Andrea Vitali
Biglietto, signorina,
Garzanti 2014 € 16,40
raffaele taddeo
Un nuovo romanzo di Andrea Vitali, un po’ più articolato e complesso di altri, ma con strutture narrative molto simili. Tuttavia nelle narrazioni dello scrittore bellanese c’è sempre qualcosa di nuovo che rende particolare ogni testo.
Un primo dato che emerge subito come importante è costituito dal tempo preso in considerazione. Non siamo più nel periodo fascista (in effetti anche in altri testi a volte lo scrittore considerava anche periodi diversi dal fascismo, ma con caratteristiche differenti), ma nell’immediato dopoguerra. Siamo quindi in un ‘epoca in cui l’Italia sta sperimentando un nuovo modo di rapportarsi specialmente in politica, sta assaporando la vita democratica, ove gli uomini sono civilmente uguali, ove le nuove strutture politiche come i partiti si stanno mettendo alla prova, ma così pure le cariche politiche che hanno bisogno del consenso popolare. Le forze dell’ordine mantengono la loro importanza e funzione di raccordo, di contenimento, di tutela dell’ordine. I carabinieri assolvono il loro compito in maniera identica a quella che accadeva nell’epoca fascista, quasi senza soluzione di continuità, come se la guerra, la resistenza – che pure si era fatta sentire a Bellano -, la liberazione, l’avvento della democrazia non abbia portato alcun mutamento. Diversa è invece la posizione del sindaco rispetto al podestà. Questi ha sempre una importanza determinante nella vita del paese, il sindaco invece, pur se democraticamente eletto è meno avvertito come autorità. Assumono invece importanza quelle persone che sono nel sottobosco politico perché è occupato da uomini senza scrupolo. In questo romanzo Biglietto, signorina, è la figura del vicesindaco a rappresentarlo. Personaggio maneggione, affarista, commerciante privo di scrupoli. Forse è l’emblema di quello che sarà una costante dello sviluppo, o meglio dell’inviluppo democratico del nostro paese ove il sottobosco politico condiziona gli stessi esponenti politici, la vita e l’organizzazione degli stessi partiti, prodromi della struttura di corruttela, che sta depredando l’Italia e portarla a livelli di paesi sottosviluppati . In questo contesto anche la funzione della Chiesa, sottotono nel periodo fascista, sembra acquisire una nuova vitalità rivelandosi una istituzione che tutela il buon nome del paese, che fa in modo da sistemare ogni cosa, facendo trionfare il bene senza che la comunità possa risentirne. Vengono puniti infatti solo coloro che vengono da altre parti, sono estranee al contesto comunitario. Vengono risparmiati coloro che sono nella comunità pur avendo partecipato ai raggiri e alle malefatte che in questo romanzo vengono raccontate. In questo senso è riscontrabile qualche punta di esterofobia.
Il secondo aspetto che, pur in continuità con i precedenti romanzi, presenta qualche elemento di novità è quello relativo alla struttura linguistica. Frasi semplici, parole riprese, brevi battute sono caratteristiche dello stile di Andrea Vitali; in questo romanzo questi ingredienti sono esaltati. Nel precedente romanzo Quattro sberle benedette è stato possibile notare in un corpo consistente della narrazione un andamento operistico, in questo siamo di fronte a un muoversi con schemi da operetta fra il serio e il faceto con la messa in scena di raggiri a cui quasi tutti i protagonisti partecipano. “La massima autorità religiosa del paese, accanto a quella militare e a quella sanitaria” organizzano “un trappolone […] degno di un finale di romanzo”. Più che finale di romanzo, è un finale di commedia, di commedia dell’arte piuttosto, in cui tutto viene messo a posto e sistemato.
Tutto il romanzo in fin dei conti è un continuo colpo di scena, a cominciare dalla doppiezza di Marta, albanese spacciata per profuga croata. In special modo la comparsa improvvisa di Vaninetti, introdotto nella narrazione quando sembrava sul punto di chiudersi, quasi inventato per dar slancio alla narrazione e permettere alle forze dell’ordine di intervenire e scoprire la vera identità di Marta.
Il romanzo sembra costruito su più storie che si intersecano a vicenda. Sarebbe stato possibile organizzare almeno due romanzi con la vicenda del droghiere Santommaso e quella di Vaninetti. Trattarle separatamente avrebbe comportato forse una minore carica di ironia e minore spessore del grottesco. Fondendole l’autore ne ha ricavato una vicenda narrativa più complessa e articolata, ma più carica di colpi di scena.
La complessità della narrazione, il senso del grottesco, l’ironia sottile e quasi inavvertita che serpeggia fanno apparire il romanzo meno veritiero e/o verosimile di altre narrazioni dello scrittore bellanese, ma mi sembra più serrata la critica che indirettamente viene posta per le strutture politiche che invece di rinnovarsi verso una autentica democrazia danno luogo ad un instaurarsi di organizzazioni clientelari che nulla hanno a che vedere con una autentico sviluppo democratico e anzi stanno soffocando anche lo stesso sviluppo economico. La figura del personaggio Torelli per questo motivo risulta particolarmente importante.
novembre 2014