massage & Retouche Exclusive Visir di fronte alle vostre boutique K & N Visir o in una location ancora più vicina alla Grande Biblioteca, aprirò una flagship nel cuore di Roma. Sarò la visir della bellezza, dello stile, inventerò la haute couture, vi farò concorrenza e vi porterò alla rovina. Non siete capaci, sono vostri collaboratori che creano e lavorano per voi.” Ho pensato sottovoce a tutto questo veleno, perché nessuno era autorizzato a fare scenate in presenza della Regina Cleopatra.

“Antonius”, come lo chiamavo in privato,“questi Visir, chi si credono di essere?  Galli? Questi due sono peggio dei Galli del sud, di Decimo Bruto, Gaio Cassio e Ottaviano Augusto. Vogliono essere sepolti insieme? Li seppellirò in due tombe separate di due lontane città”, con Marco Antonio ero autorizzata a sfogarmi, fare scenate, sparlare di chi mi pareva inclusa Cleopatra.

 “Timent te (Ti temono). Devono tutelare vita e business.”

“Inertia! Codardi!”

“Sanno del veleno di cobra, Anupet.”

“La Regina sa del veleno, non dice nulla.”

“Silentium est consensus”, diceva Marco Antonio.

“Antonius, almeno da parte di Cleopatra sentirsi dire: grazie, Anupet. Vai avanti così, questi cospiratori si meritano gli inferi.”

“Anupet, hai capito bene che Cleopatra è la Regina d’Egitto. Sua Altezza non si abbassa a dire grazie.”

“Allora almeno elevarsi e ordinare: ora basta Anupet. Non ti ho detto di fare l’agente segreto? Non salvare le mie belle chiappe. Lascia che i cospiratori distruggano l’Egitto.

“Chi tace acconsente”, affermava convinto il Romano.

“Devo farla pagare a Khnumhotep & Niankhkhnum …”

“Khnumhotep & Niankhkhnum non si toccano. Neppure su ordine della Regina.”

“Antonius, screditano Cleopatra.”

 “Non ti allagare.”

“Malignano su di te.”

 “Lo so, ma non li avvelenare per questo. Marco Antonio non sorrideva più. “Sono sotto la mia protezione. “Taci su tutto quello che hai sentito e visto nei laboratoire K & N Visir e boutique. Segreti di Regno, Anupet.”

Marco Antonio, un latin lover era così che si diceva all’epoca, marito di Cleopatra, di Ottavia, amante di chissà quante donne. Anch’io mi ero invaghito di lui. Il Romano era irresistibile, avevo perso la testa e senza troppe domande avevo ceduto malgrado i rischi.

“Cleopatra, sa?”

“Di noi due?”

“Ce ne sono altre, a parte Cleopatra, Ottavia, Anupet ?”

“Non ti preoccupare.”

“Sono certo preoccupata.”

“Sistemerò tutto.”

“Cleopatra è sempre al corrente. Non sono l’unica dentro e fuori Afriquia Palace a informare la Regina.”

“Silentium est consensus”, ripeteva il Romano.

“Tu sorridi mentre mi sento intrappolata.”

“Sorrido perché ti amo Anupet. Sei dolce, sei bella.”

“Ti amo anch’io ma sono fragile di fronte a Cleopatra.”

“Ti proteggo.”

“Antonius, tu ami la Regina?”

“Anupet, amo Cleopatra.”

“Mi ami, Antonius?”

“Amo te, te lo ripeto tutte le volte. Non mi chiedere per favore Anupet cos’è l’amore?”

“Antonius, Cleopatra mi distruggerà.”

“Anupet, non ti lascerò stritolare da Cleopatra.”

“Ne sei sicuro, Antonius?”

“Cleopatra non ti farà alcun male. Ti stima e ti ama e sa che Anupet tu l’ami?”

Sesso, irep e pettegolezzi

I guai avevano bussato ad Afriquia Palace perché il Romano passava parecchio  tempo sotto le lenzuola del mio letto a baldacchino. Per Bastet la Grande Gatta, i nostri momenti pepati annaffiati da irep* erano presto noti ad Afriquia Palace. Gli Egizi erano veramente pettegoli, impiccioni. Spiarsi a vicenda era il passatempo più diffuso dentro e fuori Afriquia Palace.

“Marco Antonio marito di Cleopatra fa sesso con Anupet serva di fiducia, mentre la Regina è incinta,” vociferavano.

Tanto non ero serva ma agente segreto sotto copertura da visagista, parrucchiera. Il Romano era un gigione, abituato a vantarsi ed esaltare le conquiste militari e femminili. Non era padrone della sua lingua quando trangugiava troppo irep o shedeh. Marco Antonio non disdegnava i vini di palma, datteri e melograno. Le voci arrivarono ufficialmente alle orecchie della Regina.

In ogni modo Cleopatra sapeva sin dall’inizio della mia relazione con il marito. Conoscendo Cleopatra, sarebbe potuto essere lei ad avere spinto il focoso Romano tra le mie lunghe grinfie. La Regina era incinta e in più troppo impegnata a tracciare strategie politiche e militari, probabilmente la sollevavo dall’impetuoso latin lover.

Agli umani con cui avevo legami come Antonius, Cleopatra,  Khnumhotep & Niankhkhnum rivelavo candidamente che ero una gatta, avevo vissuto altre vite e mi trasformavo in essere umano ma loro non ci credevano, si limitavano a sorridere pensando che sparlavo a causa del troppo irep o mi davano della bugiarda. Forse era meglio così, perché se i pettegoli di Khnumhotep & Niankhkhnum avessero avuto la certezza che ero una felina metamorfosata, ora che ero diventata avvelenatrice di Sua Maestà, lo avrebbero strombazzato in un lampo tra la gente superstiziosa d’Egitto e del Mar Nostrum e forse avrei rischiato peli e grinfie.

Quando diventavo umana avevo peli su gambe, su braccia, che i maschi umani adoravano. Esopo a cui avevo subito detto che ero gatta, non ci credeva ma è stato ispirato e aveva dedicato favole alle mie grinfie, capelli lisci e neri, occhi verdi da gatta.

Ero minuta, poco seno, capelli lisci, neri, grinfie lunghe, occhi verdi grandi che facevano impazzire i maschi umani. Nei momenti clou l’Antonius, marito di Cleopatra e Ottavia, Grande Condottiere Romano, Imperatore in pectore mi supplicava di fissare i miei occhi verdi nei suoi azzurri e sussurrare che ero gatta, avevo vissuto altre vite e mi trasformavo in essere umano mentre piantavo le grinfie sulla schiena e graffiavo le sue chiappe. Lo facevo delicatamente senza lasciare tracce. Evitavo di segnare i territori della Regina Cleopatra.

Intanto il mio lavoro, per nulla riposante, di avvelenatrice era in corso. Indesiderati, sospettati erano numerosi dentro e fuori Afriquia Palace. Li mandavo agli inferi di Am-eh, ero la grande vizir del veleno. A volte la scorta di veleno di cobra non bastava per una settimana, perché ne abusavo per mandare da Am-eh anche i farabutti bisbigliatori sulla mia tresca con Antonius. Però nel momento in cui dentro e fuori Afriquia Palace si bisbigliava, la Regina non poteva non prendere provvedimenti esemplari. Non potevo più incontrarla, non ero più la visagista, massaggiatrice, non accedevo più  al Salon de Beauté, né assaggiare prima della Regina le zuppe di fave o d’orzo o sorseggiare irep e quei particolari vini di palma, datteri, melograno dei banchetti. Invidiavo Apollodoro con tutti quei ben di Cleopatra. Secondo, non vedevo più il mio focoso amante. Quel fanfarone Romano era sparito con il pretesto di ritornare a Tarsus raggiungere i suoi alleati per salvare Roma da Decimus Brutus e Gaius Cassius e sottomettere il Senato. Per Bastet la Misteriosa, l’aria era diventata funesta. Aiutami Bastet Grande Giudice! L’emicrania non mi dava tregua neppure nelle giornate soleggiate. Se esisteva la sorte, la mia era segnata. Arrivederci sogni di aprire il flagship Massage & Retouche Exclusive Visir e fare concorrenza alle boutique di K & N Visir.

           I rimorsi di Antonius

Io, Anupet non potevo nemmeno nascondermi sotto la pelle della gatta, qualcosa si era ingrippato, Bastet la Grande Gatta si sarà arrabbiata perché avevo mandato egizi innocenti da Am-eh. Non volevo morire, mi aggrappavo alla vita anche sapendo che sarei risorta, la vita era bella ad Afriquia Palace. Antonius, forse in balia ai rimorsi o per nostalgia dei nostri momenti erotici, aveva mandato discretamente qualche legionario per aiutarmi a fuggire a Caput Mundi, come lui si vantava quando parlava di Roma, oppure a Tarsus, in ogni caso lontano da Cleopatra e dall’Egitto. Quella marpione di Cleopatra sapeva della presenza in città dei legionari mandati dal marito fedifrago.

La Regina mi aveva convocata nel Salon de Beauté, come me lo aspettavo. Era giunta l’ora di ritornare da Bastet il Reincarnatore che mi avrebbe tirato orecchie, peli e coda. Cleopatra mi aveva fatto fare anticamera tutto il giorno, non avevo potuto toccare cibo o acqua. Verso sera, piegata da fame e sete, dormicchiavo sopra i soffici cuscini cari alla Regina, a questo punto Cleopatra aveva forse già pronunciato la  mia condanna al veleno di cobra o alla fossa dei coccodrilli. Come d’abitudine la dispettosa Cleopatra sarebbe arrivata quando avrebbe voluto, nella tarda notte, la mattina dopo, il pomeriggio o la sera successivo. Si comportava così con tutti, importanti dignitari, nobili, sacerdoti, visir, alti ufficiali, governatori di Province, persino con fratelli e sorelle, Khnumhotep & Niankhkhnum che se lo meritavano perché ingrati. Meglio così nella mia situazione, perché scriveva Esopo finché c’è vita c’è speranza.  

“Tu ci credi veramente, Mia Regina che sia andata a letto con Marco Antonio? Mai andato a letto con suo marito. Sono solo voci. Anche se le voci fossero vere, potrei rispondere che Marco Antonio è anche il marito di Ottavia e prima di te c’era lei. Ottavia ti ha mai tediata? No! Lo sai bene Cleopatra che qui ad Alessandria d’Egitto c’è la consuetudine radicata nei patrizi, borghesi e plebei di frequentare, convivere con più donne. Papiliones sunt homines, volano da un fiore all’altro. Noi donne dobbiamo allearci et removere pennas hominibus, via le ali agli uomini invece di cascare nelle loro trappole. Marco Antonio è un cascamorto, nomine sunt papiliones; persino i sacerdoti del Grande Tempio ci hanno provato con me fino alle molestie. Li ho respinti tutti. E’ vero che anche Marco Antonio ci ha provato ma l’ho sempre respinto anche. Regina, quante sedute di massaggi e di maquillage ti ho fatto con le mie mani qui dentro il Salon de Beauté? Quanta devozione e ammirazione alla mia regina … Cleopatra, lasciamo perdere il veleno di cobra o la fossa dei coccodrilli, dimentichiamo le voci e finiamola con questa …”

Per Bastet il Grande Arbitro stavo sognando. Cleopatra era nel Salon de Beauté non sapevo da quanto tempo. Proprio la sua presenza in carne e d’ossa mi ha riportata alla realtà. Mi ero sprofondata nel sonno sopra i cuscini morbidi ed ero cascata nel sogno. Non sapevo quanto tempo avevo dormito, se era notte fonda o mattina. Sono scattata in piedi e provato un sorriso. 

“Buongiorno Cleop … Regina. Buona … sera Maestà. I miei omaggi Mia Regina. Ossequi … Apollodoro caro, ci sei anche tu …?”

Sua Maestà non aveva intenzione di parlare e non mi aveva convocata per una seduta di massaggio o maquillage. Tre o quattro collane di perle pendevano dal collo. La vista delle sue labbra truccate da mani vistosamente meno esperte delle mie mi aveva infuriata e svegliata definitivamente. La pancia della Regina iniziava a farsi vedere. Il gigante Apollodoro l’accompagnava.

Cleopatra non mi considerava affatto, aveva ordinato con un gesto della mano di versare l’irep a due ancelle prima di congedarle con lo schiocco delle dita. Eravamo rimaste noi due e le coppe riempite d’irep il cui singolare aroma si spandeva nell’immenso Salon de Beauté. Apollodoro era rimasto ma come se non ci fosse per quanto la discrezione rendeva la sua presenza quasi invisibile. Avrei preferito lo shedeh per il gusto più forte ma l’irep calmava l’emicrania, dava coraggio e in quel momento ne avevo gran bisogno prima di subire la reale e legittima ira.

Finalmente Cleopatra mi aveva fissato negli occhi e comunicato con un cenno del mento, di scegliere una coppa d’irep nel vassoio d’ebano intarsiato d’oro appoggiato su una lunga tavola coperta con stoffa di seta. Non osavo avvicinarla. Eravamo in piedi e opportunamente separate da un lato e dall’altro della lunga tavola. Avevo afferrato a caso con mano per nulla tremante una coppa essendo certa che c’era del veleno di cui avevo tanto abusato per mandare gli cospiratori da Am-eh. Ora toccava a me essere rimandata dalla Grande Bastet.

Cleopatra aveva preso l’altra coppa e con un altro leggero cenno del mento mi aveva ingiunta a bere l’irep. Avevo sorseggiato lentamente la dissetante bevanda che mi riportava in memoria i momenti dolci ed erotici con Antonius. Avevo più volte detto a Antonius di provare lo shedeh, ma lui aveva confessato che prediligeva l’irep nei momenti intimi perfino con Cleopatra. Antonio e io bevevamo irep prima e dopo aver fatto l’amore. Cleopatra lo sapeva, il gigione gliele aveva detto, perciò con estremo cinismo mi rimandava da Bastet offrendomi una coppa d’irep condita con il veleno di cobra reale. Avevo sorseggiato fino in fondo la bevanda gradita da Marco Antonio mentre Cleopatra mi fissava e in realtà non avevo letto nessuna cattiveria nei suoi occhi e i gesti erano rimasti nobili. Lei non aveva avvicinato la coppa d’irep alle labbra truccate male. Mi trattenevo a malapena, perché volevo scoprire di chi fossero quelle mani inesperte che avevano imbrattato le labbra della Regina e con un colore così inadatto. L’incoscienza dettava di chiederlo a Cleopatra e proporre di rifarle il trucco delle labbra su due piedi, gli attrezzi erano a portata di mano.

“Le labbra sono sue, Anupet. Silentium est consensus”, sentivo la voce del Romano come se fosse presente.

Cleopatra aveva riappoggiato adagio la coppa senza bere un sorso d’irep, aveva girato i tacchi alti e uscita di scena in silenzio, senza fretta mentre le belle ancelle erano ritornate per riprendere vassoio e coppe, una ancora piena e l’altra svuotata. Apollodoro che di solito segue la Regina come una cozza, era rimasto silenzioso nel Salon de Beauté. Avrei voluto che Apollodoro confermasse che avevo pescato casualmente e bevuto la coppa fortunata, quella senza veleno di cobra. Apollodro era la versione silenziosa di Bastet, pensava senza aprire bocca. Apollodoro era sempre insieme alla Regina e parlava raramente. Intanto non sentivo ancora né nausea né dolori, soltanto il gusto piacevole e la leggera ubriachezza procurata dall’irep.

Due fedeli legionari di Marco Antonio erano entrati nel Salon de Beauté incrociando le ancelle con vassoio e coppe. Non c’era tempo di meditare, poiché l’uscita di scena delle sinuose ancelle dal Salon era coincisa con l’ingresso del Romano, tutto muscoli, altezza, tallonato da altri due legionari impassibili quanto a lui. Eccolo finalmente Antonius, mio Romano! Nessuno faceva mai caso alla presenza assenza del gigante Apollodoro. Mi ero scaraventata verso il Romano malgrado due legionari tentassero di ostacolare il passaggio. Ero scivolata e mi stavo rovinando sul marmo e Apollodoro mi aveva salvata, sollevata e oh là, là, là, là, consegnata fra le braccia del Romano che aveva stretto delicatamente con i bicipiti il mio sottile corpo, come faceva nei momenti intimi e l’aveva sollevato da terra. Se il veleno avesse fatto effetto in quel momento sarei stata la donna più felice di trapassare e raggiungere la Grande Bastet. Ero risoluta a rimanere cullata fra le braccia di Antonius, fingevo di avere perso i sensi a causa del veleno.

Antonius aveva fatto spostare dai legionari un mobile del Salon de Beauté, dietro attaccata al muro c’era una leva quasi invisibile, Apollodoro l’aveva manovrata e si era aperta senza rumore una porta segreta di cui non avevo mai subodorato l’esistenza malgrado il Salon fosse mio regno. Le sorprese non finivano, il mio Romano trasportando il leggero peso del mio corpo, sempre fra le braccia, preceduto da Apollodoro, si era introdotto in un’altra stanza immensa e favolosa mentre la porta segreta si chiudeva silenziosamente alle nostre spalle, con i legionari rimasti nel Salon de Beauté. Non volevo affatto scendere dalle braccia del mio Romano, né spostare la testa dalle sue spalle, fingevo di essere morta ma lui, intanto che mi poggiava delicatamente sul marmo del pavimento, mi rianimava con quel bacio profondo che mi aveva fatto impazzire fino a trascurare il furore prevedibile di Cleopatra la più potente delle rivali. La stanza profumava di incenso, ero sbalordita dai mobili pregiati, sofà, seta, lino, ori griffati K & N Visir. Non stavo morendo e Antonius mi ricopriva di collane di perle e d’ambra, braccialetti d’oro e d’argento. Apollodoro aveva già preparato un piccolo banchetto di pesce e verdura. Antonius mi guardava e sorrideva mentre mi sfamavo e dissetavo con l’irep, lui non aveva toccato o bevuto nulla. Credevo di sognare o probabilmente c’era stato un deal tra Antonius e la Reale Partner. I deal piacevano alla Regina, visto che nella notte nei giardini di Afriquia Palace, ubriaca con i gioielli pregiati addosso e un baule riempito di sesterzi trasportato da Apollodoro perché era pesante per me, ero salita su un carro tirato da potenti destrieri e scortato dai legionario. Il mio Romano aveva salutato a distanza con un segno della mano e sempre preceduto da Apollodoro, era ritornato dentro Afriquia Palace.

Avevamo galoppato verso est, credevo di andare a Tripoli città che detestavo, però avevamo cambiato direzione e raggiunto un porto dove aspettava una nave pronta a salpare. 

Pap Khouma

Tracce di un romanzo in essere.

L'autore

Pap Khouma

Pap Khouma, di origine senegalese, vive a Milano, dove si è sempre occupato di cultura e di letteratura, attraverso numerose e svariate esperienze. Per dodici anni ha girato l’Italia, invitato da scuole di diverso ordine e grado a svolgere “lezioni” sulla storia e la cultura africana, e sui temi della multiculturalità. Per conto dei Provveditorati ha tenuto corsi di aggiornamento per insegnanti sull’integrazione, e per tre anni (1991 – 1994) ha insegnato italiano agli stranieri nei corsi di alfabetizzazione del Comune di Milano. Ha partecipato come relatore a numerosi convegni nazionali e internazionali, presso le maggiori università italiane (Milano, Roma, Bologna), sui grandi temi dell’immigrazione, della cultura e della letteratura , e nel 1998 è stato invitato a svolgere un ciclo di conferenze negli Stati Uniti (Africa/Italy: an interdisciplinary international symposium, Miami University, Oxford, Ohio; Immigration et intégration, Sénégal/ Italy/ France, Northwestern University of Chicago; Società multiculturale, Queen’s College of New York; Letteratura degli immigrati in Italia, Casa italiana of New York University). Dal 1990, quasi annualmente, si é occupato, per conto di centri studi, organizzazioni non governative ed amministrazioni comunali e provinciali, di ricerche ed approfondimenti, con relative pubblicazioni, sui temi già citati. Ha lavorato come responsabile della “libreria del viaggiatore” all’interno del Megastore B612 di via Muratori a Milano, e ha partecipato alla progettazione e all’ideazione della stessa, prendendo personalmente i contatti e i successivi accordi con le maggiori case editrici nazionali. Ha lavorato presso la libreria FNAC di Milano, dove si occupava in particolare del reparto libri in lingua originale. Iscritto all’Albo dei giornalisti stranieri dal 1994, per quattro anni (1991-1995) ha firmato una rubrica su “Linus”, e ha collaborato con “l’Unità”, “Il Diario”, “Epoca”, “Sette”, “Metro”. Ha pubblicato Io, venditore di elefanti (insieme al giornalista e scrittore Oreste Pivetta, Garzanti ed. 1990), giunto oggi all’ottava edizione, adottato da molte scuole come libro di testo, e i cui brani sono inseriti in numerose antologie scolastiche, ed è stato curatore e coautore del libro Nato in Senegal immigrato in Italia (Ambiente ed. 1994).
Nel 2005 pubblica Nonno Dio e gli spiriti danzanti e nel 2010 Noi neri italiani. E’ presidente della giuria del premio Sengor.

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